giovedì 28 febbraio 2008

La polemica Facio Valla

Il Regno di Napoli e Sicilia sotto gli Aragona
Nel 1442-3 Alfonso di Aragona detto il Magnanimo entra in Napoli “acclamato dalla folla” e immediatamente chiama a sé tutti i più grandi intellettuali e storici del tempo che non fossero già impegnati politicamente. Le tre punte sono Valla, Facio e Pontano.
Pontano, autore di un latino creativo e vivace, dà la prima definizione retorica sistematica della storiografia (Actius); Facio, autore invece del più puro e aureo latino ciceroniano del suo tempo, dietro richiesta di Alfonso emigra da Genova dove era cancelliere. Valla era il genio rivoluzionario e violento del suo tempo, che spontaneamente si presenta da Alfonso appena istituita la corte in cerca di protezione e promozione per le sue idee pericolose. Queste tre menti così brillanti fecero di Napoli il centro di una ricerca filosofica aperta, vitale sebbene spesso violenta a causa dello scontro fra la concezione ciceroniana della storia che aveva Facio e quella tucididea, pre-machiavellica e avanzatissima di Valla, in scontro perenne che troverà una sintesi nella figura di Pontano.
L'arrivo di Alfonso è seguito da grandi trionfi in stile romano, infatti la corte aragonese si baserà su due miti fondamentali: quello dell'hidalgo spagnolo, cavaliere che combatte per la fede nella reconquista, eroe senza macchia e senza paura nella difesa di donzelle e preti in pericolo, e quello dell'età dell'oro, traslatio o renovatio dell'impero romano, in cui Alfonso (ri)costruisce la sua figura sulla falsa riga di quella di Cesare, quindi ha bisogno di una storiografia ufficiale, in proprio o scritta da altri. Valla, in fuga da Roma per le sue idee pericolose, va a nozze con questa necessità, più tardi rivelatasi fallimentare.
Il pubblico è la corte di Napoli e le corti italiane e spagnole, è una storiografia estremamente dotta e aristocratica, non certo scritta per il popolo.
Dal re viene commissionata a Valla un'opera storica: la narrazione delle gesta di Ferdinando d'Antequera e quindi di Alfonso (Historiae Ferdinandi patri et Alfonsi filii) nei modi della trattazione tipicamente aragonese (dinastica) miscelato con la nuova avanguardia storicistica. Il progetto abortisce all'altezza della Historia Ferdinandi regis perché scritta troppo secondo l'ideale tucidideo di veritas quindi senza rispettare la ragion di stato né la magnificenza divina della figura reale. Verrà continuata da Facio secondo degli ideali più moderatamente statali.
La polemica Facio-Valla
Ci basiamo sostanzialmente su tre testi:
1) I Gesta Ferdinandi Regis et Alphonsi filii di Valla. Il testo è un raro esempio di scrittura militante che unisce teoria e pratica della scrittura storiografica umanistica
2) Le Invectivae in Vallam nell'edizione di Rao, che per quanto brutta e filologicamente non corretta è l'unica di riferimento, altrimenti ci si basa ancora sul manoscritto. Il testo è un esempio del genere umanistico dell'invettiva, di solito violentissima per quanto su argomenti altissimi e raffinati (di solito Pontano e Alberti usano la satira lucianea, più sottile e pungente), in questo caso contro i Gesta Ferdinandi, appunto
3) L'Antidotum in Facium nella bellissima e tecnicamente ottima edizione Regoliosi, in cui cita passi delle Invectivae (fonte indiretta).

In generale ci troviamo di fronte a un raro esempio di scrittura militante e dibattito metodologico aperto con tanto di auto-commento.
La polemica si svolge fra il 1447 e il 1450: nel 1445 Valla lascia un manoscritto incompiuto delle Gesta Ferdinandi alla biblioteca di corte; nel '47 si allontana da Napoli e a Facio “capita” di leggerle senza autorizzazione (la biblioteca è pubblica), se ne impossessa e con Panormita nelle “ore del libro” di corte ne critica tutto, a partire dagli errori di ortografia e grammatica del latino: in effetti Valla scriveva in un latino moderno, quasi volgare, comunque molto sciolto, quindi viene criticato frequentemente, per esempio anche da Panormita.
Quando Valla ritorna a Napoli non riesce a sapere nulla di preciso finché Facio e Panormita non pubblicano il IV libro delle Invectivae di cui Valla si impossessa e scrive l'Antidotum.

Facio critica Valla per i contenuti, la struttura e lo stile dei Gesta. Lo critica per l’assenza di eleganza = eloquenza, eleganza stilistica e arte, ovvero per il mancato uso del linguaggio tecnico.
Il primo appunto che muove è l’assenza di brevitas, quindi critica tutti i momenti in cui Valla inserisce deviazioni dal filo principale del discorso, le descrizioni rallentate e costruite per paratassi, le enumerazioni di azioni, cose, persone – le critica superflue, artificiose e contrarie alla brevitas ciceroniana.
In secondo luogo Facio consiglia una narrazione ordinata e lineare.
Infine dev’essere rispondente a verosimiglianza e probabilità OVVERO al rispetto del decorum e della dignitas dei personaggi rappresentati. Per questo critica tutte le scene in cui Valla descrive i sovrani in atteggiamento sconveniente e non dignitoso. Brevitas e dignitas assolvono al ruolo di filtro per selezionare i fatti utili ai fini propagandistico-celebrativi ed è una precisa scelta politico-culturale. L’orazione deve persuadere e lo fa applicando in modo coerente il punto di vista verso cui si vuole orientare l’uditorio.
La brevitas potrebbe essere desunta dalla fonte lucianea ma la base forte di Facio è la Rhetorica ad Herennium e il De Inventione con le norme per la narratio oratoria: l’oratore deve presentare l’argomento in modo brevis, aperta e dilucida, probabilis o almeno verisimilis. Valla per la cronaca se ne accorge e accusa Facio di applicare alla storia le categorie della retorica dell’inventio e lo invita a leggere Quintiliano e Cicerone nel De Oratore, dove sottolineano Cicerone l’affinità col linguaggio poetico alto, Quintiliano il canone della veritas, legge unica della storia.
Facio sviluppa una teoria già del De inventione secondo la quale la historia è genus a causa civilis remotum, privo di implicazioni politiche. D’altra parte già in Vittorino veniva sottolineato che brevis, aperta e probabilis devono essere i discorsi anche non politici; mancano studi sulla precettistica medievale.
Valla al contrario è fondamentalmente tucidideo: lo storico ha valore testimoniale in quello che dice prima di tutto in virtù della sua contemporaneità ai fatti narrati, inoltre il racconto della storia deve corrispondere alla verità in ogni modo e in ogni caso. Valla produce una storiografia iconoclasta talvolta compiaciuta.
La posizione di Valla naturalmente non attecchisce nella storiografia di corte, quella pilotata dai principi, e decade velocemente.

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