La Geografia del libro
A partire dal 1454 stampatori itineranti si spostano dalla Germania in tutta Europa, ovunque trovino finanziatori per le loro opere, spesso si tratta di signori che usano i loro torchi per autocelebrarsi: tutta la tradizione a stampa è ben collegata col potere.es. uno dei primi stampatori si insedia a Fivizzano, al servizio dei Malaspina
es. Parigi, sede di monarchia da diversi secoli è fra le prime città francesi sede di stampa, come Roma ecc.
Oppure gli stampatori si stabiliscono in città sedi di commerci perché luogo di fiera o per vocazione commerciale naturale, il libro è una merce come le altre da vendere nelle fiere generali.
es. Venezia, Aversa, Lubecca: in questo periodo i commerci via mare sono più rapidi e meno dispendiosi di quelli via terra.
Oppure gli stampatori trovavano sede nelle città sedi naturali di smercio di libri: città universitarie come Bologna o ancora Parigi.
Dati sulle stamperie insediate in Europa fra 1450 e 1500:
1455-60: da Magonza si irraggiano varie stamperie, Füst e Schöffer sono proprietari della più famosa e smerciano i loro prodotti attraverso gli stationarii delle varie città (Francoforte, Lubecca,);
1460-70: diffusione a Strasburgo, Colonia, Norimberga + pochi nomi che si spostano, fra questi Schweinheim e Pannartz a Subiaco, poi Giovanni da Spira a Venezia, altri a Foligno; la Germania conserva la sua preminenza per opulenza e presenza di molte miniere;
1470-80: con impressionante rapidità (rispetto alla lentezza dei trasporti e delle frontiere) si diffondono stamperie in tutta Italia (Milano, Bologna, Napoli, Pavia, Ferrara, Brescia, Trevi, Mantova, Mondovì, Fivizzano) e in Francia (Parigi, Lione, Poitiers, Angéres, sede degli Angiò, Tolosa), una sola in Inghilterra, ovviamente a Londra per opera di William Caxton a Westminster.
1480-90: se ne trovano ancora di più: 50 in Italia, 30 in Germania, 9 in Francia, 8 in Olanda e in Spagna, 5 in Belgio e Svizzera, 4 in Inghilterra, 2 in Boemia, una in Polonia. L'estrema ricchezza di insediamenti in Italia naturalmente è dovuto al numero ridotto di grandi centri di potere politico-economico rispetto a un gran numero di piccoli centri, città, potentati; culturalmente parlando questa polverizzazione è una ricchezza, ma a lungo andare si rivelerà una strategia perdente, laddove altrove le stamperie come tutto il resto dell'apparato tipografico sono tenuti ben vicino e sotto controllo dal potere centrale (cfr Parigi in particolare ma anche la politica dei Tudor).
Venezia nel 1480-2 ha almeno 156 edizioni: è la capitale del libro, seguita da Milano, Agusta, Norimberga, Firenze, Colonia (Parigi, Roma, Strarburgo, Basilea ecc) – in generale l'Italia è un luogo importante della produzione: fino alla fine del '400 circolano 15-20 milioni di esemplari, un numero straordinario.
Il Cinquecento:
In questo periodo l'industria del libro appare dominata da grandi capitalisti, età di commerci internazionali, anche se le grandi stamperie si concentrano nelle grandi città universitarie o commerciali.
Germania
Si differenzia in base alle fiere: luoghi di vendita generalizzata quindi anche di libri, torchi, caratteri.
Anversa: all'inizio si occupano soprattutto di libri di pietà e romanzi cavallereschi per i borghesi della città, poi cominciano a lavorare per l'esportazione verso l'Inghilterra e in breve verso il mondo.
Strasburgo: in Germania è centro di primaria importanza soprattutto per la qualità delle edizioni curate, con preziose illustrazioni, e per il commercio della carta.
Basilea: Amerbach vi fonda tipografie per trattati di teologia e diritto canonico, Sant'Agostino, con caratteri nuovi e preziose incisioni.
Magonza: esiste ancora casa Schöffer ma comincia a perdere importanza a favore di Lubecca (Germ. del Nord).
Agusta: vengono creati caratteri che riproducono la calligrafia dei cancellieri imperiali.
Dopo la riforma la Germania si spacca in un nord protestante (fiera di Lipsia) e un sud cattolico (Francoforte), ma in generale i tedeschi tendono a leggere sempre più libri in tedesco e Lipsia e Colonia, la cui importanza era stata messa in pericolo dagli scossoni della Riforma e Controriforma, assorbono le perdite con l'editoria universitaria.
Francia
Recupera il ritardo del '400: da 4 a 40 città sede di stamperie ma Parigi resta sempre il polo principale e più importante insieme a Lione, tanto che la Francia in questo periodo sembra quasi divisa in due parti: il nord sotto l'influsso di Parigi (Troyes e Rouen le sono complementari) e il sud dominato da Lione, in forte collegamento con le stamperie tedesche e italiane, in concorrenza con Venezia.
Italia
Venezia continua ad essere la prima stamperia d'Italia, ma a parte le gli esperimenti umanistici, nelle altre stamperie si sacrifica la qualità alla quantità. Roma resta un centro importante, mentre a Milano si nota una decisa decadenza.
Spagna
Non ci sono sviluppi di rilievo, la stampa è un'attività importante solo nelle città universitarie o sede di governo (Madrid, Salamanca, Barcellona, Siviglia, per il resto povertà diffusa) e resta cmq un ottimo mercato per i librai stranieri. La scelta di Filippo II di concedere il privilegio per la stampa dei libri liturgici ai Paesi Bassi è finalizzata a evitare il più a lungo possibile l'instaurazione di un'industria tipografica in Spagna per controllare meglio il consenso ma sul lungo periodo si rivela una scelta suicida: la Spagna resterà un paese subalterno, ancora nel '700 sarà Venezia a fornire i messali agli spagnoli!
Inghilterra
Nel quattrocento si era cercato di incentivare stampatori stranieri a venire sull'isola, esonerandoli da alcune tasse. Col cinquecento però le stamperie prolificano e la corona attua una politica di rigido protezionismo per costruire una solida manovalanza tutta inglese più facilmente controllabile: comincia a eliminare i privilegi agli stranieri, limita il numero delle tipografie e le concentra nella capitale (1586) e nelle città universitarie (Oxford, Cambridge, una piccola a York, per un breve periodo sede di capitale).
Il conflitto con Roma anche dal punto di vista culturale è evidente sotto questo profilo, basti pensare che nel momento della fondazione della prima biblioteca pubblica inglese ad Oxford il bibliotecario prese l'Index librorum prohibitorum come consigli per gli acquisti.
La riforma luterana
Fino al '500 lo spazio europeo è uno spazio unico, un mercato uniforme per libri e stampatori, soprattutto libri religiosi e di studio pubblicati in latino, lingua franca letta ovunque, con la riforma luterana cambia tutto: il mercato prevalentemente unico diventa sempre più diviso in base alle linee linguistiche e religiose. Nel 1517 Lutero denuncia il papa e la chiesa di Roma, secondo Eisenstein (La rivoluzione inavvertita) la riforma non ci sarebbe stata o per lo meno sarebbe stata molto diversa se Lutero e i suoi non avessero utilizzato intelligentemente la stampa: cambia l'ottica della comunicazione per fare proseliti e indottrinare chiunque avesse una minima cultura, Lutero scrive di nuovo in tedesco sia i pamphlet che le opere letterarie che la bibbia stessa (nasce addirittura una letteratura polemica scritta su pamphlet stampati). Da questo momento cominciano a costituirsi le lingue nazionali standardizzate, il mercato sovranazionale si frantuma in piccoli mercati locali in modo anche drammatico: guerre, contrasti, massacri (notte di S.Bartolomeo).
Fragnito, La Bibbia al rogo: i cattolici per molti secoli non poterono leggere il Vecchio e il Nuovo Testamento da soli, i protestanti a partire dal '500 sì; addirittura fino al 1750 non esisteva nessuna traduzione approvata e quelle non approvate vennero allora messe al rogo (es. la bibbia di Diodati, 1641, che era stata diffusa a cura dei protestanti italiani). In generale si crea in questi anni una spaccatura fra sud cattolico (Italia, Spagna) e nord protestante (Inghilterra, Germania, Olanda...), in cui circolavano le bibbie in lingua e che rappresentano una significativa perdita di mercato per i librai e stampatori del sud; la Francia resta divisa fra cattolici e ugonotti per un lungo periodo di guerre civili.
Venezia a causa di questa prima separazione del mercato decade, anche perché i tedeschi smettono di comprare anche le opere in latino (grammatiche, testi universitari) nella quantità precedente, malgrado Venezia non sia certo mai stata una roccaforte papale, anzi. Ad ogni modo alla metà del '500 cede il passo alle stamperie dei Paesi Bassi.
Anche Lipsia decade, a causa delle persecuzioni degli stampatori protestanti, a favore di Wittenberg, sede di una recente università (1500). In generale, grazie a Lutero e alla riforma, la superiorità dei torchi del nord su quelli del sud diventa meno netta.
A causa delle guerre di religione anche in Francia l'industria editoriale incontra dei problemi: molti stampatori lionesi calvinisti devono emigrare in Svizzera, a Ginevra, presso Calvino; inoltre la fiera di Lione perde peso rispetto a quella di Francoforte.
In Italia dopo il Concilio di Trento si riprende l'editoria religiosa, con la stampa della nuova bibbia e di tutta una letteratura di opere pie. Riprendono forza anche le stamperie cattoliche fuori d'Italia (Germania del sud, Colonia, Anversa), al punto che la stampa nei paesi cattolici supera e mette in crisi quella dei paesi protestanti.
Nell'Olanda settentrionale, liberatasi dal giogo spagnolo, fiorisce l'editoria protestante e si pubblica teologia, filologia, carte geografiche e atlanti monumentali, edizioni di autori classici ricercati dai letterati di tutta Europa (Elzevir). Si stampano e diffondono anche copie pirata degli autori inglesi francesi e tedeschi con false indicazioni di luogo.
dalla metà del Seicento
Si sviluppa in questo periodo una crisi prima larvata poi aperta causata in parte dalla divisione del mercato europeo nei mercati nazionali, in parte dalla diminuzione generale della ricchezza e della disponibilità economica: gli editori si appoggiano a libri di sicuro e rapido smercio: romanzi cavallereschi in lingua nazionale e simili. Nasce una guerra di contraffazioni che causa la rovina di molti editori, per esempio ad Anversa. In Francia la lotta è fra Lione e Parigi, e la fondazione di nuove stamperie alla fine viene limitata per legge.
È questo il momento del Libro Olandese, che fa da tramite agli intellettuali di Francia, Germania e Inghilterra, nazioni che fra loro si ignorano. In particolare Amsterdam diventa il secondo centro dell'editoria francese subito dopo Parigi.
I paesi slavi
Dal 1470-80 comincia a diffondersi la stampa a caratteri mobili a Cracovia e Praga, ma il vero problema è la Russia: i caratteri cirillici vengono fusi veramente tardissimo (inizi '800) e fino a quel momento le classi alte russe leggono in latino poi francese, mentre quelle basse per il poco uso che fanno della lettura usano testi manoscritti.
Boemia
Centri fondamentali Pilsen (1468) e Praga; nella prima si stampa il primo libro in lingua ceca, un testo non religioso molto bello pubblicato da un anonimo. In generale si sviluppa velocemente una discreta industria, non sufficiente però a soddisfare le richieste del mercato, per cui si ricorreva all'importazione.
Il cinquecento è l'età dell'oro dell'editoria cecoslovacca, con pubblicazioni laiche e religiose ad altissimo livello, decaduto nel secolo successivo e rinato solo col settecento.
Polonia
Cracovia è l'unica città ad avere laboratori tipografici nel XV secolo perché capitale, città universitaria e centro culturale (incrocio fra Ungheresi, Cechi, Ucraini, Bavaresi, Slesiani, Alsaziani e Franconi) ma nel resto del territorio non si sviluppa per tutto il secolo. Il primo libro stampato è l'Explanatio in Psalterium e la figura fondamentale è Swiatopolk Fiol di Franconia, grande produttore di letteratura liturgica slava. In seguito Fiol viene scacciato e diventa primate Johann Haller di Franconia, il primo ad assumere su di sé la figura di libraio stampatore ed editore, fu anche mecenate per molti intellettuali. Infine Florjan Ungler stampatore del primo libro polacco pervenutoci e il primo ad adattare alla stampa la lingua parlata dalla gran massa dei polacchi.
Dalla metà del cinquecento le officine tipografiche nascono ovunque in Polonia con la Riforma: è l'età dell'oro, che decade nel secolo successivo e si riprende solo col settecento.
Jugoslavia
Tutta la zona slava meridionale deve il suo sviluppo soprattutto a Venezia, da cui arrivano torchi, libri e stampatori, a parte la Croazia che risente della vicina Cecoslovacchia. In molte zone, però, la produzione è limitata a libri liturgici e stamperie dalla vita effimera.
Russia
La stampa dovrebbe risalire più o meno al 1553, il primo esempio datato è del 1563-4. Fin dall'inizio fu appannaggio e preoccupazione esclusiva dello stato e della chiesa, con il problema dei caratteri cirillici. Il primo funzionario che sottoscrisse un libro a stampa è Ivan Fedorov, a cui risalgono i primi libri liturgici e il modello unico a cui rifarsi fino al seicento. Dalla metà del XV secolo cominciarono ad essere stampati anche libri profani.
La maggior parte della produzione, quella per gli strati più bassi della popolazione, rimase cmq in forma manoscritta almeno fino al settecento inoltrato.
Fuor d'Europa: Nuovo mondo protestante
I padri pellegrini portano e insediano la stampa nelle prime colonie inglesi, la prima nel 1638 a Cambridge, dopo grandi peripezie, e solo dopo 40 anni nel resto del paese. Resta a lungo un'arte strumentale e povera, non ha nessuna grande espansione e resta sempre legata all'informazione e all'ambito liturgico, i libri veri e propri vengono importati dalla madrepatria per tutta la produzione più corposa in ampiezza e impegno culturale o scientifico.
La stampa si diffonde veramente solo nel settecento con la comparsa dei giornali, indispensabili in un territorio così ampio e dispersivo: ogni stampatore produce anche almeno un giornale, di cui spesso è editore e redattore; a questo punto dello sviluppo, però, i nordamericani dimostrarono di sapere ben distribuire e coordinare le stamperie sul territorio, seppure vasto.
Nuovo mondo cattolico
La stampa arriva attraverso i missionari gesuiti soprattutto quindi si occupa di religione e catechismo + qualche pubblicazione d'informazione. Gli stabilimenti più grossi stanno a Città del Messico prima di tutto, poi a Lima e in tutti i più grandi insediamenti missionari. Tutto il resto viene importato dalla madrepatria e l'introduzione di libri di fantasia è teoricamente vietata, nella pratica tollerata.
Importanza della stampa e diffusione dei libri cavallereschi nell'epica delle conquiste.
Estremo Oriente
I primi a diffondere la stampa a caratteri mobili nelle colonie africane e asiatiche sono i portoghesi, che fin dal 1515 esportano libri in Abissinia, e quindi in tutte le altre zone d'influenza: Goa, Macao, il Giappone. I sovrani portoghesi spediscono gli esploratori con casse di libri, in India la stampa a caratteri mobili comincia dal XVI secolo, anche se all'inizio si stampano solo libretti di preghiere e catechismi, solo dal seicento cominciano i contatti con gli intellettuali del luogo.
In Cina e Giappone la diffusione della stampa a caratteri mobili è più difficoltosa perché si stampava già con caratteri di legno adatti all'uso degli ideogrammi. Le prime stampe giapponesi sono ricercate da collezionisti ed eruditi come grandi preziosità. In Cina invece arrivò all'inizio del seicento una raccolta unica di testi della cultura europea grazie ai gesuiti, e si conservò fortuitamente in mezzo ai cataclismi dei quattro secoli successivi, arricchendosi dei doni delle altre missioni. La biblioteca doveva servire a tradurre in cinese le principali opere della cultura europea, e l'impresa venne cominciata con un'enciclopedia matematico-scientifica, ma il cambiamento brusco di dinastia interruppe l'esperimento; così accadde ad altri esperimenti simili nei secoli successivi, poi con l'arrivo della colonizzazione inglese e americana, mossa da minore ammirazione per le realtà locali indebolite, questi scambi alla pari smisero del tutto sostituiti dall'impero culturale inglese.
Il Libraio (ovvero: i modi della diffusione del libro come merce)
Uno dei problemi della stampa d'Ancien Regime era l'assorbimento lento della produzione: prima bisognava far passare la notizia della pubblicazione, poi l'opera e aspettare le lettere di cambio eccetera. Al contrario adesso in libreria si trovano solo i libri del momento, mentre quelli rari, che resistono più facilmente nel tempo sono libri da catalogo che fanno magazzino e sono gestiti direttamente dalle case editrici.
Le tirature
Sin dagli inizi della stampa non c'erano grossi problemi tecnici a impedire alte tirature, eppure difficilmente gli editori tentavano imprese rischiose soprattutto all'inizio a causa del problema fondamentale: l'assorbimento lento.
Le prime stampe in Italia (Giovanni da Spira) si aggirano attorno alle 100-150 copie per mandata, non di più, addirittura Schweynheym e Pannartz tentano 250-275 copie, infatti lamentano grosse difficoltà nella diffusione e devono spostarsi a Roma.
È a partire dal 1460-70 che le tirature cominciano ad aggirarsi attorno alle 1000 copie (Vindelino da Spira, Leonard Wild).
Intorno al 1480 il mercato comincia a organizzarsi: emergono i primi editori internazionali (Koberger), diminuisce moltissimo il prezzo dei libri e aumenta la cifra media delle tirature da 4-500 crescendo.
Le 1500 copie vengono raggiunte sin dal 1490 e da allora la cifra delle tirature sembra stabilizzarsi per molto tempo intorno alle 1000-1500 copie, numero stabile anche per opere di grande successo per non rischiare: la bibbia di Lutero viene stampata e diffusa rapidamente in 4000 copie ma insomma è un “caso editoriale”. Nella seconda metà del secolo un grande editore come Plantin stampa intorno ai 1250-1500 esemplari e solo eccezionalmente ha tirature minori o maggiori (solo libri scolastici e liturgici, bibbie...).
Le cifre restano simili nel seicento che si tratti di Corneille, Boileau o Grozio, ancora gli unici libri che superano regolarmente i 2000 esemplari sono libri religiosi o scolastici.
Ancora nel settecento superano le 2000 copie solo eccezionalmente le opere di grande fortuna (l'Encyclopédie in 4250, le opere dei philosophes).
Nb che anche in Italia oggi le cifre purtroppo non sono molto diverse.
Il trasporto
In generale bisogna inoltre considerare che a ogni singolo libraio venivano spedite poche copie per ogni opera stampata, per velocizzare i ritorni e assicurare l'assorbimento a partire dal cinquecento fino al seicento, con un lieve aumentare in ragione dell'aumentare del numero degli esemplari prodotti per tiratura.
Inoltre il libro è merce preziosa ma anche pesante e ingombrante: forti spese di trasporto che gravavano sul prezzo finale; i libri venivano spediti in balle di fogli sciolti dentro botti – sistema non privo di problemi perché spesso i commessi di magazzino facevano confusione.
I libri erano anche merci fragili, che soffrivano facilmente del trasporto in battello o col carro soprattutto per l'acqua e le intemperie. Per non parlare delle complicazioni che aggiungevano guerre, pirati, cambiamenti di mezzi di trasporto, molto frequenti per raggiungere la Francia o le Americhe dall'Olanda per esempio. Era comodo che un agente dell'editore sorvegliasse sul posto alla giusta ripartizione del carico.
Grosse difficoltà c'erano anche al momento del pagamento: il sistema bancario non era pronto agli scambi internazionali e prevedeva solo contanti (scomodi), baratti (soprattutto in Germania, ma col tempo si rivelò poco comodo restavano degli invenduti ecc.) o lettere di cambio. Le lettere di cambio venivano spesso mosse in modo triangolare, con complicazioni grosse quando superano i tre passaggi e vengono commerciate e scambiate; successivamente si passò alle girate bancarie.
Oltretutto in caso di interruzione del commercio fra due paesi molti editori rischiavano di fallire, trascinando con sé una catena di altri: spesso si preferiva aiutarsi che reggere a un fallimento, almeno fin al diciottesimo secolo.
Gli agenti e i librai
Il primo sistema per far conoscere e smerciare la propria produzione a stampa era quella degli agenti mandati dagli editori in città grandi e piccole a pubblicizzare la produzione, spesso con dei feuilles d'annonce a stampa che la riproducevano. Gli agenti erano quindi l'equivalente del mediatore, del distributore attuale. es. Decio Sandron, padovano, agente di una libreria di Venezia fonda una casa editrice in Sicilia nell’ottocento.
Questi feuilles si trasformarono velocemente in cataloghi, per i quali non esiste un corrispettivo moderno se non nei cataloghi online degli editori o nei cataloghi dei librai antiquari: non c'è differenza fra libri appena usciti e libri già “vecchi”, ci si possono trovare tutti i libri a magazzino dall'inizio dell'attività. I cataloghi giravano con gli agenti, appunto, ma venivano anche mandati ad altri librai, stampatori e agli intellettuali: in breve a tutta la società delle lettere, come risulta dagli scambi epistolari del sette-ottocento in cui il catalogo emerge come canale di informazione personale.
Un altro sistema di acquistare libri era la raccolta di associazioni o sottoscrizioni, cioè raccolte preventive di adesioni all'acquisto che garantivano all'acquirente un certo sconto e servivano all'editore per avere una prima liquidità con cui coprire la prima parte delle spese ma era anche una prima indagine di marketing. Naturalmente si faceva soprattutto per opere importanti e costose, spesso in molti volumi. Talvolta poteva succedere che l'editore non si sentisse abbastanza coperto o che la produzione si bloccasse per altri motivi, e non c'era da parte dell'acquirente nessuna possibilità di rivalersi – c'erano anche quelli che scappavano con la cassa, addirittura venivano fondate società apposta. Era un discreto problema, ma troppo utile per edizioni raffinate e costose, particolarmente quelle con incisioni e simili.
Naturalmente era conveniente per gli agenti frequentare le città nel momento della fiera, per incontrare una maggior quantità di pubblico e mercanti interessati. Col tempo alcuni agenti impiantarono botteghe stabili nelle città di maggior smercio. Il mercato librario si organizza rapidamente nel quattrocento con grandi editori autonomi e associazioni di piccoli e medi editori uniti nella necessità di farsi conoscere e vendere. es. a Venezia la “Nicolaus Jenson sociique” riesce ad avere agenti in molte città italiane. Con il costruirsi del mercato le tirature aumentano e diminuisce il prezzo dei libri.
Naturalmente nelle città più grandi e più ricche c'erano anche le botteghe di libraio, spesso lui stesso stampatore se non addirittura editore. I librai prima di tutto erano intellettuali che conoscevano la produzione del periodo ed erano tanto più bravi quanto più conoscevano il mercato e i gusti o le necessità del cliente, le librerie erano un luogo di ritrovo.
Le fiere
Ben presto però si rivelò importante anche partecipare alle fiere, un sistema sicuro e comodo di vendere, incontrarsi, scambiarsi libri e commissioni, regolare debiti e crediti; alcune si specializzarono per settore: nel nostro caso ci andavano librai, fonditori di caratteri, editori, venditori di inchiostri o torchi, stampatori, venditori ambulanti ecc., c'era anche commercio al minuto e in generale si regolavano i conti fra i commercianti.
La più importante fu la fiera di Lione; la città era di per sé un centro tipografico importante, a cui si aggiunge un'ottima posizione commerciale sia per le vie di mare che per quelle di terra, mette in comunicazione la Spagna, la Germania e l'Italia e quindi l'Oriente e infine l'Inghilterra. Era quindi già rilevante per altri commerci e la monarchia francese li incoraggiarono con politiche di apertura e protezione dei mercanti, sgravamento dai dazi ecc. Le fiere si tenevano due volte l'anno per 15 giorni e occupavano vie e piazze. Alla fine del periodo di vendita ci si incontrava per regolare i conti con lettere di cambio e contanti. Lione diventa anche centro finanziario importante, vi si trasferiscono molti banchieri italiani.
L'altra fiera fondamentale è quella di Francoforte. Centrale per la Germania si occupava di ogni genere di merce e anche se la stampa vi si sviluppa tardi gli agenti dei grandi librai la frequentavano già da tempo con grande profitto: non passa molto tempo perché diventi il centro di riferimento anche dei fonditori e degli incisori di caratteri. È un crocevia di ogni genere di personaggi: autori, letterati in cerca di lavoro, editori, fonditori, rilegatori, librai. Inizialmente è il polo di riferimento per la produzione libraria cattolica e dei macchinari, ma col tempo si regionalizza come fiera del libro tedesco e nell'ottocento, nonostante il paese non esistesse ancora, i cataloghi della fiera di Francoforte rappresentavano il corrispettivo della produzione annuale tedesca: l'identità nazionale tedesca si forma in qualche modo prima sui libri che come stato.
Un'altra fiera importantissima è quella di Lipsia, di tradizione editoriale antica (1479) ma che aveva incontrato alcune difficoltà nel primo periodo della Riforma: gli elettori avevano la sgradevole abitudine di bandire gli editori di fede diversa dalla loro. In questi casi il rifugio era la Svizzera, ma a partire dal 1697 circa gli elettori seguirono una politica di tolleranza sistematica, che permise a Lipsia di diventare il principale mercato delle edizioni tedesche non più solo protestanti (ma sempre più in lingua tedesca), a cui nel tempo si aggiunsero russi, polacchi e olandesi. Ma siamo già nel periodo della frantumazione del mercato europeo.
Di importanza fondamentale è la pubblicazione dei cataloghi delle fiere. Gli antenati di queste pubblicazioni precedono il 1470 nelle mani degli agenti, prima per un singolo editore poi per associazioni e gruppi più o meno grossi di piccoli editori. Ma presto si rende utile e necessario stampare cataloghi che riuniscono tutte le opere disponibili a Francoforte o a Lipsia nel periodo della fiera.
La pubblicizzazione
Il problema fondamentale era la conoscenza del prodotto, la pubblicità e la comunicazione che avveniva:
1. attraverso il rapporto con i librai, la gente, la comunità intellettuale; c'erano alcuni eruditi che funzionavano da canale d'informazione per gli intellettuali di tutta Europa (es. Peiresc, i fratelli Dupuy).
2. in Europa i primi giornali sono riviste sui libri, giornali bibliografici. Il primo è il Journal de Savants che dal 1665 (con la committenza di Colbert) raccoglie mensilmente informazioni sulle scoperte e pubblicazioni scientifiche e non in Francia, dandone spesso anche la recensione. Venne tradotto in Italia e Germania, anche in latino, e dette impulso a tutta una serie di pubblicazioni dello stesso tipo in Francia e soprattutto in Olanda, da cui arrivavano le informazioni e le idee dei philosophes e dei pensatori inglesi.
3. le varie bibliografie nazionali, che nascono intorno alla metà del '600 in Francia e hanno grande sviluppo in Inghilterra, utili soprattutto ai librai.
4. gli agenti
5. si sviluppò anche un fiorente commercio di libri d'occasione: una volta duravano di più, venivano considerati oggetti da rispettare e alla morte di studiosi o letterati senza eredi le loro biblioteche venivano acquisite in blocco dai librai d'occasione o messe all'asta per i gusto (e le lotte) dei bibliofili e degli specialisti. Se ne occupavano sia i bouquinistes che i librai ambulanti, ma anche librai specializzati.
6. i commercianti ambulanti o Col Porteurs che portavano libri nelle città piccole e nelle campagne fin dal quattrocento; oltre a libriccini, abbecedari, lunari e effemeridi portavano con sé articoli di merceria, pronostici, immagini sacre.
es. Un ricordo attuale resta nel Premio Bancarella di Pontremoli, che ricorda appunto un'attività tipica dei librai di Pontremoli e Montereggio: partivano con giare piene di libri, almanacchi, lunari ecc e per una stagione andavano a venderli in giro per il mondo
es. la casa Remondini di Bassano del Grappa utilizzava gli abitanti di Tesi per diffondere le loro opere: si sono trovate tracce dei libri portati dai tesini fin nelle Americhe meridionali, portavano soprattutto immagini sacre, calcografie, libretti illustrati.
Soprattutto in alcuni momenti della storia questo commercio ambulante serviva a distribuire opere proibite (talvolta ancora manoscritte): es. nel periodo della controriforma, prima del 1789 e durante il risorgimento,
es. Luigi Dottesio impiccato dall'Austria nel 1751 perché libraio sovversivo.
In momenti in cui stampatori e librai si trovavano senza lavoro divenne lucrativo vendere questo genere di articoli, soprattutto quelli proibiti, a volte molto costosi. Era anche molto difficile fermare questi traffici per il loro carattere ambulante, imprendibile.
Privilegi e contraffazioni
Nei primi tempi della stampa non c'era bisogno di dividersi i libri da stampare: ce n'erano così tanti da bastare per tutti, inoltre non conveniva agli editori ancora deboli farsi la guerra fra loro.
Dal cinquecento però si pone il problema dei libri di nuova edizione: la concorrenza si fece più aspra, produrre un libro appena uscito (magari a minor prezzo) era molto vantaggioso e rendeva bene. Questo sistema indeboliva gli editori più attenti e intraprendenti, che quindi presero a rivolgersi alle autorità perché concedessero loro dei privilegi, monopoli della stampa di determinati testi; probabilmente i primi furono degli editori milanesi nel 1481. In Francia il sistema dei privilegi venne utilizzato dal re per tenere sotto controllo le stamperie e accentrarle a Parigi mettendo in difficoltà quelle provinciali; negli altri paesi, meno centralizzati, le istituzioni ebbero maggiori difficoltà a controllare il mercato, anche perché non esistevano trattati o accordi internazionali.
Finché il mercato si mantenne ricco e in grado di assorbire la produzione gli editori cercarono di evitare scontri aperti (sempre a causa delle guerre di contraffazioni) e rovinose cadute perché era un mercato strettamente interconnesso, ma con il seicento il mercato si restrinse e si frazionò, divennero meno vendibili gli articoli “sicuri” di una volta (grandi pubblicazioni religiose) e si diffuse la letteratura in volgare, le pubblicazioni scientifiche, i primi giornali – tutto questo parallelamente a una crisi editoriale e a una generale scarsità monetaria. Soprattutto tra Francia e Olanda si creò una guerra di contraffazioni che mise in gran difficoltà gli editori parigini e alla fine vide vincere gli olandesi, che divennero secondo polo editoriale in lingua francese, esportavano perfino a Parigi grazie alla carente legislazione internazionale in termini di privilegi e diritti d'autore.
La censura
La censura è il controllo da parte delle istituzioni e del potere sia laico che ecclesiastico dei mezzi di comunicazione che cooperano alla formazione dell'opinione pubblica. Nasce in seno alla chiesa cattolica e assume forme differenti sia rispetto al secolo che rispetto al sistema politico in cui vivono.Si può parlare di censura preventiva, repressiva, auto-censura ecc. in generale è il controllo della scrittura o dei suoi contenuti.
L'importante per noi è come questa condiziona la scrittura e la circolazione dei libri. Periodicamente sono stati stilati elenchi di libri proibiti in un certo stato, il più noto è l'Index librorum proibitorum ma anche negli ultimi anni del fascismo ('38) esisteva un elenco di libri da non stampare né diffondere, ovviamente in gran parte scritti da autori ebrei; in realtà tutti gli stati, sia protestanti che cattolici, da sempre (e ancora oggi) controllano la stampa, sia libraria che giornalistica – che è poi quella che fa più paura: infatti i libri li leggono solo gli intellettuali, i giornali anche il popolo.
Già da prima della Riforma i papi avevano intuito il pericolo insito nella stampa (per quanto essa potesse essere utile nell'opera di evangelizzazione) e a poco a poco si diffuse l'idea che ci fosse bisogno di un controllo preventivo su ogni pubblicazione: nasce la censura preventiva, ovvero un ufficio in cui dei censori o revisori devono visionare qualsiasi testo prima della pubblicazione.
Dall'inizio del XVI secolo in Germania l'imperatore tentò di controllare la pubblicazione dei libri con una commissione imperiale che, passata in mano ai gesuiti, tentò di bloccare il commercio di libri protestanti con il risultato di favorire la fiera di Lipsia a spese di Francoforte e senza veri risultati sul piano del controllo.
In Francia invece il re attraverso il sistema dei privilegi (dal 1563) riuscì a tenere ben sotto controllo ogni nuova pubblicazione, anche se i libri proibiti sono così tanti che i librai li tengono lo stesso, rischiando. Inoltre la decisione di Colbert di limitare il numero degli stampatori determinò la rovina dell'editoria provinciale e in generale dell'intero paese, a tutto vantaggio degli editori clandestini e contraffattori che si inseriscono in questo mercato e creano catene di vendita ben organizzate e lucrative, appoggiate dalle autorità stesse che dovrebbero controllarle. In generale la censura preventiva e repressiva non funziona gran che, in questo periodo.
Nella coscienza dei letterati non esisteva cmq già da prima l'idea che ci potesse essere libertà di espressione a mezzo stampa, fin dall'inizio (‘5-6-700) era normale il controllo dell'autorità sulle opere per la correttezza filologica. Il censore, d'altra parte, è un intellettuale, fa parte di quel mondo culturale da cui, talvolta, nasce l'eresia stessa. Di conseguenza la consapevolezza del diritto di manifestare il proprio pensiero è molto lenta, particolarmente in Italia.
La censura varia in intensità a seconda delle necessità dello stato, e se generalmente vede alleati trono e altare ci sono stati casi nella storia di divergenze anche pesanti es. Pellico il cui libro (Le mie prigioni) Metternich chiede alla chiesa che sia censurato, ma essendo esempio di virtù, sopportazione e pietà cristiana non può esser messo all'indice.
Gli strumenti che la Chiesa di Roma attua ai fini del controllo sono: la Congregazione del Sant'Uffizio (n. 1542) e la Santa Inquisizione.
L'Inquisizione esisteva già prima del Sant'Uffizio ma a un certo punto viene centralizzata a Roma e diventa Suprema, cioè centrale rispetto alle altre congregazioni. Ha come compito il controllo dell'ortodossia religiosa e delle coscienze, quindi immediatamente entra in rapporto coi libri e controlla possesso, uso e ovviamente scrittura di libri proibiti. Ricordiamo il caso di Menocchio, mugnaio friulano della fine del 1500, condannato a 15 giorni di prigione per aver posseduto due copie del Decameron: superiore alla modica quantità per uso personale.
Index librorum proibitorum
Nel 1571 si forma la Congregazione dell'Indice, cioè una commissione di cardinali incaricata di stendere l'elenco dei libri proibiti.
È un elenco da cui non vennero tolti libri (potere dei vescovi e del papa), salvo qualche piccola revisione sotto Pio XII (Lambertini); riporta autore e opera incriminata (con un'indicazione in corsivo della data e luogo della condanna) senza altre indicazioni perché ovviamente è proibita qualsiasi edizione o traduzione del testo, ne è proibita la scrittura pubblicazione vendita lettura, teoricamente sono libri che avrebbero anche dovuto essere bloccati alla dogana dello Stato della chiesa; è inoltre indicato che sono proibiti donec corrigatur, in effetti sono in molti a correggere le opere, la paura e l'autocensura durano a lungo, anche per la lunga alleanza di trono e altare anche per questi casi.
All'inizio ovviamente non si occupava solo dei libri dei contemporanei, ma in drammatico furore teologico espunse anche molte opere classiche: il Decameron, Giovenale, Properzio, Marziale, Ovidio, Orazio ecc.: vengono eliminate le opere che potrebbero traviare i veri fedeli parlando male della chiesa o dei regnanti, insegnando cattivi costumi ecc. Col passare del tempo venne inserita tutta la tradizione illuministica (Encyclopédie, Voltaire, Rousseau, Diderot...) e in generale quasi tutta la tradizione letteraria francese, Dostoevskij non c'è solo per cause meccaniche: pochissimi sapevano il russo, venivano esaminate soprattutto opere in francese (7-8000 in totale), latino, tedesco (lingua dei filosofi e dei giuristi) e poche inglesi. Quando un libro usciva veniva denunciato e quindi esaminato dalla congregazione romana, se condannato veniva inserito nell'indice e nei casi più gravi seguivano processi, come quello a Galileo Galilei e a Giordano Bruno – se veniva considerato non pericoloso riceveva l'imprimatur, eliminato dai testi italiani nel 1861. Il buon cattolico, ovviamente, non doveva leggerli pena la scomunica nei casi (e nei momenti) più gravi, addirittura per leggere Machiavelli ci vuole la dispensa papale, per altri basta la licenza da parte del vescovo (es. Manzoni nel 1820 chiede al papa la dispensa per tutti i libri proibiti che aveva in biblioteca).
Questa impostazione così aggressiva è tipica della chiesa riformata, fortemente militante e repressiva.
L'Index porta in copertina una xilografia che riporta una scena degli atti degli apostoli, quando questi chiedono ai cristiani di portare i libri di magia allora molto diffuse e le bruciano. I roghi di libri sono stati effettivamente fatti non solo nell'ambito della chiesa cristiana. Cfr Storia della distruzione dei libri
Quando si diffonde negli stati la libertà di stampa il potere proibitorio diminuisce: Gioberti, prete condannato per i suoi scritti dice che più che altro è propaganda.
La Congregazione dell'Indice viene sciolta nel 1917 e passa i suoi poteri alla Congregazione del Sant'Uffizio, che si occupa soprattutto di questioni filosofico-religiose e per esempio condanna Gentile e Croce, ma ha potere reale solo nello Stato della chiesa, per il resto dipende dai legami politico-diplomatici con gli altri stati, es. Venezia nel Seicento si trova a difendere Paolo Sarpi e non Pietro Giannone per differente opportunità politica, es. ad inizio ottocento la maggior parte degli stati preunitari adotta l'Indice in virtù del legame fra trono e altare.
Nel 1966 vengono eliminati anche i poteri dell'Indice, che diventa una vaga indicazione morale. Solo l'Opus dei continua a diffondere l'Indice oggi.
Libertà di pensiero
Ancora a metà settecento questa consapevolezza è indietro: la prima richiesta della libertà di stampa risale al 1644 con l'Areopagita di Milton, un appello che usava il riferimento alla tradizione ateniese nel momento delle rivoluzioni inglesi.
In Italia bisogna aspettare l'inizio dell'ottocento con Gaetano Filangeri, giurista illuminista che scrive nella Scienza della legislazione che non è che non ci siano libri malvagi, ma il Tribunale della Pubblica Opinione deciderà quali opere sono buone e quali pessime – è un'ingenuità ma nel 1783 se lo può permettere. Le prime due formulazioni ufficiali sono nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 (ma un'espressione larvata si trovava già nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo americana: “la stampa è libera”) che diceva c'è libertà di opinione, per quanto tutte le costituzioni derivate stabiliscono una censura piuttosto repressiva: la stampa è libera salvo reati d'opinione, aboliti molto recentemente – naturalmente tutto questo è piuttosto ambiguo, e l'ambiguità si protrasse particolarmente in paesi come l'Italia, dove c'era libertà di religione ma il vilipendio alle istituzioni coinvolgeva anche quello nei confronti della chiesa cattolica (e quindi esaltazione di altre religioni come contestazione delle realtà cattoliche), religione di stato fino al concordato di Craxi.
Ad ogni modo l'importante è che si arrivi alla consapevolezza del diritto, del principio ideologico, per quanto subito disatteso: fino al 1848 (es. secondo lo Statuto Albertino per un certo periodo in Piemonte c'è libertà di stampa eccetto calunnia e vilipendio, per i quali può intervenire il sequestro da parte della magistratura) non esiste libertà di pensiero da nessuna parte, anzi viene attuata la censura preventiva.
Il fascismo e lo stesso regime comunista non hanno mai messo in discussione la libertà di stampa per principio perché non ce n'era bisogno, il controllo era più raffinato e più sottile (o più pesante), ma insomma c'erano molti altri strumenti utili a questo fine:
1. prima di tutto l'autocensura,
2. il MinCulPop attua un sistema di finanziamenti, sovvenzioni e agevolazioni ovviamente dirette solo verso gli editori vicini al regime e tutti tranne due o tre si adeguano
3. vengono attuati sequestri improvvisi soprattutto di giornali, che ne impediscono la riuscita editoriale e quindi la sopravvivenza
4. alla fine, dal 1938 si arriva a un controllo più severo, si stila un elenco di autori che non possono pubblicare, soprattutto ebrei. Croce, per quanto personaggio scomodo, continua a pubblicare grazie alla sua visibilità internazionale
Oggi stampa e tv sono libere, ma i loro editori? Cfr Berlusconi e “l'editto bulgaro”. Ci sono principi costituzionali ma anche forme di controllo che hanno a che fare con finanziamenti e mercato, che operano una censura ben più operativa attraverso auditel e classifiche di mercato: la censura dell'editore. Ovviamente l'editore privilegia chi vende di più, e poi ci sono forme di finanziamento da parte di banche che privilegiano i marchi più noti o appoggiati o con buone garanzie es. ministeriali per le Edizioni Nazionali. È una forma di autocensura.
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