Istituzioni di Storia della Filosofia:
il Concetto di Causa nella filosofia Antica, Medievale e Moderna
Definizione prima e generale: la causalità è una relazione di causa/effetto fra due termini in cui si suppone che per spiegare il secondo ci sia bisogno di ricorrere al primo e il secondo si spieghi a partire dal primo.Antico
Si parte naturalmente da Aristotele (Metafisica, I,1): “la sapienza è conoscenza delle cause”, ma il problema era già stato esposto prima, con la nascita della filosofia.La filosofia nasce nella cultura greca nel IV sec a.C. nelle colonie dell'Asia minore (Mileto, in particolare) con Talete, Anassimandro e Anassimene che per primi si pongono il problema di quale sia il principio primo dell'universo e quindi la causa delle cose tutte. Naturalmente la filosofia vive anche del confronto con altre culture: araba, ebraica, egiziana, mesopotamica ecc.
MITOLOGIA
Forme di spiegazione causale si trovano anche nella mitologia (epica, lirica ecc), ma la svolta è data proprio dal cercare di dare delle risposte razionali. Prevale la continuità o la discontinuità? Bernard, ad esempio, è un continuista mentre Belgrado preferisce sottolineare la discontinuità in base ad un criterio formale: la mitologia è un racconto e come tale viene tramandato e considerato, mentre la filosofia fa affermazioni che hanno al loro centro il presupposto della veridicità e sono soggette a discussione: la filosofia pone il problema della veridicità del contenuto. La teologia rivelata, per esempio, non è filosofia perché si pone come narrazione e non come oggetto di discussione.Cfr Omero, Iliade, XIV,200 sgg.: Oceano viene rappresentato naturalisticamente come un grande fiume (tutta l'acqua del mondo) e mitologicamente come dio, uno dei padri degli dei, quindi personificato; ne parla Achille: *** e allude a un processo di causa/effetto:
Eccoti innanzi un alto fiume, il Xanto;
di' che ti porga, se lo puote, aita.
Ma che puot'egli contra Giove a cui
né il regale Achelòo né la gran possa
del profondo Oceàno si pareggia?
E l'Oceàn che a tutti e fiumi e mari
e fonti e laghi è genitor, pur egli
della folgore trema, e dell'orrendo
fragor che mette del gran Giove il tuono.
Omero, Iliade, XXI,190 sgg.: Era va ai confini del mondo per vedere e parlare con Oceano, ancora antropizzato:
“E a lui la scaltra: Io vado
dell'alma terra agli ultimi confini
a visitar de' numi il genitore
Oceano e Teti, che ne' loro alberghi
con grande cura m'educâr fanciulla.
Vado a comporne la discordia: ei sono
e di letto e d'amor per ire acerbe
da gran tempo divisi”.
La filosofia distingue fra i rapporti naturalistici e quelli mitologici, anzi le prime filosofie nascono proprio per districarsi dalla narrazione mitica nei contenuti.
PRIMI FILOSOFI
La vulgata dei libri di filosofia vuole che il problema della causalità nasca propriamente con Aristotele nella riflessione sul mondo attraverso fenomeni fisici concreti, ma già i milesii si pongono il problema della conformazione naturale e tentano di unificare i fenomeni fisici sotto l'unico principio dell'αρχὴ, il principio, appunto, la spiegazione unitaria. È difficile spiegare con precisione cosa sia l'αρχὴ per la distanza storica che separa noi dal loro linguaggio e loro dalla lingua delle prime opere filosofiche sistematiche. Abbiamo delle spiegazioni per esempio in Diogene Laerzio che nelle Vite dei filosofi racconta dettagli, tramanda frammenti e ne spiega in parte il significato.Αρχὴ può essere l'inizio temporale, il principio
può essere l'origine unitaria di fenomeni differenti, il primo sforzo di spiegazione causale diverso dal mito
Kelsen sostiene che le prime spiegazioni causali siano modellate in particolare sugli aspetti giuridici della società umana, per esempio Αιτια ha come suo primo significato l'imputazione di una colpa.
Nella discussione su quale sia l'αρχη, l'origine e la spiegazione/causa dei fenomeni
Talete sostiene che sia l'acqua (in base all'osservazione: tutto ciò che vive è umido),
Anassimene l'aria (cfr fenomeni di condensazione e rarefazione),
Anassimandro l'απειρόν, concetto di difficile traduzione che viene da α privativo + περόν = confine, limite diventa qualcosa di infinito, illimitato). Simplicio tramanda che “[Anassimandro] rispetto a chi dice che il principio è unico, mobile e limitato sostiene che l'αρχη è l'elemento primordiale ed è illimitato, introducendo per primo il termine αρχη. [...] un'altra natura infinita da cui provengono tutti i cieli e i cosmi che sono in essi, qualcos'altro oltre i quattro elementi [...] la generazione avviene per separazione dei contrari in eterno movimento [...] i contrari, in tensione a causa del movimento, sono caldo, freddo, secco e umido [...] secondo necessità [...]”: elementi di origine diversa per spiegare l'inconcepibile.
Senofane (fine IV a.C.): la rappresentazione degli dei viene fatta in forme umane perché familiari: se i buoi avessero dei li rappresenterebbero in forma di buoi. “Fonte dell'acqua è il grande mare, e dei venti ecc ecc”: spiegazione naturalistica “il genitore”, termine mitico e antropomorfico.
Eraclito (V sec) (sempre dalle narrazioni di Diogene Laerzio: presentazione articolata) “il fuoco è l'elemento primordiale e le altre cose sono prodotte per rarefazione e condensazione, secondo la legge dei contrari [...] tutto scorre [...]”. I contrari sono Guerra o contesa e Amore, è un tentativo più articolato di spiegare le trasformazioni cicliche in cui domina la guerra; anche in Eraclito il linguaggio si richiama alla struttura sociale umana.
Ippolito (?) πολεμος di tutte le cose è il padre, di tutte è il re.
ARISTOTELE (384-322 A.C.)
La metafora è sempre esistita in tutte le forme del linguaggio umano, ma generalmente viene usata coscientemente: in Omero è presa sul serio, è un linguaggio antropomorfico che spiega i fatti naturali e i loro processi causali.Uno dei grandi sforzi di Aristotele nella Metafisica è trovare il modo di fare che il mutamento (da uno stato a un altro, da una condizione all'altra della materia) sia oggetto di una scienza, in cui sia spiegabile in riferimento a qualcosa che non muta.
Anche nel Vocabolario filosofico di Abbagnano, Le Long, nel Dizionario delle idee e nell'Enciclopedy of Philosophy si riconosce l'ambito in cui nasce la causalità è lo spiegare il cambiamento da uno stato all'altro.
Legge: Aristotele, Metafisica, I, 980-1
Parentesi sull'arte: nel Dizionario delle idee per spiegare cosa sia l'arte parte dal concetto di origine romantica (libera creazione) e solo in parentesi spiega che per i greci τεχνη sono tutte le attività originate da coscienza e ripetibili.
Nel dizionario filosofico a cura di Abbagnano la definizione generale è “ogni insieme di regole adatte a dirigere una qualsiasi attività umana”.
In Aristotele l'arte è il giudizio generale che si forma dall'osservazione di molte esperienze e che permette di ripetere infinitamente e con gli stessi risultati quell'esperienza – è conoscenza degli universali.
È sapiente chi conosce le cause delle cose, chi è in possesso di un sapere teoretico ed è in grado di insegnare, mentre chi fa senza conoscere gli universali che stanno alle spalle delle cose non è in grado di insegnare.
C'è una differenza di grado, dove l'arte è a metà fra esperienza e scienza, poi corretta in opere più mature dove distingue fra ciò che nella produzione cambia in relazione alle diverse circostanze e ciò il cui prodotto a prescindere dalle circostanze rimane sempre uguale a se stesso. Mentre l'esperienza ci dà esempi limitati (la sensazione è un vero imperfetto) l'arte in seguito a diverse e molteplici esperienze dà conclusioni generali. È qualcosa che si applica alla pratica, alla conoscenza utile.
Conoscere è un conoscere causale quindi razionale nella misura in cui si basa solo sull'esperienza, ma cmq significa sapere perché e come sono le cose.
In età contemporanea la fisica quantistica re-immette il sapere concettuale-causale nel concetto delle sue limitazioni, non sempre alla stessa causa (soprattutto in campo scientifico) segue lo stesso effetto.
Aristotele enumera 4 classi di cause: materiale, formale, efficiente e finale. Queste sono specificazioni della sostanza globalmente intesa, che è dunque il vero principio o la causa dell'essere. Nei processi naturali causa formale, efficiente e finale sono una cosa sola
nei processi artificiali le cause sono distinte fra loro.
Le cause quindi sono identiche in tutti i processi non per numero, ma per analogia, ovvero tutte le cause di una certa classe stanno nello stesso rapporto con le cose di cui sono causa (bronzo:statua=legno:sedia ecc).
Aristotele rileva come fossero già state intraviste dai precedenti pensatori: causa materiale ed efficiente dai fisiologi , causa formale dai pitagorici e da Platone, causa finale da Anassagora e da Platone; ma hanno insistito su una sola delle cause lasciandosi sfuggire le altre, non hanno spiegato bene come agiscono.
La nozione aristotelica di movimento è più ampia della nostra, che ne rappresenta solo una delle accezioni, quella di movimento locale, spostamento nello spazio di un corpo da un punto a un altro ed è una nozione di tipo solo quantitativo, mentre per Aristotele il movimento coincide con mutamento, include e privilegia le trasformazioni da uno stato all'altro e quindi ogni forma di sviluppo organico. Il movimento è il processo per il quale un ente in potenza si attua (ma non significa né essere in atto né essere in potenza). Esistono tre tipi di mutamento: secondo la sostanza, secondo la quantità, secondo la qualità e movimento locale che può essere naturale o violento. Anche il movimento locale è un’attuazione della potenzialità in quanto ogni oggetto in quanto terrestre p.e. ha in potenza la tendenza verso il centro della terra.
Perché si verifichi un mutamento bisogna postulare una causa in atto che lo produca e che ne sia esterna.
Attraverso il concetto di sostrato e il passaggio da privazione a forma Aristotele supera la difficoltà a parlare di non essere e di mutamento, perché dal non-essere che non può venir pensato si relativizza nella privazione di una caratteristica (la forma), passaggio da uno stato a un altro.
Causa materiale
La causa materiale è la MATERIA, ciò di cui l'oggetto è costituito e che rimane nella cosa (il legno della sedia).
Può essere considerata come un insieme di potenzialità che verranno fuori nel processo, contiene in potenza le caratteristiche della forma con una variabilità possibile; una delle spiegazioni dei mostri è l'indeterminazione della materia che domina sulla forma, non è un mondo perfettamente ordinato.
Causa formale
La causa formale o FORMA è il modello, l'essenza necessaria della cosa, l'insieme di caratteristiche morfologiche e funzionali necessarie a fare quell'oggetto con quelle specifiche caratteristiche (più i caratteri accidentali), non esiste materia che ne sia priva; è ciò che veramente compete all'oggetto, ciò che fa che un uomo sia un uomo e non un mostro e così via es. la natura razionale è causa formale dell'uomo.
La materia contiene la potenzialità che verrà tradotta in atto (il seme dell'uomo ha in sé le caratteristiche specifiche dell'uomo: vivo, mobile, razionale – che verranno tradotte in atto al termine dello sviluppo, costituiscono la forma uomo ovvero contengono tutto ciò che fa sì che un uomo sia un uomo). La funzione è legata direttamente alla necessità, è il punto d'arrivo di processi graduali.
Gli enti immutabili e non dotati di materia che formano la necessità assoluta corrispondono alla pura forma (?).
La forma a titoli diversi precede l'inizio del processo: è elemento interno del processo, precede il fine nella mente dell'artefice ma il processo necessita che ci sia una causa efficiente che contenga in atto in quel senso preciso.
La forma allora è sia iniziale (il compiersi delle potenzialità contenute nel seme o nella mente, l'attuazione di una funzione ) che finale (prodotto compiuto, ciò che uscirà), sono le caratteristiche previste e le caratteristiche finali dell'oggetto, è sinonimo di essenza.
Ogni sostanza fisica è pensabile come SINOLO di materia e forma.
Causa efficiente
La causa efficiente è quella che dà inizio al mutamento o alla quiete, ossia ciò che origina qualcosa (il padre è causa efficiente del figlio).
L'espressione “causa efficiente” ci viene dalla scolastica aristotelica, significa chiedersi “da cosa è prodotto l'oggetto in questione”, nel senso della causa motrice. Fra le varie classi di cause è la più vicina al nostro concetto di causa come ciò che precede e determina un effetto.
Causa finale
La causa finale è lo scopo a cui una cosa tende (divenire adulto è la causa finale del bambino), ciò in vista di cui avviene il mutamento. La causa finale corrisponde all’esplicarsi di un ordine immanente in natura secondo il quale ogni processo si conclude sempre nello stesso modo.
Proporsi un fine è un termine non casuale, implica un'evoluzione.
L'evoluzione procede da (?) la causa finale + causa motrice + essenza (= modello che presiede lo sviluppo o la produzione dell'oggetto; causa formale del processo).
Tutto agisce in vista di un fine e vi è maggior finalità nella natura che nell'artefatto.
La causa finale è esterna perché SARÀ atto, ma non è già presente nella causa motrice.
Le parti degli animali, I,1,639a-b: problema metodologico: conviene partire analizzando le cose che gli esseri animati hanno in comune (nascere, crescere, respirare, decadere e morire) oppure le differenze (camminano, strisciano, nuotano, volano)? E quindi risalire dagli effetti alle cause o dalle cause agli effetti?
Successivamente spiegherà che nella conoscenza scientifica bisogna invertire il processo di conoscenza naturale per noi (effetti-cause) e quindi procedere dalle cause agli effetti.
Potenza e Atto
L'ATTO corrisponde sia all’εντελεχεια (condizione di qualcosa che abbia raggiunto il proprio fine, che abbia attuato tutte le proprie possibilità) che all’ενεργεια (il processo dell’attuarsi, dell’esplicarsi delle funzioni proprie di un ente che abbia attuato la propria εντελεχεια).
L’atto è forma compiuta sia come termine del processo che come inizio di un nuovo processo (perché crea i semi dell'atto a venire). L'atto è diverso dall'azione e piuttosto equivalente all'essenza, elementi stabili che in natura preesistono naturalmente e negli artefatti preesistono nella mente dell'artigiano.
L'atto possiede priorità gnoseologica, cronologica ed ontologica nei confronti della potenza: la conoscenza della potenza presuppone una conoscenza implicita dell'atto di cui essa è potenza; l'atto è temporalmente prima della potenza perché il seme non può derivare che da una pianta già in atto; l'atto è ontologicamente superiore alla potenza perché costituisce la causa, il senso e il fine della potenza.
La POTENZA esprime la possibilità e la potenzialità di qualcosa di trasformarsi in qualcos’altro.
La potenza esprime una necessità, è una possibilità a senso unico (dalle uova di un'aquila nascerà necessariamente un'aquila). La necessità quindi costituisce la modalità fondamentale dell'essere e il suo principale strumento interpretativo.
La coppia atto/potenza corrisponde a quella forma/materia, ma mentre quest’ultima dà conto della struttura statica del reale, la prima spiega dinamicamente i processi di trasformazione. I concetti di atto e potenza sono relativi e applicabili a molti ambiti della conoscenza e del sapere.
La necessità
In Fisica, II, 196a Aristotele indaga la relazione fra caso e necessità:
Metafisica V,5 è dedicato alla nozione di necessità e come la si può intendere in riferimento agli enti eterni o immobili (motore immobile, non mutevole): si parla di necessità assoluta (cfr). Tommaso d'Aquino annotando questo luogo della Metafisica dà una spiegazione diversa: ciò che è necessario assolutamente differisce dagli altri necessari perché la necessità assoluta si riferisce a una cosa secondo ciò che essa è nell'intimo e nel prossimo, sia che si tratti della forma o della materia o dell'essenza stessa delle cose; es. gli animali sono corruttibili perché la loro materia è composta di contrari, ma negli animali ci sono altri elementi necessari, diciamo anche che un animale è necessariamente sensibile poiché ciò deriva dalla sua forma dunque è altrettanto necessario ciò che si riferisce all'insieme della natura animale: è sostanzialmente animata e sensibile, l'essenza è possedere vita e sensibilità.
Metafisica V,4: fra le altre cose necessarie c'è anche la dimostrazione (sillogismo) perché non è possibile che le conclusioni siano diverse da quelle che sono, e la causa sono le premesse. Il sillogismo è una necessità interna a noi, al nostro modo di pensare, il nostro procedere per costruire un senso – mentre le altre sono ortologiche(?), esterne a noi.
Il sillogismo si muove da premesse universali e necessarie (tutti gli uomini sono mortali) a premesse particolari e necessarie (Socrate è un uomo) verso la conclusione (Socrate è mortale), che risulta implicita nella premessa. La soluzione riproduce le cose come stanno in realtà, la logica stabilisce i criteri del mio discorso, che è corretto nella misura in cui riproduce i nessi della realtà, secondo Tommaso impliciti nella necessità assoluta.
Fisica, II, 196a Aristotele indaga la relazione fra caso e necessità: fa rientrare nell'esperienza (a) i fatti che si riproducono sempre allo stesso modo (necessari e costanti) e (b) i fatti che si riproducono frequentemente, per lo più; nell'ambito del caso invece non rientra né la prima né la seconda categoria, sono fatti (c) che si riproducono come eccezioni di a e b in cui non c'è causalità, sono effetti della fortuna (che quindi esiste come possibilità).
Evidenzia in questo modo una concezione statistica della realtà, che viene cioè valutata in base a un parametro quantitativo (non attento alle modalità interne) distinguendo fra ciò che avviene quasi sempre o sempre (necessità) da ciò che non avviene quasi mai (casualità).
a sono detti τυται, le cose certe sono prodotti con intenzionalità avvengono in vista di qualcosa (c. finale)
b sono αυτοματον, cioè la spontaneità
c la τυχη ovvero il caso sono prodotti senza intenzionalità
In Fisica, II, 196b inoltre Aristotele tenta di distinguere (e accusa i presocratici [Democrito] di non averlo saputo fare) la finalità (a,b) come ciò che si produce con uno scopo sia per scelta: artefatti: intenzionalità cosciente, necessità condizionale; che senza scelta: natura: inconsapevole, agisce di fatto, necessità condizionata: appartiene, equivale a ciò che è eterno, cioè ciò che non muta e non può essere altrimenti.
I Conimbricensi distinguono fra un fine interno alla natura e un fine esterno, per esempio nelle opere della τηχνή (= i prodotti dell'arte).
Nelle Parti degli animali la finalità non viene più trattata come un concetto quantitativo come nella Fisica (ciò che accade sempre o quasi sempre), ma con un concetto meccanicistico, in termini di forma che si esplica nella funzione: es. l'occhio deve essere formato a quel modo per vedere (concezione intensionale in termini di essenza); le caratteristiche dell'uomo si sono formate così come sono perché erano presenti in potenza nella forma non a causa di un evento . La forma è necessaria ma alcune cose non sono finalizzato a niente e vi si oppongono alcuni elementi casuali non necessari e non finalizzati (finalità meccanica) – questo però succede solo nei corpi organici.
Le parti degli animali, 640a: allusione non esplicita ad altre opere in cui avrebbe trattato queste cose.
La necessità condizionale
Per spiegare il prodotto finale sono necessarie diverse condizioni adatte, che da sole non sono sufficienti, è quindi necessaria anche la consequenzialità ( = successione temporale) delle azioni.
640a,5 (dalla traduzione inglese di Ross & Smith): poiché è ciò che ancora deve prodursi, sia che si tratti della salute o dell'uomo, che in base a certi caratteri possono prodursi, perché ci siano degli effetti devono esserci anche gli antecedenti, ma gli antecedenti non rendono necessario che si crei l'effetto; l'esito non è scontato né necessario, sono necessarie le premesse, mentre le conclusioni non sono necessarie al processo.
Necessità meccanica
In Aristotele spontaneo (= αυτοματον) ciò che si dà da sé, non è obbligato/forzato ad essere , spontaneità significa assenza di forma, qualcosa che non segue la forma nella sua funzione di causa finale = assenza di intenzionalità, dove il modello di partenza è l'attuazione di una funzione (=finalità). es. in alcuni esseri organici alcuni elementi o caratteri sono finalizzati a qualcosa, altri non hanno funzione biologica, non determinano nessuna funzionalità, quindi sono casuali rispetto a ciò che è funzionale (es. il colore degli occhi).
Ci sono anche processi che non rispondono a delle necessità, sono non finalizzati ma non si possono dire casuali in senso proprio: si parla di ma necessità meccanica e non finalizzata es. la corruzione: ogni essere organico dotato di corpo nel mondo sublunare subisce uno sviluppo, che risponde all'attuazione della forma e poi il decadimento e la corruzione (Aristotele non lo teorizza chiaramente), che è appunto una necessità meccanica, dal momento che i corpi sono degli aggregati.
Necessità assoluta
641b,15 Torna al concetto di finalità quantitativa e ricorre alla nozione di forma per spiegare la conformazione del cielo, ancora più necessaria di quando si parla di esseri viventi perché il cielo è caratterizzato dall'ordine, dalla perfezione del moto circolare e dalla precisione dei movimenti delle sfere rotanti che trascinano nel loro moto i pianeti, le stelle e la luna; inoltre è fatto di etere e quindi non soggetto a corruzione.
Aristotele quindi distingue fra i fenomeni casuali terrestri e quelli ordinati celesti, sempre uguali a se stessi. Qualcosa di dovuto al caso (disordine) è presente nel nostro mondo ma qui c’è una concezione di ordine = necessità legata all’essenza delle cose es. i mostri si creano quando la materia non risponde alla forma e si crea un’eccezione alla norma quantitativa.
La necessità assoluta è ciò che non può essere in modo diverso da come è, ed è principale sugli altri tipi storicamente o concettualmente (serve a capire gli altri tipi di necessità).
LUCREZIO
Tratta la primarietà dell'organo sulla funzione e l'idea della selezione naturale (già in Empedocle e derivate da Epicuro – sono idee diverse da quelle di Aristotele). L’armonia attuale del creato non viene da Dio ma è frutto della selezione naturale: scompaiono le specie non perfette.De Rerum Natura, IV, 822-857:
Illud in his rebus vitium vementer avemus /te fugere… Qui voglio che tu fugga a ogni costo quel vizioso ragionamento, ed eviti con ogni cautela l’errore di credere che il limpido lume degli occhi sia stato creato perché possiamo vedere; e per consentirci di muovere lunghi passi, le estremità delle gambe e delle cosce fondate sui piedi possano piegarsi; o, ancora, che gli avambracci siano congiunti ai bracci robusti, e ci siano date mani come ancelle ai due lati, perché possiamo compiere quanto occorre alla vita. Tutte le altre spiegazioni di tal genere, che gli uomini danno, stravolgono la verità con assurdo ragionamento, perché nessun organo si è formato nel corpo pr consentirci di usarlo, ma ciò che è nato genera poi l’uso. Né la vista fu prima che nascesse il lume degli occhi né l’esprimersi colla parola avanti che fosse creata la lingua precorse di molto il parlare, e le orecchie furono create ben prima che si udissero i suoni e insomma tutte le membra esistettero, io credo, prma che sorgesse il loro uso. Al contrario, azzuffarsi nella mischia della battaglia e lacerare membra e bruttare il corpo di sangue, furono molto prima che volassero i lucidi dardi, e la natura costrinse ad evitare le ferite prima che il braccio sinistro, educato dall’arte, opponesse a difesa lo scudo. E, certo, abbandonare il corpo stanco al riposo è più antico che le morbide coltri del letto, e spegnere la sete nacque prima dei calici. Si può credere dunque che in vista dell’uso siano stati scoperti questi oggetti, ispirati ai bisogni della vita. Ma sono a parte tutte quelle cose che, già prima formate, suggerirono poi la nozione della loro utilità. Tra queste in primo luogo vediamo i sensi e le membra; dunque più che mai sei lontano dal poter credere che per l’utile loro funzione siano stati creati.
Abbiamo gambe per camminare, mani per servirci – tutte le cose sono invertite in base a un ragionamento stravolto: inversione del nesso causale! Nessuna cosa è nata per la sua funzione, è l’organo che crea l’uso; le membra esistevano prima che esistesse l’uso quindi non sono finalizzate all’uso che se ne fa.
De Rerum Natura, V, 420-82 e sgg.:
Nam certe neque consilio primordia rerum/ ordine se suo quaeque sagaci mente locarunt Ché certo non secondo un piano i princìpi del cosmo si disposero ciascuno a suo luogo con mente sagace, né davvero pattuirono i moti che ognuno dovesse produrre; ma perché numerosi e in molti modi i primi elementi, da tempo infinito sollecitati dagli urti e trascinati dal loro peso, sogliono muoversi e aggregarsi in ogni maniera, e tutto sperimentare ciò che possono produrre combinandosi fra di loro, quindi avviene che disseminati per età immensa, tentando ogni genere di aggregamenti e di moti, alfine s’uniscono quelli che, spinti insieme ad un tratto, di grandi cose divengono spesso i princìpi, della terra del mare del cielo e delle creature viventi.
Quaggiù non si poteva scorgere allora il disco del sole volare in alto diffondendo la luce, né le stelle del vasto firmamento, né il mare, né il cielo e nemmeno la terra né l’aria, né alcuna cosa simile alle nostre; [segue]
Ipotesi cosmologica: dal caos, ammasso di materia vien fuori il mondo: gli elementi non si distribuirono in base alla finalità, sono soliti vagare o aggregarsi fra loro in ogni modo ma alla fine alcuni elementi improvvisamente si aggregarono formando qualcosa che ha dato origine a grandi cose (mare, cielo…) quindi gli elementi causali sono il peso e il moto degli atomi non la finalizzazione né la necessità della forma.
De Rerum Natura, V, 836-856:
Multaque tum tellus etiam portento creare / conatast mira facie membrisque coorta Anche molti prodigi a quel tempo si sforò di creare la terra, nati con volti e membra mirabili e strane: l’androgino, fra i due sessi né l’uno né l’altro, da entrambi lontano; esseri monchi dei piedi o a loro volta privi delle mani, e anche muti e senza la bocca, senza viso ciechi, e attratti in tutto il corpo per l’aderir delle membra, sicchè non potevano far nulla né muoversi da nessun lato né evitare un pericolo né prendere ciò che era necessario. Ogni sorta di simili mostri e prodigi generava, ma invano, perché la natura tolse loro di crescere, né poterono toccare l’agognato fiore dell’età né trovare cibo, né congiungersi nell’atto di venere. Molte cose, è evidente, devono concorrere negli esseri, perché riproducendosi possano moltiplicare le stirpi; anzitutto bisogna che ci siano alimenti, poi nelle membra passaggi per cui il seme genitale possa fluire dal corpo rilassato; e, perché la femmina possa congiungersi al maschio, devono entrambi avere ciò che ci vuole per scambiarsi mutui diletti.
Molte specie viventi dovettero allora perire né poterono, riproducendosi, formare una discendenza.
I mostri e la selezione naturale: la natura crea mostri, cioè esseri manchevoli di organi fondamentali poi però non ne permette la sopravvivenza o la permanenza sulla terra né l’espletazione di funzioni vitali e riproduttive quindi si estinguono
POI… FINALISMO VS SELEZIONE NATURALE
Nell’ellenismo prevale il modello aristotelico della prospettiva di funzioni/finalità come elemento esplicativo della realtà.Galeno (131-201), in Le parti degli animali sviluppa la teoria aristotelica ed è il modello accettato dalla scolastica e dal cristianesimo fino al ‘5-600. In particolare il cristianesimo segue l’idea generale della finalità ad opera di Dio.
Con Cartesio inizia la rottura con il modello aristotelico: non rifiuta la presenza di cause finali ma introduce un’istanza di ordine epistemologico che riguarda il criterio di ri** nel mondo della fisica: Dio crea fini nel mondo a noi ignoti e dal momento che non li possiamo conoscere la fisica non se ne cura.
Il fisico deve attenersi a ciò che vede non deve ricercare cause finali (non servono a spiegare i fenomeni), deve attenersi alle cause meccaniche.
Non c’è finalità, l’unica necessità è di tipo meccanicistico.
Corrispondenza fra organo e funzione ma chi è manchevole di organi si estingue
Si creano degli organi e in base a come si sono formati hanno certe funzioni
Nella filosofia moderna da una parte si sviluppa la fisiologia cartesiana, dall’altra si crea una corrente anti-cartesiana anti-finalistica e anti-materialistica fra cui uno dei primi esponenti fu La Mettrie (1709-51), materialista che insistette sulla concezione epicurea a scapito di quella aristotelica
Pascal, Apologia: dimostrazione dell’esistenza di Dio dall’armonia degli organismi viventi e dalla perfezione dell’organico: da osservazione al miscroscopio / apologetica = difesa della religione.
1746 Diderot in Pensieri filosofici si esprime inizialmente con tesi deistiche, secondo le quali a partire dalla perfezione degli organismi si dà la prova dell’esistenza degli dei ma subito dopo nella Lettera sui ciechi a uso di coloro che vedono (1749) rovescia la concezione deistica e riporta la tematica della selezione naturale: sparisce chi non è perfetto. Poi ripreso da Lamark (finalistico) Vs Darwin.
Medievale
La nozione di causa efficiente nel cristianesimoIn Aristotele la causalità efficiente è un termine poco elaborato, delle 4 cause è quella meno elaborata ma necessaria: ogni cosa è mossa da qualcos altro.
Ciò che ad Aristotele interessava spiegare sono la forma e la materia nei modi che abbiamo visto. Come sappiamo ciò che muove (c. motrice) è la causa prima, motore immobile. Il processo causale non può risalire all’indietro all’inifino senza trovare un’origine logica, quindi A. pensa ad un motore immobile che spieghi il moto nel mondo: non muove per contatto ma come c. finale: attraendo verso di sé tutto ciò verso cui la realtà tende.
ALBERTO MAGNO (1206-1280)
Nella Metafisica (1262-70) coglie l’assenza di qualcosa nella teoria aristotelica e suggerisce che Platone abbia concepito qualcosa di diverso, una causa efficiente più simile al concetto cristiano nel Timeo.Altre soluzioni erano state trovate anche prima da un ebreo ellenizzato poi da Agostino eccetera ma questa prende piede in tutta la cristianità.
Alberto Magno individua due tipi diversi di causalità: la causa che induce un mutamento in senso proprio (causa motrice) e la causa che ha prodotto ogni cosa (causa efficiente). La causa efficiente, in quanto origine di tutte le cose compreso il motore e il mosso ha priorità cronologica rispetto alla causa motrice.
PLATONE (427-347 A.C.)
Il Timeo è l’ultimo tentativo di spiegare la relazione fra i modelli eterni e immutabili della realtà in base a cui la realtà si è formata.In altri momenti aveva spiegato come alla nostra realtà preesistessero degli archetipi, ma nel Timeo tralascia le spiegazioni precedenti e chiama in causa un argomento di tipo mitologico con una divinità (il Demiurgo) che foggia l’insieme di questo mondo sul modello delle idee: intende dire che (come Anassagora) non sono state leggi meccaniche ma un’intelligenza ordinatrice, inoltre sostituisce ad altre spiegazioni (Esiodo, i naturalisti) una prospettiva cosmologica di passaggio dal caos informe al cosmo. La materia delle origini è indicata come un ricettacolo (χωρα) da cui il demiurgo trae lentamente il mondo dei corpi usando le forme geometriche, nel donare la loro immagine per la creazione del mondo le idee non perdono nulla della loro trascendenza.
p. 177 § 28 contrappone il mondo delle idee al mondo in divenire
§ 28 b il demiurgo interviene sul mondo in divenire secondo il modello delle idee e vi organizza la realtà, per questo crea un mondo bello.
La finalità positiva è data dal fatto che i valori bello/buono sono contenuti negli archetipi. Anche nella finalità aristotelica ci si riferisce a qualcosa che non muta ma con differenze evidenti: il modello in Aristotele è un modello organico, mentre nel Timeo ci si riferisce ad un artefice umano, idee e archetipi sono esterni rispetto al demiurgo, a sua volta superiore rispetto alle forme create per la capacità di vedere le idee. Il demiurgo è simbolo dell’intelligenza o del finalismo che c’è nell’universo, mentre la materia esprime la resistenza, la casualità che la ragione incontra nel tentativo di spiegare razionalmente il mondo (l’intelligenza del demiurgo persuade la necessità della materia – dove necessità in questo caso indica l’inesplicabile resistenza all’ordine della casualità delle cose).
p. 185 § 30 ipotesi dell’anima del mondo: la creazione è migliore se dotata di pensiero, e il pensiero sta solo in corpi dotati di anima, quindi il mondo ha un’anima.
Al contrario secondo Aristotele l’anima è propria solo dei corpi organici (di fronte al modello mitico Ar. Cerca sempre di riportarlo a termini non mitici).
Seguono paragrafi sulla composizione del mondo e su come il demiurgo lavorando su materia preesistente in disordine e vi sostituisce l’ordine.
p. 193 § 33 per evitare la morte il demiurgo porta il mondo alla forma sferica ritenuta la più perfetta perché senza inizio né fine, dal centro equidistante da tutti i suoi punti e la più simile a se stessa, inoltre l’insieme non si muove (se non per una rotazione costante su se stesso), mentre le sue parti sono in continuo divenire di nascere e morire.
Qui Alberto Magno vede qualcosa di più simile a quello che lui cerca, un modello di intervento compatibile con il Dio cristiano per la presenza del demiurgo, per l’idea di formazione consapevole, volontaria di tutto che ha come scopo l’oggetto migliore fatto divenire. Il motore immobile attirava a sé in quanto causa finale, non come causa efficiente.
È un modello che non si impone subito nel cristianesimo.
Introduce l’idea della discontinuità fra caos e cosmo (in divenire ma stabile e perfetto quanto più possibile).
Nel Timeo Platone distingue due nozioni di eternità che nel seguito (37d e sgg) esplica: eternità come fuori del tempo e eternità come tempo eterno. Il mondo creato dal demiurgo è eterno perché da quel momento non verrà meno, l’insieme resterà unito; il mondo diviene secondo la legge dei numeri;
In generale il movimento è segno di mutabilità e corruttibilità, mentre il tempo segnato dal movimento degli astri è l’immagine sensibile più adeguata a esprimere la perfezione e l’eternità delle idee, ma rappresenta anche la misura ideale del movimento imperfetto del mondo corporeo.
(…)
Il tempo è contrapposto all’atemporalità, l’assenza di tempo, l’essere sempre identici a se stessi in un eterno presente: l’espressione “è” si applica solo alla sostanza eterna, per contro “sarà” e “era” sono termini per ciò che nasce e progredisce nel tempo, per ciò che diviene, diverso da ciò che è fuori del tempo.
È importante per l’applicazione al dio cristiano l’atemporalità, l’essere fuor del tempo, non mutato: per Aristotele l’eternità del tempo aveva senso in riferimento a movimento e mutamento (Fis 221b: il tempo è la misura del mutamento), gli esseri eterni in quanto eterni non sono nel tempo poiché il tempo non li avvolge e non ha su di loro nessun effetto. Il mondo è eterno (nel senso di durata indefinita, non atemporale): i processi che vediamo ci sono sempre stati e sempre saranno, non hanno avuto inizio. Viene abbandonato il mito dell’opposizione fra caos e cosmo. Il tempo produce una certa passione (πάσχειν = subire, essere passivi), il tempo consuma, è causa di distruzione poiché è la misura del movimento e il movimento disfa ciò che è (ma non è l’unico modo di considerarlo). La realtà è fatta solo di individui per quanto caratteristiche essenziali individuali.
IL CONCETTO DI CREAZIONE
La creazione dal nulla come concetto non esiste nell’antichità classica e nemmeno nella cultura ebraica della Genesi.Dio creatore dal nulla (causalità efficiente eterna):
⓵ per Platone c’è stato un passaggio dal caos al cosmo,
⓶ per Aristotele il mondo è da sempre e durerà per sempre
⓵ Somiglianza fra la genesi e Platone: l’idea neoplatonica dell’emanazione (nel senso di somiglianza delle cose al modello delle idee) è ripresa da alcuni pensatori cristiani (già menzionata in Salomone e negli apocrifi) e vi si schiera contro Tommaso mentre è fondante nella teoria Plotiniana: l’Uno, eterno e fuori del tempo si esprime per emanazione necessaria creando una molteplicità via via digradante per valore da spirituale a materiale (semidivinità, cieli…). La novità sta nel fatto che all’uno non preesiste niente, non presuppone niente dietro di sé e che l’uno produce necessariamente e non per libera scelta
Sia in Platone che in Aristotele esiste qualcosa che sempre è stato, identico a se stesso
⓶ Aristotele concepisce solo un non essere relativo per cui nel divenire le cose mutano le loro qualità ma non vengono generate da un assoluto non essere per precipitare poi in un assoluto nulla: Ar. concepisce caos e materia come mere funzioni logiche e non come realtà di fatto.
Il cristianesimo adotta un concetto di causalità efficiente opposto a tutti questi, con caratteristiche del tutto diverse dagli altri modelli, in sostanza un diverso concetto della causalità efficiente; cerca però di adattare il modello platonico.
TOMMASO
Tommaso è il principale diffusore di Aristotele ma si oppone sia a quel modello che a quello di Platone.Questioni 45, Art. 1 cosa si debba intendere per creazione:
per Aristotele la creazione è mutatio (cambiamento: ogni tipo di divenire è un mutamento), infatti per mutatio ci si riferisce a un soggetto che in sé resta lo stesso ma che prima e dopo è soggetto a mutamento. La creazione non è questo.
Tommaso si richiama per contrapposizione alla continuità della generazione in Aristotele e ne sottolinea al contrario la discontinuità: nel passaggio che crea qualcosa ciò che viene creato non preesiste alla creazione, quindi quando viene creato il tutto prima non esisteva nessun ente, cioè nulla, quindi la creazione crea dal nulla. Nella concezione degli antichi si ha un pertransire mentre nel mutamento fra ente e nulla c’è una distanza infinita.
Creare (= produrre la sostanza stessa della cosa. Prima nozione di causa efficiente per causa divina) è creare dal nulla l’intera sostanza della cosa mentre, es. un artista crea da qualcosa che c’è già (la materia).
Ciò che avviene o che si fa per moto e mutazione si fa a partire da qualcosa che preesiste nella produzione particolare di determinati enti (natura) ma questo non nella produzione del totius esse dalla causa universale di tutti gli enti che è dio.
In conclusione quando gli antichi parlano del divenire parlano sempre di qualcosa che viene da qualcos’altro (artefice fa la scure, sedia ecc), non causate da azioni dell’artefice ma dalla natura – e la natura attraverso la causalità naturale produce la forma ma presuppone la materia diversa da dio come totius esse.
Questioni 45, Art 5 contro l’emanazione:
In qualche misura di creazione si tratta perché non presuppone ciò che viene fuori ma l’uno viene tratto da sé.
Tommaso si oppone al modello di Avicenna, il quale sostenne che un’unità prima e infinita (l’Uno, Dio) cede per emanazione parte del suo potere e tira fuori da sé una sostanza separata, la quale a sua volta ne crea un’altra inferiore e ne fa la sostanza dell’orbe e le crea un’anima, che sarà materia di orbe inferiori; ogni forma inferiore ne crea una ancora inferiore ecc. Il potere di creare non è esclusivo di Dio, ciascun ente che esce dall’uno crea una forma inferiore; inoltre c’è relazione fra la potenza divina (massima) e la potenza delle altre sostanze (inferiori).
Dio comunica alla creatura la potenza di creare attraverso un ministerio (termine ecclesiastico cattolico), cioè concede loro il potere finito e inferiore di creare altre cose.
Tommaso non è d’accordo: Dio crea per autorità e non per emanazione. Cedere potere è contrario all’idea dell’infinita potenza divina che crea tutto dal nulla: potenza divina e creatura creata sono separate da una distanza infinita, togliere potere per gradi sottrae potere a Dio.
Se infatti un potere maggiore si richiede nella gente per quanto sia remota dall’atto la virtus (potere) della gente deve essere finita? Fra la potenza divina e la creatura creata c’è uno spazio infinito, nuovamente irraggiungibile.
Per Tommaso creare = causare, produrre l’essere delle cose e questo presuppone in chi crea scienza e volontà.
45, art. 6 chi è il soggetto dell’azione causale?
Creare è causare o produrre l’essere delle cose e questo presuppone scienza e volontà in chi li crea.
In Aristotele ogni attributo è attinente a una specifica sostanza (quindi ciò che produce l’uomo è diverso da ciò che produce la pianta). Una determinata causa specifica, attinente a una determinata sostanza specifica è capace di produrre quei determinati effetti specifici. Se concepiamo la causalità come un modo per poter creare il modo dal nulla presupponiamo l’esistenza di una determinata sostanza specifica (Dio) diversa dalle altre sostanze.
Le proprietà per essere causa efficiente del mondo presuppongono in Dio la presenza di attributi che lo contrappongano alle creature (sostanze finite): deve essere di sostanza infinita e tutti i suoi attributi saranno di qualità infinita:
spiritualità = a-spazialità (mentre alcuni attribuiscono a Dio una collocazione spaziale e quindi una corporeità),
eternità = a-temporalità, fuori dal tempo, no mutamento (su questo sono tutti d’accordo)
onnipotenza = attributo necessario per giustificare la possibilità di creare dal nulla
libertà (la creazione è un atto onnipotente e libero)
Inoltre siccome l’atto del creare appartiene all’essere di Dio non è proprio di una sola persona ma dell’intera trinità: Dio padre crea secondo un’idea o verbo (il figlio) per mezzo del suo desiderio o del suo amore (lo spirito santo) quindi ogni persona di Dio crea secondo i suoi attributi.
Mentre nell’idea classica del divino Dio è causa finale, non agisce (Aristotele) oppure agisce ma a partire da una materia e da modelli preesistenti con finalità di far assomigliare le creature ai modelli (Platone) non c’è libertà né intenzionalità, inoltre la materia non si piega del tutto ad essere plasmata; inoltre l’emanazione è un processo necessario, non segue la libertà di Dio.
Al contrario nella concezione cristiana Dio è onnipotente e libero, caratterizzato da intelletto e volontà di creare il mondo, ma non sono finiti e separati come nell’uomo. Quindi il cristianesimo attribuisce a Dio (=causa efficiente, causa in senso assoluto) degli attributi simili a quelli delle creature ma distanti e differenti.
Problema: qual è la relazione fra gli attributi divini e gli attributi umani?
1. C’è univocità fra i due: qualitativamente un attributo (“buono”) è uguale sia che sia riferito a Dio che all’uomo, ha lo stesso significato ma cambia in finitezza o infinitezza
2. C’è equivocità fra i due: è uguale il nome ma il significato è totalmente diverso, quindi non si può dire nulla su Dio
3. C’è analogia fra i due: non hanno lo stesso significato ma significato analogico: c’è distanza, ma anche qualcosa in comune, posso arrivare a intuire approssimativamente il significato e quindi a parlare, seppure approssimativamente di Dio (Tommaso)
Come viene concepita la libertà divina senza che essa ne intacchi l’onnipotenza?
La causalità divina è causalità prima, mentre quella umana è secondaria.
C’è una distanza fondamentale fra dio e le creature, che è quella della finitezza: Dio è infinito in ogni suo attributo e privo di estensione spaziale; non è limitato in alcun modo nel suo agire da ciò che è esterno a lui (es. materia informe di Platone), quindi il rapporto intelletto-volontà è così risolto: Dio ha costruito il mondo seguendo i modelli interni al suo intelletto ma con piena libertà nella scala dei modelli da seguire (libertà e potenza sono salvaguardate), volontà e intelletto sono un’unica facoltà perché Dio sceglie in base alla sua volontà da ciò che l’intelletto propone (Dio sceglie il meglio) e questo non presuppone limitazioni alla libertà divina. Dio non crea contraddizioni perché non seguirebbe il proprio intelletto, in cui ci sono tutte le verità eterne (= logiche), quindi non può creare il male (le contraddizioni della logica sono violazioni alle verità eterne).
Al contrario secondo Cartesio le verità eterne sono tali perché Dio ha deciso così, è creatore libero anche delle verità eterne (arbitrarietà e volontarismo assoluti, totale priorità della volontà divina).
Nasce un dibattito fra il platonismo (secondo cui il buono in sé preesiste alle scelte di Dio che lo assume appunto perché buono quindi se dio non esistesse il buono resterebbe tale) e l’arbitrarismo (Dio ha liberamente stabilito ciò che è buono).
Comunque Dio è diverso dalla libertà in senso assoluto = indifferenza, Lui sceglie il meglio!
Tommaso: nella divina sapienza ci sono i modelli di tutte le cose, le idee (≠ idee platoniche, preesistenti, eterne) che sono forme esemplari, archetipi esistenti internamente a Dio, nella sua mente
Comunque tutte queste ipotesi confermano l’estrema distanza fra Dio e l’uomo; la volontà umana (= impulsi, passione) segue ciò che le appare bene.
Causalità efficiente
Della causalità efficiente si inizia a parlare con la tradizione cristiana: dal momento che Dio segue il meglio = causalità finale + causalità efficiente. Finalità divina: Dio opera per affermare la sua natura (manifestare la sua gloria) e manifestare al meglio i suoi attributi quindi la finalità interviene anche nell’organizzazione del mondo: Dio agisce per dei fini presenti nel creato (iperfinalismo: tutto nel mondo è finalizzato a qualcosa).
In Aristotele si assiste all’estensione assoluta del finalismo: tutto ciò che avviene in natura avviene per un fine, per la causalità efficiente divina, ma fa una differenza fra mondo organico (finalizzato e cosciente) e mondo inorganico (non finalizzato e segnato da movimenti locali meccanici) oppure da mutamenti intrinseci alla natura (seme dà pianta).
Summa contra Gentiles, libro III,II,1: tutto ciò che agisce, agisce per un fine, fra gli essere che manifestamente agiscono per un fine, esso è la cosa verso cui tende l’impulso, ma anche per l’agente che non conosce il suo fine è evidente che vi tenda anche se, eventualmente, non lo raggiunge (es. arciere, freccia). La finalità assoluta è la finalità cosciente dell’arciere, mentre quella della freccia è una finalità secondaria, incosciente e determinata da una finalità cosciente esterna
Tutto ciò che agisce è finalizzato da una causa efficiente cosciente perché Dio ha costruito il mondo dando finalità a ogni elemento → panfinalismo, ogni ente ha la sua finalità indotta dalla causa prima.
Mentre Aristotele affidava la primarietà al modello della natura organica (finalità intrinseca nella forma) il cristianesimo la affida al modello dell’arte: il mondo è l’artefatto di Dio
Summa contra Gentiles, libro III,II,2: a ogni passaggio dalla potenza all’atto segue un punto d’arrivo che è anche punto di partenza per il processo che seguirà, ma questo processo non dura all’infinito, deve esserci un punto di arrivo – perché non è possibile muoversi verso l’infinito, meta irraggiungibile.
Summa contra Gentiles, libro III,II,5: esiste una stabilità (forma/idea): come nell’intelletto cosciente c’è un’immagine del fine a cui tende, così nelle cose c’è una forma del suo fine perché è pertinente alla sua natura.
La realtà è organizzata in finalità relative a ciascun ente e gli errori avvengono quando qualcosa si sottrae alla finalità, quando il fine ottenuto è diverso dall’intenzione cosciente o non cosciente dell’ente.
C’è un denominatore comune a tutte le finalità, ed è il bene, ciò che conviene a tutti, definito in relazione alla specie a cui appartiene l’ente.
Summa contra Gentiles, libro III,IV,8: tutte le cose che agiscono naturalmente di solito agiscono verso il bene. Si possono ritenere eventi fortuiti quelli che avvengono raramente. Le eccezioni alla finalità (che tende al fine del bene) vengono considerate anche da Tommaso in modo statistico/quantitativo: nel mondo naturale c’è regolarità e quindi intenzionalità del fine verso il bene.
La regolarità è una necessità intesa in senso finalistico (es: è necessario che le foglie siano poste in modo da proteggere i semi perché è necessario tendere al meglio). Casualità è dove non c’è finalità o in presenza di eccezioni, errori di un agire non cosciente mentre i casi in cui Dio interrompe la regolarità della natura sono finalizzati (miracoli);
Quindi nell’ambito della natura la regolarità è qualcosa di finalizzato e necessario mentre l’irregolarità è qualcosa di casuale, privo di cause (eccetto i miracoli).
Questo criterio quantitativo resta molto diffuso nella scolastica (fino al ‘500), bisogna aspettare molto per avere una riflessione non pia su questo, per esempio Thomas Barnett (?) si pone il problema di come possa essere spiegabile la finalità della terra rispetto all’uomo (o rispetto alle specie animali) se la maggior parte del globo non è abitabile a causa di oceani, deserti ecc. Moltissimi filosofi e teologi hanno provato a rispondere 1. Negando il fatto attraverso l’utilizzo di criteri non solo statistici, 2. Sostenendo che la semplicità dell’intervento sulla terra è più consona alla saggezza di Dio (← da qui in poi cadono i presupposti antropocentrici, si esce dalla provvidenza cristiana)
3. (Voltaire) il rapporto fra Dio e il mondo è sul modello del grande architetto (Newton) quindi complessivamente armonico ma Dio non interviene sulla sorte degli individui, che sono solo dettagli nel progetto divino.
Dopo la Rivoluzione Scientifica
Abbandono del finalismoMeditazioni filosofiche, Parte II, 28: La scienza non può tenere conto della finalità delle cose per spiegarle, Dio non ci ha messo a parte dei suoi progetti, quindi Cartesio prescinde dalla ricerca delle cause tranne la causa efficiente che non è necessariamente pacifica.
Nonostante Cartesio sostenga queste cose la ricerca delle cause finali non scompare per nulla, cfr le Obiezioni alla IV Meditazione (in cui aveva accennato qualcosa ) in cui Gassendi si oppone dicendo che
(a) la più efficace prova dell’esistenza di Dio è l’armonia della natura e i fini per cui è stata creata (prova teleologica), quindi la ricerca dei fini è fondamentale;
inoltre (b) non capiremmo com’è fatta la natura se non tenessimo conto dei fini es. nel corpo umano se non sapessimo a cosa servono le valvole e i flussi non potremmo capire il funzionamento del corpo umano .
Un evento è ciò a cui si riferisce la questione della causalità (?): per Ar. è causa prima di tutto il divenire e il mutamento, quindi anche ciò che non muta (corpi celesti), ciò che è a-temporale (materia immobile) ma in modo finale non efficiente. Ogni ente ha causalità diverse che fanno parte della sostanza dell’ente.
Come si arriva alla domanda del come? Galileo nel Dialogo sui massimi sistemi del mondo parte dal problema di giustificare Copernico rispetto ad esperienze contrarie che erano state fatte es. Simplicio di Arezzo che a Pisa fa degli esperimenti lanciando dei sassi dalla torre (l’è nova!): se la terra si muovesse la torre in quanto parte della terra si muoverebbe in senso opposto al moto del sole e nel momento in cui il grave giunge a terra la torre si sarebbe dovuta spostare molto più a occidente rispetto alla terra. Formulando ipotesi che spieghino questa cosa compatibilmente col moto terrestre Galileo capisce che terra torre e grave formano un complesso unico all’interno del quale la natura del grave non ha alcuna importanza (quindi decade l’importanza della notazione di sostanza).
La rivoluzione scientifica si occupa del come non del perché: Copernico (1543) comincia ma ci vuole più di un secolo perché le sue idee si affermino e Keplero, Galileo arrivino a scoperte o conclusioni che abbattono i concetti di carattere qualitativo (sono le qualità sensibili dei corpi a definirne le qualità) di origine aristotelica – che pure manterranno ancora a lungo la loro influenza, in particolare il dualismo fra l’universo terrestre e quello astronomico, la supposta perfezione del moto circolare e la difformità nella materia dei corpi .
Innovazioni astronomiche
Il concetto di moto circolare degli astri come espressione della perfezione di quel moto viene infranto da Keplero, che distrugge la presunta perfezione materiale degli astri e la naturalità del moto circolare perché dalle sue osservazioni sulla variazione di velocità dei pianeti a seconda della vicinanza col sole e sulle diverse densità delle stelle in luoghi diversi del cielo si rende conto che i pianeti si muovono su orbite ellittiche , quindi il cosmo è irregolare.
Galileo scopre delle irregolarità della luna, che si scopre essere di qualità simile alla natura della terra, e pure nel Sidereus nuncius imputa le macchie solari a fenomeni di corruzione della materia solare → cade la perfezione dei pianeti. Inoltre attraverso il cannocchiale scopre che Giove ha dei satelliti, quindi non può avere un’atmosfera cristallina.
Le qualità della materia
Nella fisica qualitativa di Aristotele tutti i corpi sublunari erano composti di elementi con caratteristiche che ne spiegavano i comportamenti: la prevalenza di un elemento spiegava il comportamento del corpo con le sue proprietà (caldo/freddo/secco/umido); con la rivoluzione scientifica si comincia a pensare che la materia sia qualitativamente omogenea e non differenziata: è divisibile (all’infinito secondo Cartesio, in atomi secondo Boyle), occupa un certo spazio, può avere o non avere la capacità di muoversi. Ciò che appartiene alla realtà fisica è ciò che si può misurare in modo quantitativo (decade la distinzione qualitativa) secondo proprietà primarie e proprietà secondarie soggettive (cfr p.22).
Questi cambiamenti non sono né decisi né repentini: ancora in Galileo troviamo il concetto di perfezione del moto circolare e in generale sono idee che dureranno fatica a entrare nel concetto comune.
Il moto
Cambia il modo di affrontare il tema del movimento, segue gli sviluppi dell’elaborazione filosofica della teoria della causalità.
Nell’universo mentale aristotelico c’erano due modelli di movimento (divenire): il movimento spontaneo intrinseco ai corpi organici interni e le trasformazioni degli artefatti che non viene dall’interno ma da fuori (quindi anche la finalità) quindi modello che diventa decisivo nella scolastica in riferimento a un Dio causale e provvidente che dà il suo indirizzo al mondo; il tipo di causalità finale che interviene a determinare il movimento dipende dal tipo di sostanza da cui parte. Tendenziale estensione dell’interpretazione dei moti naturali come forniti all’interno da capacità di movimento (moto naturale: qualsiasi corpo si muove seguendo il suo moto interno, o i caratteri che la sua specie prevede, mentre il moto violento avviene p.e. quando un corpo pesante viene lanciato verso l’alto).
Moto o mutamento: Fino alla rivoluzione scientifica viene ritenuto fondamentale per esplicare la ragione del moto di un corpo il suo punto d’arrivo (o il fine). Prescindere dal problema del punto d’arrivo segna un cambiamento. Benedetti per primo (? 1585: siamo ancora in piena scolastica) capisce che non ha senso cercare un punto d’arrivo quindi quello di partenza e polemizza con Aristotele perché non avrebbe dovuto affermare che il corpo è più veloce tanto più quanto più vicino alla meta ma che è tanto più veloce quanto più lontano dal punto di partenza: se mi pongo il problema dell’accelerazione è più importante la partenza dell’arrivo. Questi discorsi non sono coerenti, è difficile studiare questo genere di cose e sovvertire un paradigma secolare senza fare esperimenti. Nei moti rettilinei l’impressione (=impatto) ricevuto cresce senza posa perché ha in se stesso la tendenza a portarsi nel luogo che gli è stato assegnato, la causa motrice (= raggiungere il suo luogo naturale da cui era stato estromesso con violenza). Le nuove leggi fisiche invece non si spiegano perché ma come, con quali costanti si muovono traiettorie e accelerazioni, Solo considerando le relazioni fra i corpi si rende utile la domanda “verso cosa muove”.
Successivamente Keplero intuisce un mondo disordinato, Galileo sostenendo che non esiste un centro dell’universo va oltre ma non formula chiaramente l’idea (fondamentale) dell’infinità dell’universo (ma nei suoi studi si comporta come se lo pensasse) a cui arriva solo Cartesio che peraltro lo dice solo indefinito, cioè infinito nella piccolezza come nella grandezza.
Se si spiega a partire dalla natura di un corpo il suo moto circolare come si spiega il moto violento? E la permanenza nel moto (niente infatti si muove da solo)? Galileo dopo un po’ si rende conto che è la domanda ad essere sbagliata e arriva al principio d’inerzia, poi formulato da Cartesio come prima legge. A partire da qui si arriva a definire che le cause finali non servono.
Meditazioni filosofiche, Parte II, 37: 1° legge: Se può tutto resta com’è, cambia solo per intervento esterno ovvero tende a mantenere il suo stato di moto rettilineo uniforme o di quiete se non incontra un altro corpo. (polemiche perché non quantifica l’inerzia, per cui bisogna aspettare Newton).
Il moto appartiene al corpo quanto la quiete (= grado 0 del moto, in quanto punto di partenza della scala numerica, non nulla), non c’è differenza di statuto o gerarchia o di natura, ma si tratta comunque di uno stato o condizione, no ci dice nulla sulla sostanza o sulla natura dell’oggetto.
Solo col principio d’inerzia è risolto il problema di come un corpo in moto violento possa conservare il suo movimento: secondo Aristotele dipendeva da caratteristiche dello spazio, mentre la scolastica elabora la teoria dell’impulso: ogni corpo possiede l’impulso a muoversi e noi gliene diamo la possibilità.
Galileo imposta la domanda in maniera opposta: perché comincia a muoversi se è in quiete? Perché si ferma se si sta muovendo? Nel De motu prima condivide la spiegazione della scolastica, poi l’abbandona perché intuisce il principio d’inerzia.
Con il principio d’inerzia cade la differenza fra moto naturale e violento, cade la concezione del cosmo come insieme di movimenti che vanno verso la loro base naturale.
In Cartesio la materia è fatta corpi in movimento ma in teoria potrebbe anche non muoversi; la diversità dei moti (anche quelli delle microparticelle) determina la varietà dei corpi e la nostra sensazione di essi.
Il moto viene trasmesso per contatto fra i corpi (fra i quali è compresa anche l’aria) secondo una struttura circolare ; collegata a questa ipotesi sta quella dei vortici di materia.
Anche secondo Hobbes il movimento viene trasmesso per contatto diretto o indiretto ma non viene concepita ancora una forza che agisca a distanza.
Ancora, Gassendi giustifica la gravità dei corpi celesti con dei tentacoli di corpuscoli che partono dal centro gravitazionale al corpo ruotante e lo tengono legato a sé.
Newton suppone una forza di cui non dà motivazioni, ma solo la descrizione matematica degli effetti.
Relatività dello spazio-tempo
Principia Philosophiae, Parte II, 24: per moto si intende moto locale nell’accezione volgare, azione attraverso cui un corpo si sposta da un luogo all’altro – non è un’azione perché nessun corpo si sposta da sé ma viene mosso: la materia non agisce, subisce. Una stessa cosa nello stesso tempo può muoversi e non muoversi, come chi sta seduto su un vascello che si muove può pensare che si sta muovendo se guarda le sponde che si allontanano ma anche che è fermo se considera le parti della nave, immobili rispetto a lui. Nonostante volgarmente crediamo che in moto ci sia azione e in quiete cessazione d’azione è più corretto dire che in quiete e in moto non c’è nessuna azione, quindi non c’è opposizione di statuto.
Principia Philosophiae, Parte II, 13: i nomi di luogo o di spazio non significano nulla che differisca dal corpo che diciamo essere lì ma indicano la sua grandezza, figura e collocazione rispetto agli altri corpi da cui concezione del corpo in relazione alle sue condizioni spaziali: mentre guardiamo corpi diversi la stessa cosa muta e non muta di posizione (a seconda dell’oggetto/punto di vista/sistema di riferimento. Non vi è luogo immobile nell’universo se non quelli che tali risultano al nostro pensiero, quindi il movimento è percepibile solo in relazione a qualcosa.
C’è più dell’apparenza? Che cosa produce il moto? Per le merci cambia qualcosa (la posizione), ma per l’oggetto nave?è mutato?
La concezione del moto, dello spazio e del tempo come relativi o assoluti divide ancora una volta Cartesio e Leibniz con una concezione relativa di spazio e tempo a Newton: spazio = contenitore infinito di tutti i luoghi, necessario punto di riferimento in quiete di tutti i movimenti e del tempo assoluto che fluisce sempre uniformemente e in rapporto al quale si misurano in ultima analisi tutte le variazioni di velocità.
Organicismo e meccanicismo
Accenno a una visione del mondo presente nel neoplatonismo (del rinascimento italiano con accenni di animismo – tentativo di ritrovare l’autonomia della natura nel senso che i moti e i processi sono esterni quindi determinati da Dio): ogni corpo ha un’anima e si muove secondo l’anima.
La visione del mondo meccanicistica se la prende con l’animismo e con la scolastica e in generale con tutto ciò che implica una visione organicistica del mondo.
La scoperta del magnetismo è decisiva per spiegare la natura e l’insieme del corpo, es. Gilbert fa esperimenti sistematici sul magnetismo e li spiega recuperando l’animismo rinascimentale (psichizzazione della materia) e le proprietà aristoteliche (capacità formali): forza incorporea, virtù innata che spiega l’armonia del cosmo come unità e movimento di processi regolari. La forma rimane primaria radicale e astrale, forma unica che mantiene e ordina il proprio globo. Energia primaria unitaria, anima della terra dotata di volontà. Cfr Westfold, La rivoluzione scientifica del XVII secolo
Cfr Il meccanicismo e l’immagine del mondo che equivale a ridurlo al movimento di una grande macchina. I modelli che ne spiegano il funzionamento non nascono dal nulla naturalmente ma hanno radici scolastiche o animistiche (p.e. Keplero in una nota successiva commensta che se nel Misterium Cosmographicum sostituiamo vis a anima abbiamo i principi della fisica celeste dell’Astronomia Nova: pensavo che la causa che muove i pianeti fosse un’anima (intelligenze motrici cfr antichità) ma quando riconobbi che la causa motrice si indebolisce con l’allontanarsi dal sole capii che la forza dev’essere corporea: la velocità del moto è inversamente proporzionale alla distanza dal sole (II legge).
Sia per la sostanza che per i moti non c’è differenza fra corpi terrestri e corpi celesti. Inoltre la materia è omogenea per quanto riguarda le qualità primarie (collocazione, forma, volume, capacità di muoversi).
La spiegazione meccanicistica dei fenomeni psicologici
Concordemente affermano che la sensazione si produce per le vibrazioni trasmesse nello scontro fra le micro-particelle con gli organi di senso e che alla base dei fenomeni psicologici stanno movimenti e contatti di parti di materia o corpuscoli quindi il mondo che conosciamo è il modo di manifestarsi ai nostri occhi della realtà, le proprietà sono il prodotto delle relazioni fra il corpo esterno e il sistema nervoso umano.
Si distingue poi fra le proprietà oggettive (primarie, meccaniche: figura, estensione, movimento ecc) e le proprietà soggettive (secondarie, sensibili: odori, colori, sapori) che non hanno sussistenza nei corpi ma risultano dall’interazione fra le loro proprietà geometrico-meccaniche e gli organi di senso. (Cfr Boyle e Locke).
L’atomismo e il vuoto
I concetti di spazio e materia sono fondamentali nel seicento perché alla base della spiegazione del mondo. A questo proposito si sviluppano due teorie:
1. spazio = materia (estensione, proprietà geometriche) → Cartesio
a. è escluso che esista il vuoto
b. la materia è infinitamente divisibile
2. spazio ≠ materia → Galileo, Gassendi, Boyle e Newton
a. dove lo spazio è il vuoto ricettacolo dei corpi materiali
b. dove i corpi sono aggregati di atomi indivisibili dotati di proprietà geometriche
3. la tesi intermedia è sostenuta da Hobbes che nega che di fatto ci sia spazio lasciato libero da corpi quindi che di fatto esista il vuoto.
Meditazioni filosofiche, Parte II, 36: la materia è priva di forza intrinseca (problema della natura della materia che dà l’impulso al primo sviluppo della chimica).
Dio è causa prima, una volta create le particelle e messe in movimento (è un modo della materia, simile al concetto di accidente in Ar., non è l’essenza) tanto basta che per contatto tutto sia in movimento e tutto si compia, poiché non esiste vuoto le particelle si toccheranno sempre e ci sarà sempre movimento, anche perché la quantità di moto totale non cambia (quella individuale sì). Tutto ciò che succede è prodotto dai moti, se non ci fosse che quiete non succederebbe nulla.
L’intervento di Dio
La regolarità e la stabilità delle leggi di natura (principi di fisica teorica) sono fondati sulla metafisica, ossia sulla volontà immutabile e perfetta di Dio . La veracità di Dio è alla base del pensiero di Cartesio (secondo Gillson serve solo a Cartesio a fondare una fisica immutabile – confutato da studiosi successivi: Marion, La métaphysique blanche de Descartes).
Come conciliare il determinismo delle cause che necessariamente seguono agli effetti con l’intervento divino è un problema che differenzia le posizioni dei filosofi:
Cartesio sostiene che l’intervento di Dio ha creato il mondo e gli ha dato movimento ma spetta alle cause seconde (= le leggi fondamentali del moto) farlo funzionare come funziona
Newton obietta che non può essere frutto delle cause seconde ma deve avere un artefice più alto, che continua a mettere a punto la sua macchina come un orologiaio
Leibniz vede in Dio la causa finale del mondo ma pensa che sia stato creato una volta per tutte, perfetto: la causa finale si applica al mondo nel suo insieme, mentre le parti sono mosse dalla causalità efficiente.
Con la rivoluzione scientifica si assiste all’abbandono del finalismo: la cause finali non spiegano i fenomeni naturali, concepiti in termini di causalità efficiente, causa è la relazione fra gli stati o le condizioni in cui l’evento viene a trovarsi e la sostanza non è più un elemento per spiegare la causalità divina (infinita onnipotenza, creazione dal nulla per scelta libera ecc), la causalità efficiente e la sostanza di Dio. (?)
In Cartesio non è la sostanza ad essere esplicativa per la casualità in ambito fisico – il problema è il mutare in ambito non fisico.
Anche in Galileo la casualità è legata al prodursi di eventi che si susseguono per un processo di azione e reazione, es. il moto della palla che prosegue nell’altra palla oppure cfr gli studi sui sistemi ottici (Cartesio, Diottrica).
Necessità e caso
Il moto è un fatto omogeneo, a meno di non considerare pertinenti esperienze disomogenee ma soprannaturali o superstiziose, secondo Hume (Dialoghi sulla religione naturale) legate a ansie e timori sulla propria vita che ci spingono a cercare le cause in qualcosa di ulteriore. Al contrario, date certe condizioni se ne verificano altre determinate (con una regolarità diversa da quella ricercata da Ar. nel senso di costanza della forma come essenza) dovute a processi visibili e invisibili. Viene escluso ogni riferimento a una causalità finalizzata, che anche da Spinoza è mossa dalla tendenza umana a antropomorfizzare tutto quello che studia.
La regolarità alternativa è il caso o miracolo: chiameremo caso ciò di cui non sappiamo la causa o che ha cause meno evidenti perché si verifica più raramente, lo si individua come dovuto a diverse catene causali, imprevedibili o meno prevedibili; quindi più arriviamo a sapere più ridotto sarà l’ambito della casualità.
Cartesio non parla del caso ma le leggi di natura lo escludono implicitamente.
Cfr anche Lamy nei Discours Anatomiques (1670-80) esplicitamente esclude il caso in base a concetti epicurei (?).
Hume critica il principio di casualità, esclude il miracolo e tendenzialmente anche il caso → DETERMINISMO: c’è una connessione necessaria fra la condizione e il prodursi dell’effetto
Oggi con gli sviluppi della fisica dei frattali abbiamo perso le speranze di prevedere tutti o la maggior parte degli eventi, cresce il peso degli eventi minimi in rapporti allargati con catene causali così enormi e complesse da essere indefinibili.
DETERMINISMO
Causalità deterministica: nel regime delle leggi naturali sono relazioni necessarie – si tiene conto delle catene di eventi (c/e), non degli episodi singoli.Si tratta di un nuovo paradigma causale (in Ar. non c’è reciprocità fra c/e e cause efficienti), anche se già in Cartesio lo si considerava un processo necessario, la necessità viene esplicitato solo da Hobbes, che lo estende a tutti i tipi di eventi: tutto nel mondo si svolge deterministicamente, tutto è materia, tutto è corpo e tutto va spiegato secondo delle necessità; più tardi Spinoza parlerà delle relazioni umane come se fossero piani o solidi, sono relazioni geometriche.
Hobbes definisce per primo la causa integra: quando tutte le condizioni necessarie perché un evento si realizzi sono date l’evento non può non realizzarsi – e questo vale anche per l’uomo: negazione del libero arbitrio. La causa a sua volta è un insieme di condizioni date da cause precedenti. In Hobbes le passioni sono l’inizio dei nostri moti interni, la causa di decisioni, azioni ecc (?).
Il concetto di causalità deterministica entra in crisi proprio in seno alla scuola che l’aveva generato : Cartesio (applicazione alla fisica del modello deterministico) estremizza il dualismo e l’opposizione fra il corpo (estensione visibile) e la mente (la cui essenza è pensare), differenziata dal concetto tradizionale di anima come sede delle funzioni vitali che invece sono del tutto delegate al corpo-meccanismo. Il pensiero (e la volontà, che è uno dei modi del pensiero) è tutto ciò di cui sono immediatamente cosciente (cfr le risposte alle Obiezioni alle Meditazioni); tra mente e corpo c’è solo opposizione nella natura spirituale/corporea, nell’uomo queste due sostanze eterogenee agiscono l’una sull’altra in certe situazioni: il corpo agisce (esercita un’azione causale) sulla mente in tutte le percezioni corporee, nelle sensazioni, nelle passioni (=percezioni particolari), nell’immaginazione (= permanere delle percezioni corporee), mentre la mente agisce sul corpo con i movimenti volontari.
Naturalmente il fatto che si dia una causalità fra eterogenei è un grosso problema in un sistema che prevedeva causalità solo fra omogenei, e Cartesio e Hobbes sono i primi a esplicitare e accettare questo problema; Cartesio ne prende atto in virtù dell’esperienza quotidiana: se non fosse vero Dio lo ingannerebbe quotidianamente e questo non è possibile perché Dio è perfetto anche in quanto veritiero – quindi le sensazioni sono vere ma inspiegabili.
Il problema si estende al rapporto causale fra Dio e il mondo (spirito e materia) – in particolare Moore ne era ossessionato e teorizza una spazialità divina che agisca sul mondo corporeo.
Un altro grosso problema è spiegare la causalità e il movimento in un mondo in cui la materia è totalmente inerte: Hume dirà che dal punto di vista epistemologico è impossibile stabilire che un evento sia causa di un altro evento – porta alle estreme conseguenze i risultati della rivoluzione scientifica.
OCCASIONALISMO
La crisi dell’idea di casualità e del valore oggettivo della casualità ha delle cause occasionali e delle cause interne:la 1° scatenante è il dualismo cartesiano che presenta un modello fra omogenei che si contraddice
la 1° reale è la concezione concatenata della realtà che riduce la causalità al moto
la 2° è il problema dell’inerzialità della materia
la 3° è il divario evidente fra realtà effettiva e realtà apparente e la questione delle qualità primarie e secondarie: il sole per noi sorge, anche se sappiamo che siamo noi a muoverci – come possiamo determinare che la posizione e il movimento sono qualità primarie se sappiamo che non sono obiettive?
Il primo che mette in discussione l’idea che nel mondo ci siano (? Molte cause in favore di?) un’unica causa è Malebranche (1638-1715) che sostiene che l’unica vera causa sia Dio, mentre le cause seconde sono mere occasioni (→ OCCASIONALISMO ): quando io credo che la mia volizione sia la causa per cui il mio braccio si muove mi illudo, è l’occasione per cui Dio mi fa muovere il braccio, nel senso che Dio ha costruito il mondo in modo tale che io possa muoverlo se non impedito.
Estende questa concezione non solo a ciò che avviene nella mente ma anche a relazioni fra un corpo e un altro corpo a partire dalla qualità inerziale della materia: se muovo una palla da biliardo che ne colpisce un’altra che si muove a sua volta ho due moti contigui ma non vedo una relazione necessaria fra i due, la materia in sé non avendo facoltà di muoversi, è più facile spiegare che la causa di tutto questo sia Dio.
Secondo Malebranche tutto ciò che è reale è spiegabile e per ciò che non sa spiegare manca una connessione – che è facile che risalga alla volontà di Dio; non coglie nessuna relazione necessaria fra gli eventi.
Una delle preoccupazioni fondamentali dietro al ragionamento d Malebranche è rendere Dio quanto più possibile distante dalle creature, chi ammette la capacità degli esseri organici di avere potere toglie potere a Dio: definisce più che pagana la filosofia che assegna un qualche potere alle cause seconde (che danno potere agli uomini).
HUME (1711-76)
Hume critica molto Malebranche ma lo elabora anche.(1) Dal momento che si è creata una divaricazione fra l’apparenza e la realtà è bene stabilire se le nostre idee corrispondano a qualcosa di esistente (proprietà primarie o secondarie).
(2) Tutte le nostre idee (da cui traiamo tutta la nostra immaginazione della realtà) sono percezioni di origine sensibile che hanno come base
idea di somiglianza (S) fra due oggetti,
idea di contiguità nel tempo e nello spazio (C)
idea di relazione fra le cause e gli effetti (R)
ma mentre le prime due corrispondono a una percezione effettiva di relazione fra due oggetti, la terza non abbiamo nessuna diretta impressione : affermando la causalità mettiamo in relazione due cose surrettiziamente, presupponiamo soltanto una connessione necessaria tra due eventi; a questo indurrebbe a pensare la regolarità con la quale occorre l’evento, ma non si tratta di necessità: Hume assegna la necessità solo alle relazioni matematiche (leggi) che appartengono alla logica, in quanto ben distinte da quelle dell’esperienza, tuttavia questo modo di pensare che assegna la necessità alla regolarità e all’abitudine è utile nella vita pratica, ha un fondamento storico ma non conoscitivo né oggettivo.
Tanto è forte la nostra convinzione della causalità che la estendiamo anche là dove non ci sono le basi o le premesse (opere letterarie, mitologiche…): Hume fa l’esempio dell’ira di Achille nell’Iliade, che viene ampiamente giustificata sebbene non ce ne sia necessità, poi mette l’esempio del Paradise Lost di Milton, dove viene spiegata la catena di cause che precede la cacciata dal paradiso, ma in questo secondo caso il nesso causale è ancora più infondato e superstizioso perché siamo in un ambito straordinario, dominato dal miracolistico e dall’irripetibile: la creazione infatti precede la cacciata di Adamo ed Eva così come la battaglia di Farsalia e la nascita di Ponzio Pilato, non ha plausibilità in quanto causa specifica. Esistono quindi tipi diversi di cause.
Hume ha dedicato diversi scritti a combattere il miracolo e con esso l’idea della creazione. Da un certo punto di vista egli è un perfetto erede della rivoluzione scientifica ma estremizza i suoi risultati fino al punto di rottura (come Saturno che mangia i propri figli).
Hume, Kant e le categorie della mente umana.
Hume nega che, come afferma Malebranche, Dio sia la causa unica e somma, in un’opera critica tutte le prove dell’esistenza di Dio.