Il libro, questo fermento (pp. 315-383)
Dal manoscritto al libro a stampaIl passaggio è estremamente rapido e, se all'inizio viene presa solo come una comoda innovazione tecnica, presto appare chiaro quanto sia stravolgente la differenza di un mondo con 15.000 libri in circolazione e 100 milioni di abitanti di cui per la maggior parte illetterati.
Importante ricordare che gli editori lavoravano esclusivamente per guadagnare, quindi oltre che un'opera di diffusione operarono anche una selezione dei testi più facilmente vendibili, quindi i primi testi stampati furono libri che tutti avrebbero potuto voler acquistare: i libri religiosi (45% del totale)
• innumerevoli edizioni della Bibbia, completa, commentata, in latino soprattutto ma anche in volgare – particolarmente l'Apocalisse, i Salmi e il libro di Giobbe autonomi e in volgare
• breviari e messali, indispensabili ai preti per dire messa e officiare i culti
• libri d'ore per i signori laici, in cui trovare i testi delle preghiere quotidiane
• libri di devozione e soprattutto gli scritti mistici: Imitatio Christi, Agostino La città di Dio, Bernardo, Bonaventura, san Francesco Fioretti, santa Caterina, santa Brigida ecc
• opere pratiche per gli ecclesiastici: raccolte di prediche, guide per il confessore
• libri di pietà soprattutto con le vite dei santi e di Maria, figura di culto particolare in questo periodo
• trattati religiosi e di morale pratica
• grandi classici della filosofia e della teologia medievale per il pubblico delle università (Pietro Lombardo, Duns Scoto, Ockham, Tommaso) – si vendono soprattutto nelle grandi città commerciali oltre che in quelle universitarie per facilitare lo smercio
Fra gli incunaboli le pubblicazioni di carattere religioso rappresentano il 45% del totale dei testi stampati, seguono i libri letterari classici, medievali e contemporanei (30%), quindi i libri di diritto (10%) e libri di carattere scientifico (10%).
Di questi la stragrande maggioranza è in latino (77%), gli altri divisi fra i principali volgari: italiano 7%, tedesco 5-6%, francese 4-5%, fiammingo 1%.
L'operazione di rendere più accessibile a tutti la lettura arriva nel momento in cui in Italia stava nascendo l'umanesimo e in generale in tutta Europa fiorivano gli studi sulla classicità; i primi scritti latini a venir prodotti sono quelli utilizzati frequentemente nel medioevo:
• le grammatiche: il Doctrinale di Alexandre de Villedieu e il De octo partibus linguae latinae di Donato
• le favole di Esopo e i distici di Catone
• Boezio e gli altri testi medievali
Subito dopo come numero di stampe vengono i classici medievali e poi latini, sempre sull'onda dell'amore per il latino e soprattutto per il buon latino. Bisogna comunque aspettare gli sgoccioli del quattrocento per vedere stampate edizioni filologicamente corrette di questi testi e libri di autori greci.
• Gerolamo, Lattanzio, Sant'Agostino
• Virgilio, Ovidio – e poi Giovenale, Persio, Lucano, Plauto, Terenzio
• Sallustio, Tito Livio, Vegezio, Cesare
• Seneca e soprattutto Cicerone, il vero mito di questo periodo (lettere, scritti filosofici, orazioni)
• in risposta a questa messe di pagani si tentò di riesumare anche i grandi scrittori cristiani: Giovenco, Prudenzio, Sedulio, Aratore, Battista Mantovano
I testi in volgare rappresentano una parte minima (22%) della produzione degli incunaboli e sono per lo più traduzioni di opere latine sia classiche che medievali, per gli scritti originali in volgare resta ben poco:
• in Italia: Dante, Boccaccio, Petrarca, Leonardo Bruni
• in Francia le opere della letteratura cortese: il Roman de la Rose, il Procès de Bélial, l'Abuzé en Cour...
• cominciano ad aver successo anche i romanzi cavallereschi, particolarmente quelli di materia mitica medievale: Fierabras, Conquete du Gran Charlemagne, Faitz et gestes de Godefroy de Bouillon, Merlin, Lancelot, Tristan, Robert le diable... ma anche la Historia destructionis Troiae, la Mer des histoires
• e poi i racconti pii o moraleggianti, i trattati sulle gioie del matrimonio, le farse, le Ars de mourir, i Calendrier des bergers, gli almanacchi, i calendari, le poesie popolari illustrate...
In campo scientifico non ci sono novità di rilievo, sarà perché sia in campo naturalistico che matematico si preferisce stampare compendi e compilazioni piuttosto che i testi originali delle auctoritates, medievali o classiche. Ci sono edizioni in questo senso (Aristotele, Plinio, Tolomeo, Avicenna) ma non hanno grande seguito. Fra gli scritti originali domina l'astrologia pratica, bisogna aspettare il cinquecento per trovare attenzione per i racconti di Marco Polo e le pubblicazioni di Alberti. Pubblicazioni che comunque interessano più l'ambito delle scienze tecniche, in vero grande sviluppo in questo periodo: architettura, agricoltura, meccanica, stampa.
Il libro e l'umanesimo
Nel cinquecento è chiaro che la stampa ha vinto sul manoscritto: se nell'ultima metà del quattrocento erano state pubblicate 30-35˙000 edizioni, nel secolo successivo si arriva almeno a 150-200˙000 con una tiratura media di 1˙000 unità, senza contare i giornali, gli opuscoli eccetera.I possessori di biblioteca ovviamente aumentano in numero, ma cambiano anche come composizione: dalla fine del quattrocento alla fine del cinquecento aumentano moltissimo in proporzione gli uomini di legge (dai parlamentari ai membri della corte ai giudici in giù) a possedere un'ampia biblioteca, seguono in discreto numero i membri della nobiltà di spada e gli uomini di guerra, soprattutto nelle campagne, ma cominciano a mostrarsi i primi borghesi e commercianti ricchi: in numero molto minore sicuramente rispetto agli ecclesiastici, ma crescente.
Naturalmente, la maggior parte della produzione delle stamperie finisce in case ben più modeste sotto forma di libri d'ore e di pietà, almanacchi ecc.
Dai primi del cinquecento la stampa di libri religiosi passa decisamente in secondo piano rispetto alla stampa dei classici, in corrispondenza col crescere dello spirito umanistico in Europa: nel generale crescere del numero di libri stampati i classici detengono la percentuale maggiore.
L'Italia in questo periodo ha un netto predominio come centro d'innovazione e produzione di testi, resi più gradevoli e leggeri dalle belle edizioni di Manuzio; innanzitutto i latini fra i quali continua la moda di Terenzio e Virgilio, ma esce ex novo anche Tacito e sono molto amati gli elegiaci, Catullo, Tibullo, Properzio, Orazio, Persio, Sallustio, Tito Livio, Svetonio, Cesare e Valerio Massimo. Ovviamente Cicerone continua a primeggiare.
Manuzio è anche il primo a produrre testi in greco: fino a quel momento si lasciavano spazi vuoti o ci si faceva fare su misura serie incomplete di tipi greci a cui venivano unite le lettere latine più simili (A, B, o...) ma sempre senza spiriti né accenti.
Dal 1474 compaiono, prima in Italia poi nel resto d'Europa (1520 ca.) testi in greco con tanto di spiriti e accenti, che diffondono enormemente la conoscenza del greco (anche grazie a grammatiche e libretti di introduzione alla lingua) fra i dotti.
Dal 1525 è vero e proprio entusiasmo: addirittura Francesco I fa produrre a Garamond i cosiddetti “grecs du roi”, caratteri simili alla scrittura del calligrafo di corte; ma è notevole anche il fatto che in molte università europee nascano cattedre e insegnamenti della lingua e della letteratura greca.
Anche lo studio dell'ebraico è in deciso aumento: nonostante le accuse di volersi convertire al giudaismo e sfidando i pregiudizi i letterati del cinquecento si avvicinarono al mondo ebraico per impararne la lingua.
Comunque la maggior parte della produzione in ebraico era rivolta agli ebrei e spesso prodotta da ebrei: l'alfabetismo era piuttosto diffuso nelle comunità (soprattutto se paragonato a quello europeo) e c'era una gran necessità di testi scritti sia per officiare i culti che soprattutto per i doveri religiosi dei fedeli. I primi torchi sorgono in Italia (da cui il primo datato: 1475 e altri non datati ma probabilmente precedenti) e in Spagna (da cui alcuni probabilmente precedenti il 1475), dove ci furono grosse difficoltà quando gli ebrei vennero espulsi (1492); inizialmente si trasferirono in Portogallo (fino al 1498), poi si dispersero, lasciando unico polo quello italiano. Nel resto d'Europa compaiono più tardi (Francia 1488, in Germania 1475, in Boemia 1512, in Svizzera 1516, in Polonia 1534 ecc.).
I testi sono soprattutto libri di culto: bibbie, commenti, codici religiosi e opere di casistica, libri di preghiere e di devozione; seguono i calendari, grammatiche e dizionari, opere letterarie, di poesia e filosofia, pochi libri di viaggi, medicina e storia.
Nel cinquecento aumentano dizionari, grammatiche e manuali perché crescono gli studiosi della lingua, quasi al pari del greco.
Il mercato unitario europeo è inoltre tenuto unito dall'enorme numero di traduzioni: gli editori fanno di tutto per allargare il mercato e interessare il pubblico, anche trasformarsi in officine di traduzione. In particolare in Francia i sovrani seguono una politica unificatrice di sviluppo della lingua nazionale incoraggiando traduzioni e versioni, mentre in Spagna e Inghilterra questo movimento è più lento – spesso per le opere spagnole accade che ci siano più edizioni tradotte di quante ne fossero state fatte in lingua nazionale; in Germania e nei Paesi Bassi, poi, gli editori si affidano ai soli romanzi cavallereschi e libri di devozione in lingua nazionale.
Si traducono ovviamente soprattutto i classici (come al solito: Virgilio e Ovidio sopra tutti e poi in particolare gli storici: Cesare, Svetonio, Flavio Giuseppe, Tacito, Valerio Massimo, Plutarco, Eusebio, Polibio, Erodiano, Paolo Diacono, Senofonte e Tucidide) dal greco in latino o da entrambe nelle lingue nazionali; vengono tradotti anche i testi sacri e perfino quelli della cultura neolatina soprattutto italiana (Battista Mantovano, Tommaso Moro, Guicciardini, Bracciolini ecc.), ma sono numerose anche le traduzioni fra lingue moderne, soprattutto di Petrarca e Boccaccio e degli autori spagnoli ma anche di Machiavelli, Sannazaro, Bembo, Ariosto, Tasso, Ficino, Castiglione... traduzioni che tengono unito, ancora per poco, il mercato librario europeo.
Fra i grandi umanisti spiccano sicuramente per numero di edizioni Erasmo e Rabelais, ma anche gli altri (Budé, Moro ecc.) non sfigurano e testimoniano quanta fame di testi ci fosse e quanto disponibile al nuovo fosse il pubblico del cinquecento: si creano vere e proprie mode, tendenze, entusiasmi.
Per quanto riguarda gli scritti scientifici nel cinquecento ci si occupa più di stampare e venerare gli antichi (Aristotele, Teofrasto, Tolomeo, Euclide, Archimede, Galeno, Ippocrate, Plinio, Avicenna ecc.) liberi da glosse e commenti più che verificarli e studiarli sul serio, e in generale le opere scientifiche originali restano manoscritte o vengono ignorate a lungo, per non parlare dei testi medievali, attorno a cui nasce una congiura del silenzio (salvo alcuni stampatori umanisti che li editano con falso nome).
Lo sviluppo veramente importante che la stampa aiuta è quello delle scienze che più avevano bisogno di illustrazioni: le scienze naturali e l'anatomia. A breve distanza e con grande successo escono volumi illustrati (spesso di gran lusso e di grandi dimensioni) di anatomia (Vesalio De humani corpori fabrica 1543), botanica (Brunfels Herbarum icones ad naturae imitationem effigiatae 1530), zoologia (Fuchs Historia stirpis 1542) e addirittura mineralogia (Agricola De re metallica 1555).
In generale nel Cinquecento il pubblico sembra rivolgersi con maggiore facilità agli autori del passato, alle auctoritates piuttosto che alle nuove idee e non suscitano grande curiosità nemmeno le scoperte geografiche: fino agli inizi del cinquecento le lettere di relazione sui viaggi oltreoceano o in Africa faticano a trovare degli editori. Le lettere di Colombo, Magellano e Hernan Cortéz vengono stampate tardi rispetto alla loro stesura, e almeno all'inizio non trovano un pubblico vasto quanto i classici latini. Solo dopo il 1550 e crescendo col finire del secolo il movimento intorno alla letteratura delle scoperte cresce, particolarmente in Spagna e Portogallo. In Francia la situazione è particolarmente devastante: fino al 1560 nessuno si interessa ai nuovi mondi e anche successivamente vendono meglio (e vengono ristampate più spesso) opere relative al medio Oriente, la Terrasanta, la Tartaria, le Indie Occidentali e la Cina, molto meno le Americhe, quasi per nulla l'Africa e i paesi nordici.
Molto presenti nelle biblioteche sono i testi di diritto, oggetto di commercio attivissimo in particolare a Lione e Venezia, sede di librai specializzati. Naturale, essendo i principali possessori di biblioteche dei giuristi (ma si trovano anche presso commercianti e borghesi) che hanno bisogno innanzitutto del corso di diritto civile e del corso di diritto canonico, quindi dei frammenti delle Institutiones, del Digesto del Codice e delle Novelle di Giustiniano, del Decreto di Graziano o delle Decretales di Gregorio IX; a questi si aggiungono i vari Flores legum e Speculum juris ecc., ma si moltiplicano anche i testi di diritto moderno e consuetudinario. Ben presto inoltre, i re incaricano specifici stampatori di produrre fogli volanti con le ordinanze regie appena vengono emesse, e col tempo diventa consuetudine anche dei tribunali principali e minori.
Il genere davvero più di moda all'epoca è la storia: non solo quella antica (Tito Livio, Cesare, Giuseppe Flavio, Eusebio, Plutarco, Erodoto, Tucidide, Tacito, Svetonio, Valerio Massimo) ma anche e soprattutto quella contemporanea scritta dagli umanisti (e presto tradotta) prima italiani (Bruni, Bracciolini, Bembo, Piccolomini poi Guicciardini) poi anche spagnoli e francesi (Martire, Emili, Gaguin) e, fatto sorprendente, vanno moltissimo anche le cronache medievali (tradotte) e in particolare quelle che trattano di storia nazionale o locale.
Il pubblico non è fatto solo di eruditi e studenti, ma anche di giuristi, cortigiani, militari, mercanti, perfino artigiani – ma non è un pubblico che distingua con chiarezza fra storia e mito: le illustrazioni di questi volumi vengono rese negli arazzi al pari dei miti e delle leggende.
Al pari della storia (reale e mitica) hanno grande fortuna in questo periodo tutte le “storie” in senso lato: i romanzi cavallereschi in primis, ricercati dagli editori anche nei vecchi manoscritti stare dietro alle richieste del pubblico. Si ristampano il Roman de la rose, Fierabras, Quatre fils Aymon, Pierre de Provence, Faits merveilleux de Virgile... per non parlare dei classici romanzi sulla tavola rotonda, Tristan, Pecival ecc. Hanno successo antichi romanzi di Apuleio e Eliodoro, la Fiammetta del Boccaccio e, sulla stessa scia, l'Utopia di Moro e le opere di Rabelais.
In Spagna e in Italia in particolare è tutto un fiorire di racconti, nuovi e vecchi, come l'Amadis de Gaula, da cui nacque un vero ciclo di racconti, di solito di argomento sentimentale e suscettibili alle mode del momento (romanzi pastorali, opere simili alla Fiammetta, romanzi cavallereschi ecc), mentre in Italia questo è il momento di Morgante e di Orlando.
La stampa e le lingue
La stampa ha una forte azione di normalizzazione sulle lingue moderne, sia sugli usi linguistici che sull'ortografia; unita alla politica accentratrice dei nuovi regnanti (soprattutto in Francia e Spagna) rende in breve (dai primi del cinquecento all'inizio del seicento) stabili ortografie oscillanti da secoli, causa (in parte) il forte indebolimento del latino e la scomparsa dell'irlandese e del provenzale, relegati nel mondo manoscritto.
I motivi della scomparsa del latino dall'uso vivo sono molteplici, innanzitutto gran parte del nuovo pubblico che legge è semi-letterato: donne e borghesi non hanno necessariamente molta praticità col latino ma rappresentano pur sempre una buona fetta di mercato, sufficiente perché gli editori stiano dietro anche alle loro esigenze.
Ancora, alla citata politica linguistica protezionista dei sovrani di questo periodo si aggiunge nell'ambiente culturale una riscoperta del latino ciceroniano, opulento e corretto, scomparso ormai da secoli: il latino smette di essere lingua viva, modificabile e aperta per diventare lingua morta, fissata nel canone degli antichi.
Il passaggio da una lingua all'altra è particolarmente evidente in Francia e Germania, centri tipografici centrali.
In Francia fin dalla fine delle guerre di religione la maggior parte delle edizioni è in francese e basta.
Per la Germania è più complicata: durante la riforma la stragrande maggioranza delle edizioni è in tedesco e l'azione di Lutero è fondamentale, è praticamente l'ideatore della lingua tedesca, all'inizio in modo incosciente poi (1524) sempre più consciamente verso una lingua accessibile a tutti. Ma è pur vero che con la controriforma il latino ricompare nelle edizioni e dura maggior fatica a sparire che in Francia.
In Inghilterra la lingua viene fondata sul ristretto campo lessicale delle traduzioni “authorized” della Bibbia e dei salmi: Booke of Common Prayer and Administracion of the Sacramentes (1549), il Whole booke of Psalmes (1567) e soprattutto l'Authorized Version della bibbia appunto (1611). Fino a quel momento (e anche oltre) la maggior parte dei libri arrivava dal continente, spesso in francese o tedesco, cosa che causa una reazione conservatrice.
Il peso rivestito dai tipografi in materia di scelte ortografiche in questo periodo è incredibile: per evitare un restringimento del mercato e la complicazione del lavoro resistettero a lungo ai tentativi di innovazione e sistemazione ortografica operata anche in francese nel XVI secolo, favorevoli piuttosto a una lenta sedimentazione. I tentativi di riforma sono molteplici, sia da parte di grammatici e linguisti (Tory, Meigret, Estienne: quello che ottiene maggiori risultati grazie a dei vocabolari e grammatiche di facile utilizzo) che negli ambienti ufficiali: la cancelleria reale, il parlamento e la camera dei conti; ma chi detta veramente le regole sono gli stampatori, perfino quelli pirata: le semplificazioni introdotte dagli Elzevir e dai Plantin si impongono, almeno in parte, nell'ambiente culturale francese.
Nel cinquecento ovunque si scrivono grammatiche e il latino è condannato. Ciononostante, resisterà ancora a lungo nelle lettere dei dotti e in tutte le composizioni (polemiche, scientifiche, divulgative) rivolte a un pubblico più che nazionale. Nel pieno del secolo e ancora nel seicento viene usato per l'epica e l'epopea, ed è sostenuto soprattutto dai gesuiti come lingua letteraria vera e propria (soprattutto per rappresentazioni teatrali). La chiesa cattolica naturalmente favorirà ancora per molto tempo l'uso del latino non solo per la comunicazione interna ma anche per tutti i territori a lei soggetti.
Nel 1630, con la decadenza della fiera di Francoforte, il latino riceve il colpo finale. Resta ancora, non molto a lungo, come lingua della comunicazione ufficiale internazionale e lingua di comunicazione di alcuni ambienti (soprattutto scientifici: matematica e astronomia) ma col finire del secolo viene definitivamente soppiantato dal francese, che non riesce però, ad occuparne tutti gli antichi utilizzi che restano, spesso, privi di una lingua di riferimento.
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