domenica 24 febbraio 2008

Traduzioni Valla

Proemio (della serie maledetta sia la retorica e chi l’ha inventata)
1 Nella storia importante e precisa degli eventi accaduti quant'è la difficoltà dello scrittore e quanta l’utilità del lettore! E se la maggior parte dei fondatori dell’arte oratoria, che è madre della storia, storici anche loro stessi (lo) testimoniano con i princìpi dei loro libri, tuttavia i filosofi ci sottraggono qualcosa, anche loro importantissimi e antichissimi, quando molto nella prima parte, ancor di più nella successiva anteponendo il poeta allo storico, poiché dicono che quello si avvicina di più alla filosofia, poiché si occupa delle cose generali e presentati esempi fittizi presénte gli universali: come Omero, che non narra tanto le gesta di uomini superiori, quanto prepara affinché siano prodotti i futuri buoni e sapienti, che fu in realtà tanto [simile a] uno storico da narrare chi fosse questo quello o qualcun altro, come Tucidide, che scrisse le gesta di Pericle, di Lisandro e di altri importanti del suo tempo. Così il primo posto è accordato ai filosofi, il secondo ai poeti e, ultimo, il terzo agli storici.
2 Io in verità, sebbene non approvi affatto questa opinione, tuttavia accordo ai poeti molto più di quanto quelli fanno, a tal punto da compararli ai filosofi se non anteporli, ma non ne segue che li preferisca agli storici e che non attribuisca loro qualcosa. Tuttavia è consentito difendere con libertà di opinione il lavoro che hai cominciato. Perciò che io metta a confronto prima i poeti con i filosofi poi con gli storici, infine questi stessi con i filosofi.
3 Per prima cosa se l’antichità ha un po’ d’importanza, e certamente l’ha, è stato trovato che i poeti furono più antichi dei filosofi, perfino dei saggi. Giacché Omero e Esiodo non solo prima di Pitagora, che è il primo filosofo, ma anche prima di quei sette che “sophi” ovvero sapienti, vennero chiamati, vissero. Poiché se sia questi che quelli si occupano della stessa materia, comparirà senza dubbio che sono nelle mani dei primi piuttosto che per i successivi l’autorità, la lode, la dignità.
4 E non si occupano entrambi della stessa materia? Cosa hanno infatti loro, che chiamano se stessi studiosi della sapienza, che il poeta non tratta? Forse che Empedocle, Arato, Lucrezio, Varrone non si occuparono forse di cose naturali e celesti? Virgilio non canto di uccelli, vigneti, alberi, animali e anche delle anime dei morti, unendo motivazioni di carattere fisico? Molti non scrissero in versi sulla medicina? Perché i satirici educano i costumi disputando e ammonendo di ciò che pertiene alla morale? Verso lo stesso fine i tragici, i comici e gli altri poeti dietro la maschera, tendono.
5 Infatti è in qualche modo vano scrivere in versi sulla dialettica, com’è naturale per una scienza dura e aspra, sebbene non siano mancati quanti composero poemi su questa e su le altre arti liberali. Perché c’è qualcuno che i poeti, non dico non li ponga nel numero di coloro che filosofeggiano, ma perché stima che siano meno degni di questo nome di quelli che ufficialmente si fanno chiamare filosofi? Anche quelli che per primi iniziarono a fare filosofia, e proprio quando da questi si distinguono, meglio fanno filosofia.
6 Infatti quella dottrina della sapienza ha sotto la maschera una meravigliosa autorità e quasi una maestà unita con la lode di straordinaria modestia, così presso omero quando leggiamo ciò che fecero e dissero Nestore, Agamennone, Priamo, Ettore, Antenore, siamo accesi molto di più verso la virtù, di quanto da alcuno dei precetti dei filosofi, a tal punto abbracciamo anche lo stesso autore in una certa misura con silenzioso affetto. Infatti è odioso voler comandare fermamente agli altri, perché puzza di arroganza e di superbia dell’animo.
7 Dunque il nostro intelletto, mentre sublime e fiero sdegna di ricevere il giusto insegnamento dal più sapiente, così si rimette a quello stesso [insegnamento] giunto obliquamente attraverso esempi e indirettamente, come quando specialmente per esempio quella rappresentazione di maschere da una parte induce la speranza nell’animo, dall’altra suscita stimoli all’imitazione. Da ciò Orazio non tanto per suo giudizio, ma parlando veramente di Omero, in uno stesso punto compara i poeti ai filosofi, dicendo:
Di contro ci si propone Ulisse,
come esempio utile
di ciò che possono virtú e saggezza,
anche preferisce il vero, quando dice:
il quale meglio e con maggior chiarezza
di Cràntore e Crisippo,
ci parla del bene e del male,
di ciò che è utile o non è.
8 Se dunque i poeti sono da considerare pari o piuttosto superiori ai filosofi, è rimasto da dimostrare perché non siano maggiori agli storici, per non dire pari, in questo concediamo quella cosa ai poeti grazie alla nostra benevolenza, cioè che la storia non sia stata precedente rispetto alla poesia, e invece lo è stata. Infatti come presso i latini sono primi gli annali che la poesia, così presso i greci sia Darete frigio che Ditti cretese, se veramente esistettero, esistettero prima di Omero.
9 Né può accadere che i poeti non costruiscano le loro invenzioni sulla verità delle azioni come base.. Infatti, per non dire nulla degli storici antichi, fra i quali c’è Trismegisto, che pensano sia Mercurio, certamente lo stesso Giove descrisse le sue gesta su una colonna d’oro, affinché fosse testimonianza per i posteri. Ma concediamo ciò che ho detto. Abbiamo abbastanza per dimostrare come hanno gli stessi propositi lo storico e il poeta, affinché giovi e anche diletti, per giovare ancora di più; certamente [abbiamo abbastanza per dimostrare che] è tanto più forte la storia, quanto è più vera. E non si occupa delle cose universali? Anzi se ne occupa senza dubbio. Infatti non c’è nessun altro motivo per quest’opera se non l’insegnare attraverso gli esempi. Onde è lodata da Cicerone con queste parole: « La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’ antichità »
10 O forse c’è qualcuno che crede che quelle orazioni ammirabili nelle storie siano assolutamente vere, e non adattate da un maestro di eloquenza e sapienza con personaggi, tempi, oggetti che insegnano a noi a parlare e a conoscere? Cosa c’è nella sua persona come prova di grande gravitas? Cosa come lodi? Cosa come vituperii? Cosa come molte altre cose piene di dottrina e sapienza? Non è forse vero che precipitano nell’universo? Né in verità se guardiamo la sola, per così dire, superficie delle cose, la poesia tende sempre alle cose universali. Infatti Pindaro, Simonide, Alceo e gli altri lirici cantarono le lodi dei singoli e certamente dei vivi, per non dire della ricompensa. Tralascio gli elegiaci e quelli simili a loro, che per la maggior parte si occuparono dei propri amori. E al contrario Senofonte trattò più la vita di un ottimo re che la vera vita di Ciro. Taccio infatti di Esopo, che compose favolette nella prosa oratoria. Il pudore e la reverenza di Omero e Virgilio mi trattengono dall’esporre oltre su questa cosa.
11 E perciò ormai comparerò la storia con la filosofia di codesti, che intentano lite con noi. Nessuno dei quali è da comparare con un semplice e dichiarato filosofo, non un greco con Omero, né un latino con Virgilio, e neanche con Sallustio e Livio e alcuni altri storici. In realtà per quanto io possa giudicare senza dubbio gli storici mostrano più gravitas, più prudenza, più sapienza civile nelle orazioni, di quanta ne mostri nei precetti qualsiasi filosofo. E se non è fastidioso riconoscere le verità, dalla storia fluì moltissima cognizione delle cose della natura, che poi altri redassero in precetti, moltissima dottrina dei costumi, moltissima di ogni sapienza.
12 Se davvero abbiamo mostrato che gli storici siano maggiori dei filosofi e se vogliamo qui fare menzione anche delle cose divine, sia Mosè, di cui nessun scrittore esiste più importante né più sapiente, che gli evangelisti, dei quali nessuno è più sapiente, sono da chiamare nient’altro che storici. In verità come portiamo avanti contro i pagani la verità dei documenti dei pagani, come abbiamo fatto prima, così qui alla fine confermiamo quella parte, dove si trova la questione, con la testimonianza di Quintiliano che sostiene: «Né soltanto quelle cose che sono contenute in tali discipline, ma ancora di più quei detti e fatti che in modo illustre sono stati tramandati dall’antichità conviene conoscere e sempre meditare. Queste cose certamente non saranno trovate in nessun luogo più numerose e più grandi che nei monumenti/testimonianze della nostra città/civiltà. O forse la forza d’animo, la lealtà, la giustizia, la padronanza di sé, la frugalità, il disprezzo del dolore e della morte [altri] li inseguiranno meglio che i Fabrizi, i Curii, i Regoli, i Deci, i Muzi ed innumerevoli altri? Quanto infatti i Greci valgono per gli insegnamenti, tanto i Romani, cosa che è più importante, per gli esempi». Dove sono quelli che si prendono gioco dell’ utilità della storia? Che sia maggiore di quella della filosofia, lo abbiamo provato con la ragione e l’autorità.
13 Dopo che abbiamo detto a sufficienza dell’utilità, resta quindi inoltre (parte che era la prima da noi proposta) che diciamo qualcosa sulla difficoltà. È opportuno che nello storico ci siano, tra molte doti oltre alla stessa in qualche modo mirabile e esagerata scienza dello scrivere, molte altre, senza le quali non può raggiungere il suo obiettivo, prima di tutto la solerzia nel conoscere le cose, l’acume, il giudizio. Infatti quanto [/quando mai] ciascuno che scrive fu presente alle cose di cui scrive? Coloro che veramente furono presenti, non solamente se si trovavano su posizioni diverse sono soliti dissentire fra di loro, ma anche se si trovavano dalla stessa parte.
14 Raramente infatti la solita cosa è narrata nel medesimo modo da più persone, in parte per ardore o per odio, in parte per vanità, quando vuole mostrare che sa qualcosa che, non sapendo, potrebbe imparare, o non vuole mostrare che non sa, in parte per la credulità, perché crede sconsideratamente alle cose riferitegli da qualsiasi altro. A mala pena infatti può accadere che uno abbia percepito con i propri sensi tutte le cose, che nel fare qualcosa sono contigue fra di loro. Non è forse vero dunque che è opportuno per lo storico trarre una tale verità con non minore cura o sagacità, che per il giudice nel riconoscere il vero e il giusto o per il medico nel comprendere e curare le malattia?
15 Quindi quando ti appoggi non a una notizia altrui ma a una tua e offri una tua testimonianza di questo, conviene alla cura e alla diligenza fare in modo che tu non sembri favorire quella parte con la quale tu stavi, come Timagene e Dicearco nella storia di Alessandro, come Senofonte nella storia di Ciro il minore, come Oppio Irzio nella storia di Cesare. Infatti di coloro che scrissero le proprie gesta né importa parlare in questo momento, e né di coloro che una volta riscrivono soltanto la storia scritta da altri e la decorano: non sono da dire, sebbene a qualcuno piaccia, veri storici.
16 Infine di quanta fedeltà e fermezza c’è bisogno per questo, affinché tu non conceda niente alla malevolenza, né all’invidia, né al terrore, né ancora alla grazia, né alla speranza, né alle preghiere, né all’ambizione, né all’autorità, soprattutto quando scrivi della tua memoria o di quella di qualcuno di poco precedente e di quelli con i quali vivi, o dei loro genitori e congiunti, in ciò senza dubbio sono da anteporre gli storici ai poeti e ai filosofi.
17 È sufficiente che noi in generale abbiamo detto queste cose per la lode della storia e degli storici. Sul presente argomento e su di me privatamente non sembrò opportuno dire niente.
18 Ma dal momento che sto per parlare dei due re spagnoli, Ferdinando che per primo dalla Castiglia conquistò il regno d’Aragona, Alfonso suo figlio che per primo dall’ Aragona conquistò il regno d’ Italia, ripeterò qualcosa della stessa Spagna più avanti.
Finisce il proemio.
Tre libri delle storie di Ferdinando. Le cose che fece sia prima di essere re che dopo: prima in Castiglia, poi nella guerra contro il re di Granada; poi nell’asservimento del regno d’Aragona, infine tra i suoi e con il nemico e con tutti gli altri. Molte altre cose sono inserite, come la legge della storia postula e in primo luogo della fanciullezza e dell’ adolescenza di Alfonso figlio primogenito, quale fu la sua indole. Molti altri sulle gesta dello stesso Alfonso seguiranno.
TRADUTIO EST.
Il riso di Ferdinando
13 Fermandosi qui i cavalieri si guardano intorno attoniti senza sapere cosa fare, con di fronte una rupe, alle spalle un ponte (che di solito veniva collocato sul torrente in piena) abbattuto dalle sentinelle, chiusi da entrambe le rive e mentre il nemico premeva su di esse; e per arrendersi, a meno che non preferissero morire, prestando orecchio dappertutto, osservando le frecce ostili e sospese dissero di arrendersi e di ordinare di non scendere da cavallo, ma di legarsi in buon ordine con una lunga fune che i vincitori avevano lanciato.
14 Così legati uscirono dall’alveo con gli scudi fatti di cuoio, di cui facevano uso sempre i Mauri e gli Afri, attaccati alla parte sinistra delle selle, la lancia appoggiata sopra il femore destro. E così con gli sproni dorati e con gli altri fregi dei cavalieri, con grande esultanza dei generali [/guide], poiché avevano potuto [ottenere] questo con la propria abilità [/arte di guerrieri], vengono condotti catturati dal re.
15 Si racconta che egli a quello spettacolo si fece grandi risate - tanto che a mala pena qualche volta fu visto ridere con più ilarità – e che disse, essendo affluiti gli esploratori compiaciuti per la vittoria, che, visto che i prigionieri si vergognavano di essere visti in quell’abbigliamento, li spogliassero [dall’abbigliamento] e lo tenessero per sé: significando per scherzo di dare in dono le spoglie di quelli a coloro che le avessero prese.
Il tessitore di Antequera § 2
2 Tutto il lastricato era inondato di sangue umano e la chiesa risuonava per il gemere dei moribondi, e i vestiti venivano rubati ai morenti e ai morti. Molti, senza che se lo aspettassero, furono uccisi in casa; uno di essi che ancora stava tessendo, sebbene avesse sentito che la città era stata espugnata, non aveva chiuso le porte, non fuggì, anzi non si alzò, ma quasi come non potesse essere accaduto, continuò a tessere; e inoltre così sedendo, prima che fosse compiuta, tinse la sua tela con il suo sangue. In verità quelli che stavano dentro la torre, per non fare esperienza dell'essere preda, presa una fune, si calarono giù.
Re Martino l'umano russa § 3
3 Questo, dato che vedeva il re subito dopo il suo discorso, come pensava, addormentato, poiché con gli occhi chiusi e il capo abbassato, russava, si era interrotto.
Il re al contrario, sapendo perché si era fermato, gli ordinava di proseguire, infatti egli non stava dormendo, sebbene russasse con gli occhi chiusi, o, se il corpo dormiva a causa della malattia, tuttavia non dormiva l’animo; e a lui che faceva questo assai spesso, disse «Che io mi sia addormentato o sia rimasto sveglio per la tua orazione è lecito che tu lo capisca dalla mia risposta»
Re Martino l'umano non ha figli § 14
Ci sono infatti alcuni che dicono che in nessun modo né con l'aiuto dei medici né con macchine di vario tipo lui avrebbe potuto o giacere con una donna o togliere la verginità a una fanciulla: nonostante fossero venute in aiuto alla fanciulla prescelta la madre e alcune altre ancelle, nonostante i camerieri fossero di qualche aiuto al re il quale, essendo il ventre quasi appeso con una fascia che pendeva dal letto, con cui il gonfiore del ventre prono era contenuto, lo calavano lentamente nel grembo della fanciulla e ce lo trattenevano. Ma queste cose sono taciute dagli storici forse troppo pudichi.

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