domenica 24 febbraio 2008

Traduzioni Facio

Braccio da Montone
Braccio da Montone sotto Alberico Balbuano, quell’uomo che fece rifiorire l’esercizio equestre in Italia (infatti già da molti anni prima la guerra era stata condotta presso di noi dalla cavalleria mercenaria tedesca), dotato dei principi militari, pagato dai Fiorentini, dai Malatesta e da qualche altro piccolo re d’Italia, compì molte imprese in maniera egregia e con coraggio. Conquistò Perugia con l’aiuto di truppe al soldo e alleati. Chiamato da re Alfonso in aiuto della regina Giovanna, allontanò Sforza, condottiero a capo di truppe, dall’assedio napoletano, commessi molti eccellenti misfatti in quello stesso luogo. Mossosi all’assalto della città di Aquilana (?), mentre assediava la stessa città in maniera più compatta e serrata, troppo fiducioso in se stesso, venne ferito, dopo che erano stati saccheggiati gli accampamenti, dai condottieri di Martino allora pontefice. Uomo dall’animo e dalla perspicacia eccellenti, a causa della ferita ricevuta sulla nuca fu invece meno integro nel corpo.
Muzio Attendolo Sforza
Sforza da Cotignola, unico per la disciplina nell'esercito del medesimo Alberico, ugualmente eccellente d’animo e di corpo, dapprima socio ed amico di Braccio, compì molte imprese per i fiorentini, partecipò a molte insigni battaglie; poi sorta rivalità tra lui e Braccio intorno alla gloria militare, essendosi separati da ogni vincolo di amicizia e alleanza, iniziarono a combattere l’uno contro l’altro. Assoldato dal re Luigi d’Angiò, avanzato contro la regina Giovanna con l’esercito nel napoletano, piantati gli accampamenti, assediò la città di Napoli. Riconciliatosi non molto tempo dopo con la stessa regina, vinse gli avversari presso Napoli con l’esercito schierato a battaglia; espugnò la città eccetto la rocca. Condusse la regina, che disperava della sua situazione, dalla rocca di Capua a Nola, essendo giunta a Napoli la flotta di Alfonso, poiché aveva difeso per alquanto tempo la città invano. Su richiesta del papa Martino si allontanò dalla regina contro Braccio nel fiume Aterno, che ora chiamano Piscaria (?), e mentre soccorreva un soldato travolto dalle onde, morì.
Il ritratto di Alfonso
Alfonso re degli aragonesi, glorioso per le molte e magnifiche imprese, riportò all’antica condizione Giovanna regina dei napoletani, oppressa da Luigi d’Angiò. Giunta la flotta dalla Catalogna, prese la città di Napoli con la forza, essendo in seguito la regina in disaccordo con lui. Approdata la flotta all’isola di Ischia espugnò la fortificatissima rocca che vi si trovava. Durante la traversata prese Marsiglia e la saccheggiò. Liberò il fratello Enrico dall’autorità di Giovanni re della Spagna Meridionale, mentre si dirigeva verso la Catalogna. Occupato il ponte, in quanto l’isola era accessibile dal continente, assediò l’isola dei Lotofagi (Gerba). Messo in fuga Bofferio re dei Cartaginesi dal ponte lo privò degli accampamenti, portate via molte insegne militari e macchine da guerra. Ritornato nel regno di Napoli per chiamata di molti principi grazie al fratello Pietro riconquistò Gaeta. Sottomise gli avversari in battaglia regolare presso Troia, che si trova in Puglia. Alla fine essendo il più potente trionfò in modo meraviglioso di Napoli. Attaccata battaglia superò Antonio Caudola presso la città di Carpenone(?): cacciatolo ricostruì le città paterne. Per chiamata di papa Eugenio, trasferite le truppe nel Piceno, costrinse Francesco Sforza a ritirarsi dalle sue province. Mentre si trovava a Tivoli, morto nel frattempo papa Eugenio, mentre si facevano favori gli uni con gli altri riguardo l’elezione del nuovo pontefice, e sembrando che fossero sul punto di fare un’azione violenta, mandò al Collegio i migliori uomini tra i suoi, i quali partecipassero al Collegio, promettessero il suo aiuto e i suoi uomini, e trattenessero chiunque dal commettere violenze. Poiché da quel momento gli fu chiesto quale tra tutti i cardinali volesse che fosse scelto in quanto più potente, rispose quello che piacesse a Dio e al quale toccasse in sorte. Incalzato dai Fiorentini, dopo aver condotto l’esercito in Toscana, strappò loro Castiglione e certe altre città. A favore degli allora alleati e amici veneti, cominciata di nuovo la guerra contro i fiorentini, inviò in Toscana il figlio Ferdinando con le truppe. In seguito firmò la pace, una volta giunti presso di lui gli ambasciatori degli avversari, a quali condizioni volle. Ospitò con eccezionale riverenza Federico imperatore Romano, al quale aveva maritato una nipote, giunto con la sola moglie presso di lui per fargli visita, e lo congedò con i più ricchi doni. Nei confronti di ogni popolazione offre a qualunque nobile ambasceria che giunge presso di lui ospitalità, vitto in abbondanza e sontuosamente. Appassionato di filosofia, teologia e di ogni scienza dell’antichità, colto nelle restanti discipline liberali, dotato dalla natura di memoria ammirevole onora ciascun uomo erudito del nostro tempo, e li favorisce. Ricoprì nuovamente la città di Napoli, allineò i quartieri, ampliò il molo. Fece trasportare volumi quasi infiniti di opere nella sua biblioteca meravigliosamente decorata. Fece costruire una fortezza con un arco trionfale, seconda per magnificenza e per fabbricazione a nessuna opera nel mondo. Nei vasi d’oro e d’argento, nei simulacri e poi nelle gemme preziose, e nel restante lusso degno di un re, superò di gran lunga tutti i re del nostro tempo. Fu apprezzato unico tra tutti i re da papa Callisto come uomo grande nelle imprese, ancor più grande nel potere, al quale affidò la guerra contro Maometto principe supremo e ricchissimo dei Turchi.
Il ritratto di Niccolò Piccinino
Niccolò Piccinino, uno tra gli allievi della scuola di Braccio, il più famoso tra tutti, prima si mise in viaggio alla volta di Filippo Maria dalla Toscana con le truppe al seguito, e fece la traversata con la forza tra popolazioni nemiche e ostili a Filippo e a lui. La grande flotta padana dei veneti nonostante l’abilità di lui venne battuta, sebbene anche Francesco Sforza meriti pure una grande lode per quella vittoria. Penetrò, unico a memoria dei nostri antenati senza danni all’esercito, nella valle dei Porciferi(?) vicina a Genova, abitata da uomini indomiti, dopo aver innalzato due o tre volte alcune fortezze tra i colli, motivo per il quale era sceso nella valle, e mostrò che anche i selvaggi possono essere battuti. Sconfisse in battaglia l’esercito fiorentino, radunato dai molti condottieri delle milizie in ottomila cavalieri oltre i fanti, non lontano dalla città di Lucca, oltrepassato nel periodo più rigido dell’inverno il fiume Serchio, chiamato Anser, come credo, dagli antichi, il quale iniziava a gonfiarsi in quei giorni per le continue piogge, e gran parte dei nemici venne fatta prigioniera. Inviato da Filippo in Toscana con un esercito, ridusse per lo meno per un’estate sotto l’autorità di Filippo grandissima parte del territorio pisano e pistoiese, devastati e saccheggiati anche i territori presso i confini della città di Firenze. Nella valle Telina fiaccò i Veneti con una grossa sconfitta, arrivando a fare prigioniero Giorgio Coronario ambasciatore militare. Di nuovo sconfisse gli eserciti congiunti di Fiorentini, Veneti e di papa Eugenio, dai quali era assediato, in una importante battaglia presso Imola, nella stessa battaglia in cui furono fatti prigionieri quasi tutti i comandanti delle truppe nemiche. Subito dopo quella battaglia strappò quasi in un solo giorno a quello (Eugenio IV) Forlì, Imola, Bologna, città che obbedivano a Eugenio stesso. Lui stesso in seguito, dopo che Filippo si fu riconciliato con papa Eugenio, difese con la forza il supremo Stato della sacrosanta Romana Chiesa. Seppure con un esercito esiguo egli spesso non indugiò ad attaccare truppe più numerose di nemici. Essendo stato fiaccato da una ferita, posto da Filippo nella condizione migliore per tutte le sue cose, concluse la sua vita con quell’onore, per il quale anche il figlio Jacopo Piccinino a causa del suo straordinario valore un giorno sarà celebrato.
‘Il ritratto di Francesco Sforza’
Francesco Sforza, nato ed educato nei suoi accampamenti, fino a tal punto incominciò ad emergere dai tempi dell’adolescenza. Fu il primo perfino tra i primi comandanti a causa del valore dei quali Braccio cadde presso l’Aquila, divenuto capo dell’esercito paterno per supremo volere dei soldati. Assoldato da Filippo Maria nella guerra bresciana, offrì di sé una reputazione di grande comandante immediatamente con quotidiane incursioni alle porte di Brescia. Assediata la rocca della medesima città dai Veneti, la protesse a lungo contro l’esercito veneto. Emerse come l’autore principale insieme con Niccolò Piccinino della vittoria padana di Filippo, che fu grandissima nei confronti della flotta dei Veneti. Allontanatosi da Filippo, dopo aver radunato un grande esercito, ridusse sotto la sua autorità i popoli piceni. Nell’indugio e nell’inattività spesso rese vane le forze dei nemici. Comandante dell’esercito veneto conquistò Verona, dopo aver costretto le truppe di Filippo, che avevano invaso nottetempo clandestinamente la città attraverso l’ingresso della rocca occupata, ad allontanarsi. Fremente l’Italia per la guerra, lui stesso come comandante, scelto come arbitro tra i Veneti e i Fiorentini, dettò le condizioni della pace comune. Si sposò con Bianca, la figlia di Filippo, donna nobilissima. Assoldato dai Milanesi dopo la morte di Filippo, sull’esercito dei Veneti, fiducioso nelle numerose cavalleria e fanteria senza contare le truppe arruolate, fatta prigioniera gran parte dei nemici, ebbe completamente il sopravvento in battaglia. Provocato dai medesimi Milanesi che si contrastavano tra di loro a causa di diverse inclinazioni di parte, assediò e conquistò Milano. Impadronitosi in fretta del comando, mossosi con l’esercito contro i Veneti, dopo aver conquistato la maggior parte delle città intorno ai fiumi Oglio e Adda, assediò Brescia. È da collocare con successo tra gli assai rari esempi, sia di autorità e di imprese, sia di stretti rapporti intrattenuti con Filippo, Alfonso e il figlio di lui Ferrante.

Nessun commento: