Dopo aver tenuto cattedra a Pavia nel 1431-3 Valla girovaga un po’ per l’Italia in cerca di un protettore e arriva nell’Italia meridionale nel 1435 come addetto alla segreteria regia; a Napoli dal 1442 Valla conduce una vita più tranquilla e ricca di libri, discussioni dotte, una vasta biblioteca e “l’ora del libro” del re.
A Napoli fra il 1443 e il '47 Valla scrive tutte le sue opere più importanti e rivoluzionarie: la critica di Livio, il De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio, la Collatio Novi Testamenti ecc. ma questo periodo così produttivo è funestato dalle accese dispute con Facio e Panormita prima di tutto proposito delle emendazioni di Livio.
Gesta Ferdinandi regisA Napoli fra il 1443 e il '47 Valla scrive tutte le sue opere più importanti e rivoluzionarie: la critica di Livio, il De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio, la Collatio Novi Testamenti ecc. ma questo periodo così produttivo è funestato dalle accese dispute con Facio e Panormita prima di tutto proposito delle emendazioni di Livio.
Il racconto della storia di Ferdinando e del figlio nacque probabilmente per accattivarsi le simpatie del sovrano e addirittura forse aspirando al posto di storiografo regio. La composizione della parte a noi rimasta andò avanti dall’aprile del 1445 al febbraio del 1446 ma a quel punto si fermò (3 libri) nonostante nel titolo e in alcuni punti del testo avesse già messo le basi per raccontare la vita di Alfonso. La motivazione è probabilmente l’amarezza per le discussioni con Facio, che lo spinsero a lasciare al re una copia del suo lavoro mentre si recava un mese a Roma. Anche il re si allontanò e del testo approfittarono Facio e Panormita per comporre le quattro Invectivae (cfr) a cui Valla rispose con l’Antidotum in Facium (1446-7) in cui giustifica anche le sue scelte riguardo le emendationes di Livio. Nel frattempo Valla maturò la decisione di spostarsi a Roma, ambiente più sereno e produttivo e il ricordo (e forse perfino il manoscritto) dei Gesta rimase a Napoli.
TradizioneL’opera fu pochissimo menzionata e diffusa dall’autore e per questo ha una tradizione molto piccola (4 mss+autografo), contrariamente al solito di Valla, lo stesso Antidotum ci resta in 7 codici.
A Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6174. Frequenti correzioni e aggiunte interlineari. Il codice rimane a Napoli fino alla fine del quattrocento ma dal 1518 compare nella biblioteca di Blois arrivato forse con Carlo VIII. Da quel momento rimane sempre in Francia (1544 Fointainebleau) nella biblioteca del re. Si tratta di un autografo ma sicuramente non è l’originale, come si può dedurre da un’omissione poi restaurata a margine all’altezza del discorso di Ferdinando alla moglie e al figlio. Non si tratta neanche però della riscrittura definitiva dell’opera, visto il numero di rasure, correzioni e recuperi: Valla restaura le sillabe cadute, amplia il senso delle frasi o le chiarifica, uniforma la grafia e le forme verbali. Solo raramente e a margine Valla arricchisce il racconto di fatti totalmente nuovi (origine del nome di Lisbona, città e regno di Granada, espugnazione di Zahara, favole su Ercole). Discute anche della necessità di nuovi termini per nuovi oggetti ma poi elimina la digressione.
B Barcelona, Biblioteca Universitaria, 71. Potrebbe essere appartenuto ad un dotto spagnolo che visse a lungo in Italia fra Roma e Napoli e si interessò di cose spagnole, ma è un’ipotesi da verificare.
P Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6022. Impossibile identificare il copista. Titoli rubricati e iniziali in bianco, rubriche marginali del copista. Fece parte della biblioteca del re d’Aragona e quindi arriva a quella dei re di Francia a Blois.
Pr Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6022 A. Impossibile identificare il copista. Titoli rubricati e iniziali in bianco, rubriche marginali del copista. Il codice in compenso è appartenuto al medico di Carlo VIII, dal quale forse gli è stato donato nel 1496-8. Giunge alla biblioteca regia più tardi degli altri codici rapinati (A, Pr)
V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, Vat. Lat. 1565. Codice di gran lusso, che contiene anche il De dictis et factis Alphonsi regis Aragonorum di Panormita. Nonostante le insegne del mittente e del destinatario non si riesce a capire chi ha donato il codice agli Aragona o se è accaduto il contrario, forse i Piccolomini. Non fa parte della biblioteca aragonese e passa per le mani di Francesco Borgia (1493).
st. le stampe dipendono tutte dalla princeps romana del 1520. Parigi 1521, Parigi 1528, Vratislavia (Breslavia) 1546, Francoforte 1579, Francoforte 1603.
1. A è l’archetipo autografo comune a tutta la tradizione, che resta a Napoli con la copia regia r ma è strano che Valla non ne avesse una copia con sé, anche perché l’aveva promessa a Tortelli, quindi la tradizione si divide in due rami di cui uno perduto. Tra A e il resto della tradizione c’è un interposito più leggibile di A ovviamente perduto, probabilmente la trascrizione definitiva, un archetipo di tradizione ricostruito in base alle altre lezioni e alla tradizione indiretta dell’Antidotum. Tutti i codici superstiti eccetto A derivano da questo archetipo perché presentano 3 lacune congiuntive per salto di una riga, oltre a una serie di errori uguali e tre serie di errori particolari; inoltre in tutti i codici è presente l’inserzione fra il proemio e il testo e di rubriche marginali che accompagnano tutta l’opera.
Il nome della città di Granata era stato lasciato vuoto dal Valla perché lo riempisse il re, e lo spazio bianco si presenta in B, P, Pr mentre sparisce in V. In nessun caso lo spazio viene riempito quindi presumibilmente il re non lo fece mai, men che meno Valla che dopo essere tornato a Roma dimentica l’operetta.
2. Il codice r non è fra quelli rimasti a noi perché in nessuno sono riconoscibili correzioni, note o rubriche di mano del Valla, come afferma che fosse. Inoltre parlandone nell’Antidotum lo descrive come cartaceo, diviso in quinterni e dai margini alti per permettere al re di postillarlo: nessuno dei codici che ci rimane risponde a queste caratteristiche.
3. P deriva direttamente da r perché la facies del testo risponde alla descrizione fattane da Valla nell’Antidotum. Pr è un descriptus diretto di P perché presenta una serie di errori particolari e tutti gli errori di P, inoltre è possibile individuare in P la genesi di alcuni degli errori di Pr.
4. Al gruppo P(Pr) si oppone B V st per l’assenza della parte conclusiva della prefazione (concordemente all’autografo) e da una serie di errori e lezioni comuni. In particolare V e st si caratterizzano per una serie di lezioni comuni, mentre B ha molti errori propri che V e st non conoscono, mancano addirittura alcune rubriche.
B però restituisce in un caso la lezione dell’autografo contro gli altri mss, oltre a alcune grafie particolari che corrispondono a quelle usate da Valla in r.
5. Chiamiamo W la copia comune fra B V st e consideriamo che, essendo impossibile che V sia copia di st per ragioni temporali, non è possibile neanche il contrario perché V ha errori e lacune che st non conosce; sono dunque fratelli e hanno in comune z.
In base all’accordo di tutti è possibile ricostruire l’aspetto di α, le cui varianti possono essere considerate varianti d’autore oppure sviste dovute a Valla.
Besomi
Albanese
Criteri di edizione
Ortografia: considerando l’importanza dell’argomento alla metà del quattrocento, Besomi si preoccupa di restituire ortografia e punteggiatura il più possibile corrispondente alle consuetudini dell’autore, anche grazie al supporto dell’autografo; per fare questo si è appoggiato agli altri autografi conosciuti e ai testi di commento ortografico. Inoltre non uniforma le grafie oscillanti ma le rende per come sono, stante la convinzione dell’autore che fossero indifferenti (Historia, hystoria, istoria).
Sostituisce i a j, pure costante in ij
Distingue u/v secondo l’uso moderno
Sciogliendo pre, que non inserisce mai i dittonghi perché Valla non lo fa
Unisce -que (et) e quoque alla parola precedente, come d’uso
Stacca ne e ve, lascia le forme incerte
Rispetto alle assimilazioni riproduce la coerenza di Valla col latino classico, salve le forme in cui il senso etimologico si era perso anche in latino (summissum)
Ob e sub con t subiscono un’assimilazione indebita, come faceva notare già Facio, ma Besomi le conserva essendo questa la convinzione di Valla
Nella difficoltà a sciogliere l’abbreviazione per le nasali ci si è appoggiati a esempi coerenti in relazione alla lettera che segue: m+que ma n+q e in generale segue la regola di Prisciano n+c, d, t, q, f anche per i casi che non hanno attestazioni esplicite.
Mn e mpt sono sempre conservati ma criticati da Facio
Ct e nct presentano forme normali accanto a irregolari con c=tt o una c in più
Incertezze per ci, ti soprattutto in –icia, -ocia, -ocium, -ecia per cui si trovano ci e ti indebiti vicino a versioni giuste.
L’uso della h è generalmente corretto ma ci sono alcuni errori: ortus, ostium, alitus, Cartago, navarcus // coherceo, hanelans, sepulchrum, Hiolanda, humerus
Uso della y quasi sempre corretto in forme greche, eliminato da forme che non lo richiedono, ma si trovano alcuni errori: cytrus, eclypsis, hyemem ecc.
Uso regolare di ph e k, salvo oscillazioni su Alf/phonsus e un Calende
Cade la s in execror, executus, expecto, extant
Alcune parole sono irregolari per doppie/scempie (littera e composti, solicitus)
Incertezze sulla grafia dei composti di iacio
A/ab/abs non sempre rispettano le regole espresse in In errores Antonii Raudensis adnotationes, quindi non sempre presentano ab+liquida, j oppure abs+t, c, q
E/ex invece è più regolare per ex+vocale ma varia molto per e+l, m, p, t, v.
Le maiuscole sono quasi sempre regolari nel Valla per i nomi di persone, sempre ad inizio frase. Rispettate.
Non è stato possibile restituire in toto l’interpunzione perché l’autografo è molto diverso dalla tradizione e probabilmente essendo copia di lavoro ne presenta una versione provvisoria. Quindi si inserisce l’editore.
Valla progettava una divisione in capitoli e paragrafi corrispondenti a rubriche (importanti per aiutare la lettura) e angoli acuti segnati a margine, che arrivano solo fino al primo libro dell’autografo ma sono presenti in tutta la tradizione (quindi in α e r), l’editore li restituisce in un apparato così strutturato:
1° fascia: varianti d’autore di α, ricostruite in base alla concordanza dei codici e indicate con *. Le lectiones singulares e gli errori dei singoli codici vengono registrati solo nella nota al testo.
2° rubriche inserite a testo
3° citazioni esplicite e fonti retoriche.
Varianti
§1,10 §17,1 p.8 §17, 25
libro III § 13, 3: primogenio/primigenio non derivano da parole greche, è una forma culta di primogenitus - latino cristiano - volgare
Titolo
Nell’autografo c’è il titolo originale: Historiae regum Ferdinandi patri set Alphonsi filii.
Proemio
Il proemio è la sede della dichiarazione d'intenti, secondo il modello di Luciano: qui Valla usa per la prima volta la poetica di Aristotele, senza nominarlo perché lo usa in modo contrastivo soprattutto rispetto alla piramide epistemologica, la gerarchia dei saperi (retorica-etica-storiografia).
Il proemio è un documento molto interessante perché si discute la superiorità della storia (o almeno l’uguaglianza) rispetto alle altre discipline (la filosofia, per esempio) in base al criterio dell’antichità e dell’efficacia; inoltre si sostiene che poesia e storia hanno lo stesso fine ma la storia richiede maggiore impegno, saggezza più profonda e più raffinata sapienza civile. Inoltre per essere storici bisogna avere abilità letteraria e perizia retorica, solerzia, acume, capacità di discernimento, a maggior ragione quando si parla di tempi fatti o persone vicine all’autore.
Anche il breve testo fra il proemio e l’inizio effettivo non c’è nell’autografo ma è presente in tutti gli codici, compreso quello per il re che leggeva Facio; per di più Valla ne conferma l’autenticità contestando le correzioni di Facio e nell’Antidotum ne riporta la versione esatta e definitiva.
Il brano del proemio serve a sintetizzare ciò che è stato detto e ciò che si dirà, Facio sostiene che sia il titolo. Invece Valla vuole sottolineare che la sua materia è ben differente dai Chronicon medievali, che partivano sempre dall’inizio dell’uomo: è una monografia di modello sallustiano di argomento politico (Tucidide). Questo piccolo brano non è commatizzato perché non fa parte del proemio né dell’inizio del libro; inserito probabilmente dopo che aveva finito i tre libri.
Contenuto
I libro: Ferdinando I (1379) nasce da Giovanni I di Castiglia e Eleonora sorella di Martino il Vecchio, re d’Aragona; alla morte di Martino è reggente con la madre in nome di Giovanni II e combatte contro i mori, liberando Antequera
II libro: problemi ereditari alla morte di Martino il giovane erede legittimo. Al trono aspirano Ferdinando il conte Giacomo d’Urgel e Federico, figlio illegittimo di Martino.
III libro: rapporti con l’antipapa Benedetto XIII, matrimonio con Maria di Castiglia, concilio di Costanza ecc.
Fonti
La fonte storica principale è la Crònica de Juan II (in Crònicas de los reyes de Castilla), da cui Valla riprende la trama e l’illustrazione di alcuni particolari. Ci sono comunque alcune divergenze: alla messe di nomi della Crònica Valla oppone pochi nomi e molto caratterizzati, aggiunge alcuni episodi (l’assedio di Setenil, i cavalieri Diego Gomez de Sandoval e Giovanni Enriquez, la presa di Antequera e di alcune città dei dintorni) e altri ne toglie (il primo cavaliere entrato ad Antequera). Almeno, questa è la teoria che va per la maggiore visto che ci sono delle difficoltà nella datazione della Crònica, opera (per il periodo che ci interessa) di Alvar Garcia de Santa Maria che non è ancora stata pubblicata nella sua versione originale. Inoltre non ci sono studi sulla circolazione della Crònica, ma fonti indirette confermerebbero la somiglianza.
Esistono inoltre tutta una serie di passi e discorsi che nella Crònica non ci sono ma che hanno la loro fonte in documenti dell’epoca, probabilmente.
Lingua e stile
In effetti Valla mette spesso in bocca a personaggi sia maggiori che minori discorsi di tradizione classicheggiante (ma di uso già medievale) che non diminuiscono la realtà storica del fatto ma gli danno vividezza, realismo – come anche il racconto delle battaglie anche se svolto su modelli classici viene costruito in modo strettamente rispondente alla battaglia reale (anche perché non era cambiato molto il modo di guerreggiare).
La scrittura di Valla non è formalizzata, organizzazione non normalizzata di note e glosse, mise en page non regolare. Le correzioni d'autore intervengono sugli errori meccanici, sulla revisione stilistica (x perspicuitas) oppure aggiunte sostanziali storiche, mentre vengono eliminate le digressioni fuori tema (es. quella sui neologismi che elimina dalla 2° redazione in poi ma c'è nel testo mandato al Tortelli che lo cita nel De Ortographia).
A Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6174. Frequenti correzioni e aggiunte interlineari. Il codice rimane a Napoli fino alla fine del quattrocento ma dal 1518 compare nella biblioteca di Blois arrivato forse con Carlo VIII. Da quel momento rimane sempre in Francia (1544 Fointainebleau) nella biblioteca del re. Si tratta di un autografo ma sicuramente non è l’originale, come si può dedurre da un’omissione poi restaurata a margine all’altezza del discorso di Ferdinando alla moglie e al figlio. Non si tratta neanche però della riscrittura definitiva dell’opera, visto il numero di rasure, correzioni e recuperi: Valla restaura le sillabe cadute, amplia il senso delle frasi o le chiarifica, uniforma la grafia e le forme verbali. Solo raramente e a margine Valla arricchisce il racconto di fatti totalmente nuovi (origine del nome di Lisbona, città e regno di Granada, espugnazione di Zahara, favole su Ercole). Discute anche della necessità di nuovi termini per nuovi oggetti ma poi elimina la digressione.
B Barcelona, Biblioteca Universitaria, 71. Potrebbe essere appartenuto ad un dotto spagnolo che visse a lungo in Italia fra Roma e Napoli e si interessò di cose spagnole, ma è un’ipotesi da verificare.
P Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6022. Impossibile identificare il copista. Titoli rubricati e iniziali in bianco, rubriche marginali del copista. Fece parte della biblioteca del re d’Aragona e quindi arriva a quella dei re di Francia a Blois.
Pr Paris, Bibliothèque nationale, lat. 6022 A. Impossibile identificare il copista. Titoli rubricati e iniziali in bianco, rubriche marginali del copista. Il codice in compenso è appartenuto al medico di Carlo VIII, dal quale forse gli è stato donato nel 1496-8. Giunge alla biblioteca regia più tardi degli altri codici rapinati (A, Pr)
V Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, Vat. Lat. 1565. Codice di gran lusso, che contiene anche il De dictis et factis Alphonsi regis Aragonorum di Panormita. Nonostante le insegne del mittente e del destinatario non si riesce a capire chi ha donato il codice agli Aragona o se è accaduto il contrario, forse i Piccolomini. Non fa parte della biblioteca aragonese e passa per le mani di Francesco Borgia (1493).
st. le stampe dipendono tutte dalla princeps romana del 1520. Parigi 1521, Parigi 1528, Vratislavia (Breslavia) 1546, Francoforte 1579, Francoforte 1603.
1. A è l’archetipo autografo comune a tutta la tradizione, che resta a Napoli con la copia regia r ma è strano che Valla non ne avesse una copia con sé, anche perché l’aveva promessa a Tortelli, quindi la tradizione si divide in due rami di cui uno perduto. Tra A e il resto della tradizione c’è un interposito più leggibile di A ovviamente perduto, probabilmente la trascrizione definitiva, un archetipo di tradizione ricostruito in base alle altre lezioni e alla tradizione indiretta dell’Antidotum. Tutti i codici superstiti eccetto A derivano da questo archetipo perché presentano 3 lacune congiuntive per salto di una riga, oltre a una serie di errori uguali e tre serie di errori particolari; inoltre in tutti i codici è presente l’inserzione fra il proemio e il testo e di rubriche marginali che accompagnano tutta l’opera.
Il nome della città di Granata era stato lasciato vuoto dal Valla perché lo riempisse il re, e lo spazio bianco si presenta in B, P, Pr mentre sparisce in V. In nessun caso lo spazio viene riempito quindi presumibilmente il re non lo fece mai, men che meno Valla che dopo essere tornato a Roma dimentica l’operetta.
2. Il codice r non è fra quelli rimasti a noi perché in nessuno sono riconoscibili correzioni, note o rubriche di mano del Valla, come afferma che fosse. Inoltre parlandone nell’Antidotum lo descrive come cartaceo, diviso in quinterni e dai margini alti per permettere al re di postillarlo: nessuno dei codici che ci rimane risponde a queste caratteristiche.
3. P deriva direttamente da r perché la facies del testo risponde alla descrizione fattane da Valla nell’Antidotum. Pr è un descriptus diretto di P perché presenta una serie di errori particolari e tutti gli errori di P, inoltre è possibile individuare in P la genesi di alcuni degli errori di Pr.
4. Al gruppo P(Pr) si oppone B V st per l’assenza della parte conclusiva della prefazione (concordemente all’autografo) e da una serie di errori e lezioni comuni. In particolare V e st si caratterizzano per una serie di lezioni comuni, mentre B ha molti errori propri che V e st non conoscono, mancano addirittura alcune rubriche.
B però restituisce in un caso la lezione dell’autografo contro gli altri mss, oltre a alcune grafie particolari che corrispondono a quelle usate da Valla in r.
5. Chiamiamo W la copia comune fra B V st e consideriamo che, essendo impossibile che V sia copia di st per ragioni temporali, non è possibile neanche il contrario perché V ha errori e lacune che st non conosce; sono dunque fratelli e hanno in comune z.
In base all’accordo di tutti è possibile ricostruire l’aspetto di α, le cui varianti possono essere considerate varianti d’autore oppure sviste dovute a Valla.
Besomi
Albanese
Criteri di edizione
Ortografia: considerando l’importanza dell’argomento alla metà del quattrocento, Besomi si preoccupa di restituire ortografia e punteggiatura il più possibile corrispondente alle consuetudini dell’autore, anche grazie al supporto dell’autografo; per fare questo si è appoggiato agli altri autografi conosciuti e ai testi di commento ortografico. Inoltre non uniforma le grafie oscillanti ma le rende per come sono, stante la convinzione dell’autore che fossero indifferenti (Historia, hystoria, istoria).
Sostituisce i a j, pure costante in ij
Distingue u/v secondo l’uso moderno
Sciogliendo pre, que non inserisce mai i dittonghi perché Valla non lo fa
Unisce -que (et) e quoque alla parola precedente, come d’uso
Stacca ne e ve, lascia le forme incerte
Rispetto alle assimilazioni riproduce la coerenza di Valla col latino classico, salve le forme in cui il senso etimologico si era perso anche in latino (summissum)
Ob e sub con t subiscono un’assimilazione indebita, come faceva notare già Facio, ma Besomi le conserva essendo questa la convinzione di Valla
Nella difficoltà a sciogliere l’abbreviazione per le nasali ci si è appoggiati a esempi coerenti in relazione alla lettera che segue: m+que ma n+q e in generale segue la regola di Prisciano n+c, d, t, q, f anche per i casi che non hanno attestazioni esplicite.
Mn e mpt sono sempre conservati ma criticati da Facio
Ct e nct presentano forme normali accanto a irregolari con c=tt o una c in più
Incertezze per ci, ti soprattutto in –icia, -ocia, -ocium, -ecia per cui si trovano ci e ti indebiti vicino a versioni giuste.
L’uso della h è generalmente corretto ma ci sono alcuni errori: ortus, ostium, alitus, Cartago, navarcus // coherceo, hanelans, sepulchrum, Hiolanda, humerus
Uso della y quasi sempre corretto in forme greche, eliminato da forme che non lo richiedono, ma si trovano alcuni errori: cytrus, eclypsis, hyemem ecc.
Uso regolare di ph e k, salvo oscillazioni su Alf/phonsus e un Calende
Cade la s in execror, executus, expecto, extant
Alcune parole sono irregolari per doppie/scempie (littera e composti, solicitus)
Incertezze sulla grafia dei composti di iacio
A/ab/abs non sempre rispettano le regole espresse in In errores Antonii Raudensis adnotationes, quindi non sempre presentano ab+liquida, j oppure abs+t, c, q
E/ex invece è più regolare per ex+vocale ma varia molto per e+l, m, p, t, v.
Le maiuscole sono quasi sempre regolari nel Valla per i nomi di persone, sempre ad inizio frase. Rispettate.
Non è stato possibile restituire in toto l’interpunzione perché l’autografo è molto diverso dalla tradizione e probabilmente essendo copia di lavoro ne presenta una versione provvisoria. Quindi si inserisce l’editore.
Valla progettava una divisione in capitoli e paragrafi corrispondenti a rubriche (importanti per aiutare la lettura) e angoli acuti segnati a margine, che arrivano solo fino al primo libro dell’autografo ma sono presenti in tutta la tradizione (quindi in α e r), l’editore li restituisce in un apparato così strutturato:
1° fascia: varianti d’autore di α, ricostruite in base alla concordanza dei codici e indicate con *. Le lectiones singulares e gli errori dei singoli codici vengono registrati solo nella nota al testo.
2° rubriche inserite a testo
3° citazioni esplicite e fonti retoriche.
Varianti
§1,10 §17,1 p.8 §17, 25
libro III § 13, 3: primogenio/primigenio non derivano da parole greche, è una forma culta di primogenitus - latino cristiano - volgare
Titolo
Nell’autografo c’è il titolo originale: Historiae regum Ferdinandi patri set Alphonsi filii.
Proemio
Il proemio è la sede della dichiarazione d'intenti, secondo il modello di Luciano: qui Valla usa per la prima volta la poetica di Aristotele, senza nominarlo perché lo usa in modo contrastivo soprattutto rispetto alla piramide epistemologica, la gerarchia dei saperi (retorica-etica-storiografia).
Il proemio è un documento molto interessante perché si discute la superiorità della storia (o almeno l’uguaglianza) rispetto alle altre discipline (la filosofia, per esempio) in base al criterio dell’antichità e dell’efficacia; inoltre si sostiene che poesia e storia hanno lo stesso fine ma la storia richiede maggiore impegno, saggezza più profonda e più raffinata sapienza civile. Inoltre per essere storici bisogna avere abilità letteraria e perizia retorica, solerzia, acume, capacità di discernimento, a maggior ragione quando si parla di tempi fatti o persone vicine all’autore.
Anche il breve testo fra il proemio e l’inizio effettivo non c’è nell’autografo ma è presente in tutti gli codici, compreso quello per il re che leggeva Facio; per di più Valla ne conferma l’autenticità contestando le correzioni di Facio e nell’Antidotum ne riporta la versione esatta e definitiva.
Il brano del proemio serve a sintetizzare ciò che è stato detto e ciò che si dirà, Facio sostiene che sia il titolo. Invece Valla vuole sottolineare che la sua materia è ben differente dai Chronicon medievali, che partivano sempre dall’inizio dell’uomo: è una monografia di modello sallustiano di argomento politico (Tucidide). Questo piccolo brano non è commatizzato perché non fa parte del proemio né dell’inizio del libro; inserito probabilmente dopo che aveva finito i tre libri.
Contenuto
I libro: Ferdinando I (1379) nasce da Giovanni I di Castiglia e Eleonora sorella di Martino il Vecchio, re d’Aragona; alla morte di Martino è reggente con la madre in nome di Giovanni II e combatte contro i mori, liberando Antequera
II libro: problemi ereditari alla morte di Martino il giovane erede legittimo. Al trono aspirano Ferdinando il conte Giacomo d’Urgel e Federico, figlio illegittimo di Martino.
III libro: rapporti con l’antipapa Benedetto XIII, matrimonio con Maria di Castiglia, concilio di Costanza ecc.
Fonti
La fonte storica principale è la Crònica de Juan II (in Crònicas de los reyes de Castilla), da cui Valla riprende la trama e l’illustrazione di alcuni particolari. Ci sono comunque alcune divergenze: alla messe di nomi della Crònica Valla oppone pochi nomi e molto caratterizzati, aggiunge alcuni episodi (l’assedio di Setenil, i cavalieri Diego Gomez de Sandoval e Giovanni Enriquez, la presa di Antequera e di alcune città dei dintorni) e altri ne toglie (il primo cavaliere entrato ad Antequera). Almeno, questa è la teoria che va per la maggiore visto che ci sono delle difficoltà nella datazione della Crònica, opera (per il periodo che ci interessa) di Alvar Garcia de Santa Maria che non è ancora stata pubblicata nella sua versione originale. Inoltre non ci sono studi sulla circolazione della Crònica, ma fonti indirette confermerebbero la somiglianza.
Esistono inoltre tutta una serie di passi e discorsi che nella Crònica non ci sono ma che hanno la loro fonte in documenti dell’epoca, probabilmente.
Lingua e stile
In effetti Valla mette spesso in bocca a personaggi sia maggiori che minori discorsi di tradizione classicheggiante (ma di uso già medievale) che non diminuiscono la realtà storica del fatto ma gli danno vividezza, realismo – come anche il racconto delle battaglie anche se svolto su modelli classici viene costruito in modo strettamente rispondente alla battaglia reale (anche perché non era cambiato molto il modo di guerreggiare).
La scrittura di Valla non è formalizzata, organizzazione non normalizzata di note e glosse, mise en page non regolare. Le correzioni d'autore intervengono sugli errori meccanici, sulla revisione stilistica (x perspicuitas) oppure aggiunte sostanziali storiche, mentre vengono eliminate le digressioni fuori tema (es. quella sui neologismi che elimina dalla 2° redazione in poi ma c'è nel testo mandato al Tortelli che lo cita nel De Ortographia).
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