L'editoria italiana fra l'Ottocento e il Duemila
Nell'ottocento si creano in Italia le condizioni per passare dall'editoria d'Ancien Regime tipographique, che aveva ancora le caratteristiche di corporatività e artigianalità impostate al tempo di Gutenberg, alla moderna editoria industriale, sebbene un po' malata e segnata dai caratteri di uno sviluppo industriale lento.
A cavallo del secolo
Durante il periodo della rivoluzione francese (e in particolare sotto il regime napoleonico) l'influsso culturale della rivoluzione e dell'impero si fanno sentire anche nella realtà italiana.
L'industria tipografica muta soprattutto in relazione a:
~ l'abolizione della censura preventiva: diffusa dalle armate di Napoleone come linea di principio della Costituzione francese del 1791, ma nei fatti si realizza in forme di controllo dei principali diffusori di princìpi e opinioni diverse dal regime: i giornali innanzitutto; nasce quindi la Direzione generale della stampa e della libreria.
~ l'istruzione elementare obbligatoria (e ovviamente gratuita), che non era mai stata presa in considerazione dai governi preunitari eccetto nel Lombardo-Veneto di Maria Teresa d'Austria, con gigantesche conseguenze sul mercato dei libri che diventa di massa. L'iniziativa napoleonica diffonde ovunque l'obbligo tranne che in Sicilia e per un breve periodo, ma la situazione resta comunque molto differenziata con la Toscana e il Piemonte che arrancano dietro il Lombardo-Veneto, irraggiungibili dal Mezzogiorno.
~ l'abolizione delle corporazioni e il rafforzamento del libero mercato: Napoleone liberalizza l'accesso al mestiere ma con un il decreto del 1810 riduce il numero delle stamperie a quelle capaci di competere sul mercato (forti per dotazione tecnologica e capitale finanziario e risarcisce le altre), condizione per la crescita della competizione. Le piccole botteghe sono inoltre potenzialmente sovversive e/o potenzialmente ricattabili, quelle grosse si controllano meglio; inoltre finanzia iniziative editoriali e operazioni di aiuto e consolidamento dei grossi stabilimenti. Si preoccupa anche di togliere ogni tipo di privilegio alle Stamperie governative. Il risultato è che l'attività editoriale si concentra a Torino, Milano, Firenze, Roma Napoli e Bologna, mentre muoiono Genova e Venezia. Resistono anche alcune piccole aziende decentrate (Prato, Macerata, Bassano del Grappa) che stampano soprattutto opere tradizionalmente di largo consumo: vite dei santi e dei reali, libretti religiosi, lunari e almanacchi.
A cavallo del secolo
Durante il periodo della rivoluzione francese (e in particolare sotto il regime napoleonico) l'influsso culturale della rivoluzione e dell'impero si fanno sentire anche nella realtà italiana.
L'industria tipografica muta soprattutto in relazione a:
~ l'abolizione della censura preventiva: diffusa dalle armate di Napoleone come linea di principio della Costituzione francese del 1791, ma nei fatti si realizza in forme di controllo dei principali diffusori di princìpi e opinioni diverse dal regime: i giornali innanzitutto; nasce quindi la Direzione generale della stampa e della libreria.
~ l'istruzione elementare obbligatoria (e ovviamente gratuita), che non era mai stata presa in considerazione dai governi preunitari eccetto nel Lombardo-Veneto di Maria Teresa d'Austria, con gigantesche conseguenze sul mercato dei libri che diventa di massa. L'iniziativa napoleonica diffonde ovunque l'obbligo tranne che in Sicilia e per un breve periodo, ma la situazione resta comunque molto differenziata con la Toscana e il Piemonte che arrancano dietro il Lombardo-Veneto, irraggiungibili dal Mezzogiorno.
~ l'abolizione delle corporazioni e il rafforzamento del libero mercato: Napoleone liberalizza l'accesso al mestiere ma con un il decreto del 1810 riduce il numero delle stamperie a quelle capaci di competere sul mercato (forti per dotazione tecnologica e capitale finanziario e risarcisce le altre), condizione per la crescita della competizione. Le piccole botteghe sono inoltre potenzialmente sovversive e/o potenzialmente ricattabili, quelle grosse si controllano meglio; inoltre finanzia iniziative editoriali e operazioni di aiuto e consolidamento dei grossi stabilimenti. Si preoccupa anche di togliere ogni tipo di privilegio alle Stamperie governative. Il risultato è che l'attività editoriale si concentra a Torino, Milano, Firenze, Roma Napoli e Bologna, mentre muoiono Genova e Venezia. Resistono anche alcune piccole aziende decentrate (Prato, Macerata, Bassano del Grappa) che stampano soprattutto opere tradizionalmente di largo consumo: vite dei santi e dei reali, libretti religiosi, lunari e almanacchi.
La nuova figura dell'editore (pp.55-76)
Gli anni fra il 1780 e il 1830 fenomeni analoghi si rincorrono in tutta Europa:
• abolizione delle strutture corporative
• abolizione (e poi ripristino) della censura repressiva
• veloce ampliamento del pubblico dei lettori
• innovazione tecnologica
• riorganizzazione dei mercati su scala nazionale
contemporaneamente però restano
il carattere artigianale delle botteghe
la funzione editoriale dei librai
la struttura generale del torchio a mano
l'assenza di protezioni giuridiche per la proprietà intellettuale
Solo con il biennio 1830-40 si può cominciare a parlare di seconda rivoluzione del libro, dettata da:
⇒ meccanizzazione dei processi produttivi
⇒ crescita esponenziale del pubblico
⇒ attenzione degli editori verso prodotti di più largo consumo
⇒ nascita di una figura di editore svincolato dalla libreria e dalla tipografia
⇒ chiusura dell'orizzonte dell'editore all'interno dell'ambito statale rispetto al respiro europeo che aveva prima, a causa delle motivazioni di cui sopra
In Italia questi stravolgimenti si fanno sentire anche nel riassestamento degli equilibri geografici del paese con Venezia che cede decisamente il posto a Milano e Torino.
Qualcuno tenta la via dell'industrializzazione (i Ramondini da Bassano), altri (il conte Pepoli e A. F. Stella) costituiscono aziende editoriali ambiziose che sperimentano le prime biblioteche a uscita periodica per sottoscrizione.
La figura stessa dell'editore resta ambigua e indeterminata.
Notevole l'impegno di BETTONI nel rinnovamento tecnologico (il torchio a rullo) e nella ricerca di prodotti editoriali ad alta tiratura.
Al contrario STELLA si caratterizza per maggiore qualità nell'impegno editoriale ma anche per la cautela del mercante, che gli consente di attraversare gli alti e i bassi del secolo senza rovinarsi.
Altro esempio tipico del secolo è VIESSEUX, che aveva un'ottica più progredita e lungimirante (le biblioteche per il popolo, la necessità di diffondere l'abitudine alla lettura) in un paese con pochissimi lettori e molti scrittori.
Con gli anni '30-40 si costituisce anche agli occhi della società la figura dell'editore come imprenditore, colui che stampa o fa stampare a proprie spese le opere altrui distinto dal libraio e dallo stampatore: era un intermediario che si occupava di politica editoriale, che si riuniva con i suoi funzionari in un ufficio, separato e inessenziale alla bottega, che doveva mediare fra i gusti del pubblico e le volontà degli autori tramite il suo gusto. Con il passare del tempo questa figura si rafforzò (anche grazie alla Convenzione Austro-sarda del '40) fin troppo, dato che venne accusata di seguire esclusivamente l'interesse delle proprie tasche ed non produrre le opere di genio aperte a tutti di cui il paese aveva bisogno. Polemica fra POMBA (che difende gli editori e accusa i librai), TENCO (che se la prende esclusivamente con gli editori) e VIESSEUX.
In effetti editori tipici di questo periodo sono LE MONNIER, autore di pregevole edizioni ma che non disdegnava un po' di pirateria ogni tanto e LONGO, il quale invece aprì diverse tipografie in cui stampava per conto d'altri e per sua iniziativa.
POMBA invece rappresenta il passaggio dall'antico regime (proviene da una famiglia di stampatori di lontana tradizione) e porta la sua impresa nel nuovo con attenzione alle innovazioni tecnologiche (stampatrice a cilindro Cowper) e soprattutto ai nuovi mercati, a cui arrivò con la Biblioteca popolare, distribuita attraverso le poste. Inoltre era convinto che oltre a stamparli i libri andavano letti, convinzione che condivideva con Barbéra, anche lui convinto che il suo mestiere era più che un traffico.
Lettori e luoghi della lettura (pp. 77-112)
La generazione del '770 oscilla fra amare considerazioni sulla società italiana (ripiombata nelle tenebre dell'ignoranza dopo il 1815) e la convinzione di trovarsi alla vigilia di una benigna e generalissima rivoluzione.
In realtà il patrimonio librario (oltre che, ovviamente, di monumenti, chiese, quadri, statue ecc...) in Italia era già nel settecento amplissimo e abbastanza organizzato: biblioteche private, regie o monastiche arricchiscono enormemente il patrimonio culturale della penisola, sebbene l'accesso soprattutto ai libri risulti spesso difficoltoso, e lo stato di conservazione molto relativo; soprattutto pesa su questi istituti di cultura la tradizione antica, che spesso frena l'apertura agli sviluppi moderni e agli aggiornamenti bibliografici.
Nel periodo dal 1748 alla fine del secolo i luoghi della cultura vivono un momento di floridezza e nuove nascite (librai, caffè, gabinetti di lettura), un generale rinnovamento ed espansione di occasioni, modalità e oggetti della lettura, diffusi abbastanza uniformemente sul territorio (pre)nazionale. Lo sviluppo resta comunque troppo legato al modello francese e non crea una base di lettori abbastanza ampia e forte da resistere agli stravolgimenti politici e culturali, e da liberarsi del fardello della tradizione culturale. Le società letterarie nate a Firenze, Venezia e Padova fanno sforzi embrionali in questo senso.
Con l'arrivo delle armate napoleoniche gran parte delle proprietà anche librarie italiane viene accuratamente esplorato (ed eventualmente asportato), ma si dà anche impulso a due movimenti fondamentali: l'incameramento dei beni degli ordini religiosi soppressi (con il problema di dove mettere i libri e le opere d'arte confiscate) e l'impulso all'istruzione pubblica, nonostante le difficoltà e la capillare presenza e controllo del mondo ecclesiastico. Grazie all'impulso francese muta il modo di concepire la lettura, che diventa bildung necessaria, passaggio imprescindibile per la mobilità sociale, tant'è che il controllo della lettura di massa diventa tema importante della cultura della Restaurazione.
Il Gabinetto Viesseux
Il Gabinetto nasce (1819) con caratteristiche simili a quelli già esistenti (Gabinetto di lettura privato), ma con un respiro molto più ampio, più profondamente radicato in Europa; Viesseux infatti intende fondare un'impresa economicamente redditizia, oltre che culturalmente fondata.
Si paga per iscriversi, per leggere e prendere in prestito libri e un numero gigantesco di giornali anche stranieri; il Gabinetto acquisisce presto una dimensione europea e diventa il centro di una rete distributiva estremamente ampia, fuori norma rispetto alla Toscana. Dai fondi che questa attività assicura vengono promosse diverse iniziative editoriali (l'Antologia, l'Archivio storico italiano) e un salotto intellettuale a cui ha accesso chiunque venga invitato espressamente da Vieusseux (Manzoni e Leopardi).
Nel giro di due anni il Gabinetto si dota di una biblioteca circolante, oltre che fornire abbonamenti e acquisti di libri e allarga molto la sua offerta sia di generi che di prodotti diversi, secondo la sensibilità romantica (narrativa, saggistica ecc).
Il suo impegno si rivolge anche (ma con minori risultati) al pubblico meno colto, convinto che sia una necessità abituare alla lettura il numero maggiore possibile di persone: pubblica almanacchi simili ai lunari tradizionali, la cui diffusione non viene però intaccata.
La multiforme offerta del Gabinetto è unificata dal motore economico, e dall'organizzazione culturale coordinata dall'adesione di Viesseux alle principali battaglie di modernizzazione culturale, economica e politica del paese, che a loro volta gli garantiscono la frequentazione del Gabinetto da parte della migliore cultura toscana e nazionale. D'altra parte l'iniziativa privata va a coprire i vuoti lasciati da quella pubblica, consapevolmente inesistente e anzi spaventata dall'associazionismo culturale, e a mettere in raccordo le società intellettuali con il mondo del libro (lettura/circolazione delle idee).
La volontà di far circolare le edizioni e le idee che circolavano suscita la necessità e la richiesta di poter far circolare liberamente le stampe in Italia e di limitare e punire le copie pirata. Vieusseux non richiede soluzioni personali ma è profondamente convinto della necessità di questi sviluppi per la società culturale italiana: è convinto che dalla libera circolazione delle idee debba nascere un ceto intellettuale che vive del proprio lavoro, venduto nel mercato italiano (è uno dei pochi che retribuisce con regolarità il lavoro degli autori).
Il successo di quest'operazione economico-culturale è testimoniato dalla differenziazione e dalla quantità dei sottoscrittori (700 il primo anno) ma è sostenuto dalla disponibilità ad accondiscendere alle necessità del pubblico moderno: l'incontro del sabato, svincolato dalla quota associativa e a cui aveva accesso chiunque fosse stato invitato espressamente dal Viesseux raccoglieva gli uomini professanti liberalismo, poco curati dalla politica della Restaurazione, tesa a separare nettamente popolo ignorante e signori dotti. Il numero di iscritti aumenta nei momenti di maggiore progettualità politico-culturale e minore attenzione censoria, e al contrario si restringe nei momenti di stanchezza della cultura liberale o di stagioni repressive (1845-9 e 1850-4) – in generale però, al di là del successo iniziale, è molto difficile ampliare veramente il pubblico del Gabinetto, raccogliendo già la composita ma limitata classe intellettuale-progettuale del tempo. Conscio di questi limiti Viesseux si occupa anche di educazione popolare con apposite collane (Guida all'educatore, La Domenica) e con una certa pressione politico-culturale, ma con scarsi risultati soprattutto per le scarse risposte che ottiene dalle istituzioni e il ristretto margine di azione, vista anche la composizione dei soci del Gabinetto.
Alla morte di Viesseux, finalmente, il paese si unifica e il Gabinetto vive periodi difficili a causa della quantità di istituti simili.
I luoghi della sociabilità
Iniziative simili a quelle di Viesseux sono presenti anche in altre città d'Italia: Il Conciliatore a Milano nei progetti di Confalonieri doveva diventare un modello di sociabilità culturale multipla (lettura, discussione, istruzione) per rispondere a una profonda necessità di ammodernamento. In generale le iniziative di questo tipo che si appoggiano a un programma culturale troppo avanzato politicamente vengono travolte dalla repressione statale es. Il Conciliatore viene chiuso a causa dei sommovimenti del 1821-2.
Quando le finalità sono meno scopertamente (o profondamente) politiche le possibilità di sopravvivere sono maggiori; questa tipologia è prevalente anche nel Mezzogiorno borbonico, ma qui manca il costante aggiornamento librario e il centinaio di fogli periodici stranieri, manca una reale integrazione fra lettura e circolazione delle idee.
In questo periodo sono tenute in grande considerazione anche le ACCADEMIE, per quanto poco permeabili alle novità intellettuali, ristrette a un piccolo numero di soci e di difficile accesso.
Dei SALOTTI invece si rinnova la fortuna (se mai declino c'era stato) e negli anni '30 sono luogo nuovo per il dibattito culturale dell'attualità. A Napoli, in particolare, si creano salotti sia aristocratici che borghesi (Ricciardi, Gargallo, donna Lucia de Thomasis, la scuola di Basilio Puoti). In generale i salotti in tutta Italia riflettono la ristretta fissità dell'universo sociale di riferimento.
Questa fissità è peraltro poco smossa dall'atteggiamento paternalistico degli stati borghesi e in generale dalla difficoltà che ha a passare l'idea della lettura come molla di mobilità sociale.
Le letture del popolo
Alfabetizzazione bassissima, fratture e vuoti allarmanti fra città e campagna, capoluogo e provincia, Nord e Sud. Manca il mercato per la crescita dell'editoria. Tentativi arrivano da Milano, Firenze e Torino ma la gran parte dell'iniziativa è vincolata dalla religione, veicolo necessario al passaggio di idee di riscatto. Leggere non è considerato, né dal popolo né dai dirigenti, come un valore in sé. Poche sono le iniziative che implichino efficaci ponti di approccio alla lettura il Giannetto di Parravicini scalfisce un universo che per un secolo si è nutrito di Guerin Meschino e dei Reali di Francia. Anche la data dell'unità non è immediatamente periodizzante perché sul momento cambia poco: ci vuole una lunga e convinta intenzione statale per allargare definitivamente il gruppo dei lettori. Una possibilità è la lettura ad alta voce, sia per i gruppi di incolti (attraverso letture patetiche che catturino l'attenzione) che per i ragazzi che cominciano a leggere: prima in forma orale e manuale poi autonomamente.
Paese fortemente arretrato anche dal punto di vista editoriale.
La stamperia reale ha il privilegio per i libri di testo e quelli religiosi, quindi resta un mercato librario piuttosto esiguo che non cresce.
Piemonte: Pomba
In Piemonte nasce il primo grande editore italiano: Giuseppe Pomba, che nasce come libraio e diventa editore e stampatore (è un iter piuttosto frequente in Italia: probabilmente sono i librai a capire meglio come si muove il mercato e in che modo soddisfarlo).
Tanto per cominciare sconfigge il cartello delle stamperie torinesi e col tempo riesce a liberalizzare il numero di apprendisti per azienda. Quindi crea un modello nuovo di produzione: oltre alle tradizionali opere classiche, periodici d'informazione e biblioteche popolari crea una “Raccolta di opere classiche italiane, non che latine e greche tradotte” che si rivolge al crescente pubblico di artigiani impiegati e studenti con poca disponibilità economica; la raccolta è facilmente distinguibile e diffusa attraverso il sistema delle sottoscrizioni e raggiunge tirature record che costringono Pomba a una costante innovazione tecnologica, prima in Italia (prima macchina a vapore). L'altro grande successo è quello della Biblioteca popolare Pomba (1828-32), progetto editoriale di acculturazione popolare: è una raccolta di tutti i volumi utili (un centinaio) per la cultura della popolazione media a bassi costi e non molto curata filologicamente; (in genere i volumi delle biblioteche popolari venivano venduti a fascicoli che il proprietario provvedeva a far rilegare, mentre Pomba è fra i primi a venderli in formato unico, con la stessa copertina rosa con un riquadro in cartoncino: vende l'idea).
Pomba fonda la casa editrice UTET negli anni '50 e dieci anni dopo diventa presidente dell'Associazione Italiana Editori (padre nobile dell'editoria italiana).
Inoltre si cura anche degli aspetti culturali e del dibattito: allo sviluppo tecnologico spinto da Pomba si oppone un sistema di regole e legislature inesistenti in Italia ma necessarie: lo rivendica insieme a lui Vieusseux e altri intellettuali, con i quali scrive un pamphlet in cui chiede protezione dalle copie pirata e dalle stampe fraudolente fatte negli altri stati (in particolare Napoli), in difesa della proprietà editoriale come di quella d'autore. Questo tipo di rivendicazioni sono liberali per conseguenza immediata più che per natura: il mercato frantumato impedisce la libera circolazione delle merci e lo sviluppo di grosse case editrici.
In Francia e Inghilterra questo diritto e la legislazione in materia esistevano, ma venivano regolarmente infrante in paesi vicini ma con la stessa lingua (Irlanda e Belgio); in Germania, invece, c'è una legislazione autonoma ultrastatale che danneggia gli editori pirata. Pomba cerca di muovere in questa direzione le autorità politiche piemontesi e italiane.
Venezia
Risorta nel '700, ma quando viene venduta all'Austria decade a causa di:
1. perdita di centralità
2. espulsione dell'ordine dei Gesuiti
3. modificazione del mercato in senso laico e urbano.
Gli intellettuali si trasferiscono a Milano, resistono solo alcune imprese ma sono minori rispetto alle milanesi e allo sviluppo che aveva avuto in precedenza, resta sempre più periferica anche sul piano commerciale; questo è causato dalle dinamiche autoritarie che esaltano le capitali degli stati regionali e reprimono le attività periferiche.
Milano
A Milano la situazione è più sofferta perché ha attraversato l'esperienza di essere capitale della repubblica e del regno durante il periodo francese, mentre ora è solo un centro della periferia dell'impero; malgrado questo e un forte controllo censorio ha una grande vivacità intellettuale per il gran numero di intellettuali appunto che sotto napoleone si erano riuniti a Milano per lavorare come intellettuali-funzionari (es. Gioia) nella burocrazia statale e che adesso sono in cerca di impiego e status sociale e quindi girano fra editori e stampatori per scrivere prefazioni, traduzioni o pezzi propri: grande fermento soprattutto in riviste e giornali (es. Il conciliatore).
Dal 1815 per esigenze di controllo politico vengono sanciti:
• il ritorno alla patente per gli stampatori, concessa solo a chi presenta garanzie di liquidità finanziaria ma anche cultura e competenze tecniche
• il ritorno alla censura preventiva, che, sebbene svolta da funzionari di governo e di polizia (e non più da intellettuali), non è inappellabile (si ricorre al ministero di Vienna).
Nonostante il controllo teorico sulle aziende il numero delle stamperie resta pressoché invariato per il fortissimo ricambio interno e il commercio delle patenti: le case editoriali nascono e muoiono a gran velocità segno della vivacità intellettuale ma anche della carenza di liquidità finanziaria.
Milano è allora il centro dell'attività editoriale italiana, a Milano si deve spostare chiunque abbia ambizioni di resistere al secolo entrando in contatto con finanziatori, stampatori, autori. Gli editori hanno però ancora un catalogo misto di opere proprie e altrui (i pagamenti avvenivano soprattutto col baratto) e continuano ad essere in gran parte degli umili o semi-illetterati, a proprio agio in mezzo ai dotti ma provenienti dalle esperienze più diverse.
In questo periodo si sviluppano i nuovi generi editoriali che si adattano ai nuovi lettori: le biblioteche innanzitutto, si appoggiano a progetti culturali per individuare il mercato di riferimento e si diffondono con il metodo dell'associazione (scavalcando il problema della distribuzione attraverso i librai); es. l'editore Stella pubblica la Biblioteca per le donne gentili: individuazione di nuovi pubblici.
Si espande anche il mercato dei i giornali e dei periodici illustrati, segno della maturazione di un nuovo pubblico, ma in questo inizio di secolo le tirature non superano mai le mille unità.
Resistono alcuni progetti di acculturazione più ad ampio respiro: gli Annali universali di statistica di Francesco Lampato, seguiti dagli Annali universali di medicina.
Importantissimi sono anche i romanzi e le opere di narrativa spesso in traduzione e arricchiti dalle incisioni di Gonin o delle litografie di Hayez (per Scott).
Altro settore in crescita è quello delle strenne, a metà fra la narrativa e il periodico di lusso, con ricche illustrazioni e rilegature.
Questo fiorire di pubblicazioni non salva Milano da una crisi che la prenderà negli anni '30 facendole cedere il passo, soprattutto del rinnovamento tecnologico ad altre capitali come Torino.
Barengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione
Granducato di Toscana
Pisa decade insieme a Lucca e Livorno, poli importanti almeno commercialmente: a Pisa resistono alcune iniziative editoriali ma niente di innovativo, solo stampe di classici e ristampe pirata (Rosini e Nistri) e anche a Livorno prosegue una certa attività libraria, di carattere addirittura europeo, ma non di produzione editoriale.
Al contrario Firenze cresce e risorge. I granduchi reintroducono le severe norme del 1743, che comprendevano la censura preventiva, ma queste stesse sono inapplicate e aggirate dalle stesse autorità di controllo.
Particolarmente stimolante è l'attività di Vieusseux, editore svizzero di formazione calvinista che trova un'aristocrazia illuminata pronta a finanziarlo perché ne condivide il programma politico liberale che mira alla modernizzazione della società italiana (cfr Lettori e luoghi della lettura).
Stato pontificio
Situazione triste e contraddittoria: Roma aspira ad essere caput mundi, aperta a tutti e cosmopolita MA subisce la sindrome da accerchiamento dei papi da Pio VII in poi: la città è stata violata più volte (repubbliche varie, spoliazioni delle armate francesi...) soprattutto da parte di borghesi nazionalisti e si teme per il potere temporale del papa => profonda chiusura, ritorno al sistema corporativo, censura fra le più dure gestita da funzionari doganali o di polizia, non più persone di cultura.
La restaurazione vede il rinnovo dei privilegi alle stamperie di proprietà pontificia per tutto lo stampabile – alle minori non resta che attendere commesse ufficiali o chiedere agli autori che contribuiscano alle spese di edizione.
Gli autori sono i primi ad andare a pubblicare altrove, resta solo la poesia accademica e d'occasione e la letteratura devozionale edificante.
Resiste solo Bologna, che sul modello della sociabilité francese mantiene viva la richiesta di libri (università, salotti, gabinetti di lettura). Non si sviluppa però una vera iniziativa editoriale: i tipografi vivono di commissioni ufficiali.
Regno Borbonico
Dal 1821 Ferdinando alza vertiginosamente i dazi su libri, fascicoli e periodici stranieri, tutti assimilati come mezzi di diffusione di idee politiche sovversive: se li possono permettere in pochissimi. E' anche un modo per difendere le stamperie napoletane che possono riprodurre tutti i libri stampati al nord con notevole risparmio: si diffondono le stampe pirata.
Si crea un'alleanza organica tra stampatori e potere: è conveniente per entrambi mantenere il dazio e far sì che gli stampatori si controllino fra loro (es. a Malta ci sono fuoriusciti siciliani e napoletani che riportano volantini od opuscoli politici). Al momento di aderire alla Convenzione sono gli stampatori a non volere, addirittura si autosvalutano per mantenere un piccolo privilegio.
Le stamperie stanno tutte a Napoli e Ferdinando I e II concedono privilegi per libri di testo o amministrativi, scoraggiano l'insediamento di stamperie fuori centro secondo il modello parigino. Si assiste però a una polverizzazione delle aziende, che sono molte, ma tutte piccole e artigianali, che vivono spesso di edizioni pirata, anche se ogni tanto spiccano alcune imprese editoriali di rilievo come il Vocabolario Universale Italiano (Liberatore, Dragonetti).
In questo regime di sicurezza le aziende non si ammodernano sotto nessun punto di vista, né culturale (continuano a pubblicare manuali e opere di smercio sicuro) né tecnologico, e al momento dell'unificazione del mercato è un disastro e lo sviluppo editoriale verrà da fuori: Palermo (Sellerio poi Sandron), Catania (Giannotto), Bari (Laterza).
Dopo l'apertura riformistica di Ferdinando II (anni '30) si sviluppa un lungo dibattito fra stampatori e la rinnovata società culturale napoletana, che nel '39 si vede definitivamente sconfitta e va a ingrossare le fila degli intellettuali emigrati al nord.
L'editoria italiana quindi dal 1815 all'Unità (repubbliche scomparse e il nuovo equilibrio trono & altare orchestrato da Metternich) soffre di mali oggettivi:
- alleanza fra istituzioni per impedire la diffusione della propaganda sovversiva, liberale, unitaria; regime fortemente censorio e forme di collaborazione interessanti: la chiesa mette all'indice un libro e subito segue la condanna statale e viceversa. Ma cfr Silvio Pellico, Le mie prigioni.
- nel momento del rischio ci si chiude: i libri sono la peste, soprattutto se francesi, quindi vengono chiuse le frontiere, aumentati i dazi e i controlli di polizia, in particolare nel regno borbonico; la censura statale non è più appannaggio di letterati e uomini di cultura, ma di funzionari statali.
- mancanza di tutela del diritto d'autore.
Il mancato riconoscimento della proprietà editoriale e del diritto d'autore in un mercato così frammentato e chiuso impediva del tutto lo sviluppo di imprese di una certa consistenza, e questo era ben chiaro a chi si occupava di aziende importanti, ma anche, ovviamente, agli autori; dall'altra parte della barricata stavano gli stampatori artigiani e di provincia che sulle ristampe più o meno legali avevano costruito le loro fortune. Implicitamente agli antipodi di questo scontro stanno anche dei contenuti politici e di principio.
La Convenzione austro-sarda (che presto comprese anche lo Stato Pontificio e il Granducato) si rifà a forme simili già attuate in Germania e richieste a Parigi nei confronti di tutti gli operatori del mercato francese, ma in Francia come in Italia manca bilateralità negli accordi, che non riescono a risolvere il problema: rimane la minaccia dei tipografi napoletani; il progetto era di rendere il mercato editoriale italiano unito dal punto di vista della legislazione: tutti gli autori godono in tutti gli stati che partecipano alla Convenzione degli stessi diritti degli autori di quello stato.
Felice Le Monnier nel 1840 pubblica un'edizione fiorentina del '30 dei PS appellandosi al fatto che la legge non si applica alle opere pubblicate prima del 1840. Manzoni si sfava (e scrive pure un pamphlet sulla proprietà letteraria) e arrivano in Cassazione. La vicenda finisce nel '67 con la vittoria di Manzoni (probabilmente perché era Manzoni) ma Le Monnier commenta di averci guadagnato molto comunque; i comportamenti ai limiti della legge erano molto diffusi, particolarmente fra i piccoli editori, perché tutti camminavano sul filo del rasoio a causa dell'esiguità del mercato italiano.
Un altro tentativo di costituire un mercato italiano è la proposta e la costituzione di un Emporio librario a Livorno, proposto da Pomba al Congresso di Milano del 1844. Sarebbe stato creato un deposito centrale delle produzioni tipografiche d'Italia e una Libreria commissionaria, inoltre avrebbe scoraggiato ristampe non autorizzate con un Bollettino bibliografico di tutta la produzione italiana. L'impresa si rivela un fallimento: aderiscono sei aziende oltre Pomba e si ritira perfino Vieusseux.
Con la liberalizzazione della stampa il mercato si ubriaca di periodici e quotidiani, sottraendo quasi spazio all'editoria di libri, a causa dell'urgenza politica e della risposta inarrivabile in termini di rapidità, brevità e incisività delle notizie. Gli editori erano consapevoli che quest'ondata era comunque positiva perché allargava il mercato dei leggenti e quindi del libro.
Il mercato librario, a parte il furoreggiare dei periodici, spesso di breve durata, non sembra mutare particolarmente, anche perché la maggior parte degli editori preferisce aspettare tempi politicamente più sereni per tentare imprese rischiose. Si stampano pamphlet, giornali e fogli volanti (opuscoli politici e discorsi elettorali) ma pochi libri. Sebbene le aziende soffochino un po' in questo periodo, si è aperto un mercato che richiede libri di poche pretese per la veste tipografica, ma che richiede di essere informato o dilettato nel modo più breve ed efficiente possibile: decadono le strenne e non aumentano le edizioni di lusso e aumenta la produzione di almanacchi, opuscoli e giornaletti spesso con un'impaginazione accattivante, da consumare collettivamente nei caffé.
In questo periodo tace il dibattito sulla questione libraria, in parte per paura della censura, in parte per disillusione che le riforme legislative possano comprendere fra gli obiettivi forme di unificazione nazionale.
In compenso, il fulcro dell'iniziativa si sposta sull'organizzazione interna delle imprese, tecnologico e gestionale: per esempio Pomba si fonde con la Tipografia sociale per dare vita alla UTET (1854), riunificando attività tipografica ed editoriale; un altro stabilimento attento alle innovazioni tecnologiche è Barbèra di Firenze, che si reca addirittura a Parigi per comprare nuove macchine. Si tratta di editori dal forte senso pratico e fiuto imprenditoriale, dalla scarsa propensione per l'ideologia, consapevoli di doversi ritagliare fette di mercato precise per poter sopravvivere. Anche nel Regno delle Due Sicilie si comincia a diffondere la consapevolezza del rischio insito nell'arretratezza culturale, ma ai ragionamenti non segue una risposta tempestiva dal governo.
Si assiste ancora alla crescita del mercato giornalistico, ovviamente soprattutto in Piemonte, dove si concentrano 53 testate politiche e letterarie, ma il pubblico di riferimento è anche quello, nuovo, delle donne e dei fanciulli.
Nel 1859 viene approvata la Legge Casati, che rende obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare; l’onere viene affidato ai comuni ma non c’è nessuna legislazione coercitiva né alcun sostegno finanziario alla costruzione delle scuole, mantenimento dei maestri ecc. Nel 1877 passa la Legge Coppino, che aumenta di un anno (3° elementare) l’obbligo ma ancora nessun indennizzo per i comuni, né soluzioni per il lavoro infantile, che vengono inserite solo nel 1905, ma ancora con ambiguità e insufficiente protezione.
Le nuove dimensioni dell'impresa editoriale (pp.115-)
IL RISORGIMENTO DELLA PRODUZIONE LIBRARIA
A partire dall'Unità è notevolissima la crescita che coinvolse l'industria editoriale italiana, sia in campo giornalistico che in quello più strettamente editoriale: mentre la produzione di libri quintuplicava fra il 1836 e il 1872, il numero di testate pubblicate in Italia aumentò di sette volte in quarant'anni (1836-1873), per quanto la maggior parte di queste riviste avesse vita effimera.
I maggiori editori furono anche i maggiori stampatori e in generale si ampliarono tutti i rami dell'industria della stampa, compresi quelli collaterali (carta, macchinari, inchiostri, tipi...). Ovviamente la crescita non avvenne in modo uniforme in tutta la penisola, lasciando indietro il mezzogiorno e perfino alcune aree di antica tradizione come Venezia. Il mercato meridionale fu colto impreparato e invaso dalle agenzie delle case editrici del nord, dalla cultura allo scolastico.
Milano invece era il vero centro dell'editoria italiana, sia per il numero di testate ed edizioni che per l'aggiornamento tecnologico di cui godevano le industrie locali, non paragonabile a nessun altro luogo del paese.
I PROBLEMI DELLO SVILUPPO
Cronica carenza di mercato, pesante ancora 10 anni dopo l'unità. Il giornalismo assorbe gran parte dei lettori di libri, ma, come capiva Pomba, questo non è male.
Difficoltà nella commercializzazione dei libri, che spingono a creare succursali e commissionarie un po' dovunque nella penisola e addirittura all'estero.
Inelasticità del mercato dovuta in parte alle inadeguate politiche di governo sul piano legislativo, doganale e per le tariffe postali, ritenute troppo alte – inoltre gli editori criticavano fortemente la regolamentazione del diritto d'autore.
Inoltre i dazi aumentavano i prezzi dei macchinari in entrata, bloccando lo sviluppo delle aziende di medie dimensioni e impedendo alle grandi di alzare i salari degli operai.
LE GRANDI AZIENDE
Furono quelle che assorbirono su di sé tutto il mercato e in particolare se ne distinsero tre:
RICORDI
Simbolo se non artefice della rinascita musicale italiana della fine dell'ottocento. Era stata fondata nel 1808, a partire dal 1884 diventa un enorme stabilimento modello, in continuo ampliamento, con numerosi succursali nel mondo e con relazioni con tutti i principali autori di musica dell'epoca: Verdi, Rossini, Puccini.
es. Biblioteca di musica popolare con le opere teatrali, il libretto, cenni biografici e ritratto del musicista, Arte antica e moderna, Biblioteca del pianista, Biblioteca musicale tascabile ecc.
Per un certo periodo si occupa anche di editoria comune e periodica, producendo fra l'altro il primo giornale di critica musicale italiano e alcune riviste che ospitarono firme illustri.
SONZOGNO
I rivolge al pubblico della piccola borghesia e dei ceti operai cittadini, finora estranei alla lettura, con stampa periodica illustrata, giornali femminili e romanzi popolari – spesso a prezzi bassissimi a discapito della qualità, con forme spregiudicate di pubblicità a tappeto, vendita in dispense e in edicola, con gadget ecc. Anche in ambito più strettamente culturale si rivolge a queste fasce con la Biblioteca romantica illustrata e poi economica, I processi celebri illustrati ma pubblica anche la Biblioteca legale e la Biblioteca del popolo, di argomento pratico vario (agricoltura, anatomia, belle arti...).
Pubblica giornali umoristici (Lo spirito folletto), poi molte riviste illustrate e soprattutto Il Secolo, quotidiano democratico a più alta tiratura in Italia e il più simile per spirito giornalistico a quelli francesi o inglesi.
Rispetto ai nuovi pubblici creò I libri bijou illustrati e la Biblioteca illustrata di educazione, e tentò pure, con una serie di collane economiche, di scalzare la Ricordi dal suo monopolio senza riuscirci.
Anche dal punto di vista tecnologico era all'avanguardia, soprattutto per conservare altissime tirature.
TREVES
Anche lui editore-tipografo occupa l'altra metà del mercato editoriale, quella della borghesia colta che quindi chiedeva opere di qualità ma non erudite né retoriche: prima letteratura scapigliata, poi verismo, De Amicis e molti altri italiani e stranieri; la veste tipografica era sempre piuttosto curata, anche se a volte si rivolgeva a un pubblico più popolare; Biblioteca utile, Biblioteca dei viaggi, Biblioteca amena ecc.
Sul piano dei periodici invece fu in concorrenza con Sonzogno, pubblicando riviste per donne (Margherita) e bambini (Mondo piccino), ma anche l'Annuario scientifico e il Giornale popolare di viaggi. L'impresa più riuscita fu però L'Illustrazione italiana che si distingue per intelligenza divulgativa e varietà e qualità di articoli e illustrazioni.
LE PICCOLE IMPRESE
Altri nomi sono: CIVELLI, ZANICHELLI (Modena-Bologna), che si occupa fin da subito di letteratura di qualità (Carducci) e opere destinate alle scuole di ogni ordine e grado.
A Firenze si trovano i successori di LE MONNIER, che proseguono indebolendolo (per i tempi cambiati) l'impegno politico che era stato del padre e si buttano in particolare sull'editoria scolastica e sui dizionari, senza dimenticare i vecchi progetti (Biblioteca nazionale) di cui vengono fatte versioni economiche e per le giovinette, in ossequio ai tempi. Si trova anche BARBÈRA, editore “patriottico” ma anche impegnato nella pubblicazione di opere letterarie di grande respiro e spessore; per non farsi mancare nulla comunque fa anche libri per la scuola e opere “popolari”.
SPECIALIZZAZIONE E NICCHIE DI MERCATO
Una nicchia di mercato molto grossa è quella di libri di devozione (vite di santi, prediche, testi biblici ed evangelici, libri di preghiere ecc.): AGNELLI a Milano, legato all'Orfanotrofio.
Nell'ambito economico-giuridico era importante l'UTET (Torino), che si ampliò anche nel settore scientifico dei dizionari e delle grandi opere a dispense. Anche VALLARDI (Milano) si occupa di opere di carattere scientifico, soprattutto medicina per formazione.
Altri editori si occupavano solo di editoria popolare: SALANI e PERINO fanno opere di consumo di qualità medio-bassa, magari illustrate e rivolte appunto al popolo basso.
Editori come GARBINI e PAGGI invece si rivolgono (come alcuni grandi editori) alle pubblicazioni per donne e bambini.
L'EDITORIA SCOLASTICA
Era forse l'ambito più interessante e redditizio in quel momento, anche per l'incontro fra interessi politici e editoriali. Comunque la produzione fu sempre improntata all'eclettismo e non fu uniformato dalla dirigenza politica.
I due editori principali sono PARAVIA, di antichissima tradizione torinese, in grado di produrre nella sua officina molti sussidi per la scuola: mappamondi, carte in rilievo... L'altro è LOESCHER (vedi). Ci sono anche MAISNER, TREVISINI e SANSONI, l'ultimo di maggiore impegno e spessore anche culturale.
GLI STRANIERI
Il fatto che il mercato italiano fosse comunque interessante sebbene difficile è testimoniato dall'immigrazione di librai (poi editori) stranieri: il flusso migratorio inizia alla seconda metà dell'ottocento ed è preceduto dall'arrivo di VIESSEUX: l'Italia era un businnes, luogo in cui sviluppare imprenditorialità e guadagno; in genere si tratta di librai-editori che scendono con un progetto editoriale specifico o che per lo meno crescono dopo essersene fatto uno: da società a conduzione familiare diventano società anonime con partecipazione bancaria, soprattutto dopo il primo novecento.
DUMOLARD, giunti dalla Francia (1794) che si occuparono soprattutto di pubblicazioni scientifiche spesso d'importazione: veicolo d'ingresso del positivismo in Italia.
HOEPLI invece è svizzero e da una libreria a Milano (1870) tira fuori un'impresa editoriale che, oltre a caratterizzarsi per il suo eclettismo, batte sul terreno delle pubblicazioni di manuali tecnico-scientifici anche le grandi case. La prima pubblicazione è quella dell'ingegner Colombo (operazione di divulgazione dell'informazione culturale e pratica per la vita quotidiana con tanto di informazioni storiche). Nasce come libraio, non ha una tipografia né capitali per i macchinari né rapporti con la manodopera.
Leone OLSCHKI arriva a Firenze, è un ebreo tedesco e fonda una libreria antiquaria che all'inizio tratta prodotti di lusso come aldine e cinquecentesche: l'Italia era un mercato interessante, grazie alla presenza di un ricco patrimonio bibliografico (biblioteche anche antiche). Diventa produttore di edizioni raffinate e di lusso, molto curate anche nelle illustrazioni, nonché di riviste di bibliofilia che portano réclame di opere antiquarie con descrizioni accurate e attente.
LOESCHER immigrato tedesco che comincia con una libreria e finisce per occuparsi di scolastica di alto livello a Torino.
Dopo il 1860 l'appello che in Manzoni era ironico richiamo e affabulazione diventa coscienza precisa e necessaria del proprio pubblico, dei lettori e delle lettrici. Con l'unità infatti cadono le barriere doganali, si estende l'alfabetizzazione, aumenta il consumo di giornali e riviste e gli scrittori cominciano a ricercare un modo di scrivere più vicino alla lingua parlata; inoltre viene importata dalla Francia la moda del feuilleton, del romanzo messo a puntate in appendice ai giornali.
In particolare la fin de siècle vede aumentare in modo vertiginoso le vendite dell'editoria minore e minima, rivolta al pubblico semi-alfabetizzato (almanacchi, lunari...) e incentivata dai parroci (1858: Don Milani).
Cresce la produzione di libri e il numero di titoli stampati all'anno, organicamente cresce anche la produzione di giornali e in entrambi i casi si fa regola fondamentale l'attenzione al lettore, padrone di giornalisti scrittori ed editori. I pubblici poi sono ben individuati e circoscritti: si scrivono romanzi per donne, per bambini, per operai.
La letteratura popolare o di consumo si caratterizza per:
1. produzione seriale rivolta alle classi subalterne
2. funzione consolatoria e compensatoria, giocata sull'opposizione bene/male
3. narrazioni situate nel presente e nell'ambiente umano e sociale della città, di norma descritta nei suoi aspetti tenebrosi e squallidi
Gli archetipi stanno nei Misteri di Parigi di Sue e, in Italia, in Ginevra o l'orfana della Nunziata di Ranieri (1839): secondo il modulo dell'autobiografia l'autore fa una denuncia sociale a scopo filantropico e riformista, oscurato dal successo del racconto e dalla seguente produzione di genere. L'esempio migliore è Mastriani, I vermi. Studi storici su le classi pericolose in Napoli. Linguaggio colorito e capacità pittorica ne fanno una denuncia sociale di grande effetto. Nascono molti libri-inchiesta sui misteri delle città.
L'editoria quindi si rilancia spostando il suo baricentro, specializzando e settorializzando le proposte editoriali in base alle differenze professionali, territoriali, religiose (ancoraggio del narratore al lettore, collaborazione richiesta).
Un'innovazione ancora è portata da Arrighi, che crea intreccia alle vicende amorose e basse del suo protagonista una decisa e convinta linea politica e bohémien (La scapigliatura e il 6 febbraio). Sulla stessa linea Evelina di Tronconi, che richiama in continuazione la sua appartenenza alla realtà (una reale tragedia domestica... di una vera giovinetta) per polemizzare contro la società che giudica e condanna. Ancora: Valera attraverso un linguaggio colorito e violento si allontana dai “ruffiani del popolo” perché la sua e solo la sua è un'inchiesta veritiera e compartecipe.
Gli editori
I più grandi sono sicuramente Sonzogno e Treves, l'uno più popolaresco, l'altro attento a un pubblico più colto, più ricco (lett. seflhelpista); entrambi sostenuti dalla produzione giornalistica, su cui i libri vengono pubblicizzati, si scontrano particolarmente proprio nell'ambito della produzione periodica. Treves in particolare applica battage pubblicitari di grande effetto per dare risonanza alle sue iniziative.
Un altro editore, minore rispetto ai primi, è Salani che comincia pubblicando libretti a bassissimo prezzo (25 centesimi), praticamente fogli volanti che raccolgono riduzioni di operette, tragedie, fatti di cronaca nera truculenta, romanzi. Presso Salani pubblica anche la prolifica Carolina Invernizio.
I libri più letti e il genere femminile
Un'indagine di quali siano i libri più letti e le categorie che leggono di più viene fatto per iniziativa della contessa Pasolini-Ponti e si rivolge (seppure in modo frammentato) a diverse categorie: librai, lettori, biblioteche. Dato confermato ovunque è che le principali consumatrici di libri sono le donne, anche se non a scopo di vera cultura. Leggono Fogazzaro, Serao, la Marchesa Colombi, Neera, Vertua-Gentile, Cordelia e per la poesia Negri e Pascoli; le donne della piccola borgesia consumano soprattutto autrici straniere in traduzione e sono attratte dall'intreccio, le “serve” invece sono il pubblico delle appendici; le contadine ovviamente sono escluse dal regno della lettura. In generale la Commissione promossa dalla contessa fa emergere una preferenza verso i libri a tesi sentimentale, spesso non di buona qualità. Anche le informazioni provenienti dai lettori confermano la presenza di Fogazzaro, ma preceduto da De Amicis e Manzoni, ma seguito da Negri e Invernizio.
Nella seconda metà dell'ottocento il rapporto con la lettura da parte del pubblico femminile cambia, a partire dall'iconografia: le donne sono intensamente catturate dal libro con cui vengono ritratte (un vero e proprio libro di lettura), e in effetti in quel periodo si afferma un folto gruppo di scrittrici che crea un nuovo tipo di personaggio: le protagoniste dei romanzi sono nuovamente realistiche, sobriamente in lotta con la morale comune e la comune immagine di donna. Es. Neera, L'indomani e Emma, Una fra tante.
2. Nuovi pubblici
Alla fine dell'ottocento grande slancio hanno le iniziative rivolte ai nuovi pubblici: i fanciulli (pubblicazioni illustrate) e le donne (soprattutto pubblicazioni periodiche specialistiche), per quanto fin dalla fine del '700 fosse ritenuta preoccupante l'attitudine femminile alla lettura da parte di chiesa ed educatori anche laici: è non-necessario e dannoso che le donne sappiano leggere e scrivere, ci sono fortissime resistenze a livello planetario, controllo diffuso sulle pubblicazioni per le donne con racconti moraleggianti ecc.
es. Piccole Donne (fine anni '860 a Boston), viene tradotto per la prima volta in Italia all'inizio del '900 con una prefazione alle madri e alle educatrici perché facciano da mediatrici nella lettura con consigli sulla disciplina – il libro contiene una contestazione del sistema scolastico e viene censurato un passaggio sulla tolleranza evangelica.
es. contrario: Cuore di De Amicis esalta le istituzioni statali (esercito, scuola, famiglia ecc.)
La letteratura per gli operai
La letteratura pedagogico-popolare di fine ottocento ha fra i suoi topoi il catalogo di libri utili, introdotto a mo' di bibliografia direttamente nel racconto o in nota dall'autore. Vengono indicati oltre ai libri e agli autori (Smiles, Strafforello, Lessona, Franklin, Rosa, Gennari, Zardo...) anche gli editori, in effetti in questo momento altrettanto importanti e specializzati sul piano del contenuto e dell'indirizzo del libro.
BARBÈRA lancia il genere della letteratura selfelpista (Volere è potere, Consigli al popolo italiano di D'Azeglio, Franklin...), è l'editore che fa scuola, ma anche l'UTET pubblica i nuovi di Strafforello, antologie di biografie smilesiane ecc.;
AGNELLI vira il tipo di pubblicazione travestendola con una forma narrativa d'intrattenimento (racconti, romanzi, commediole), si propone come libri di lettura e di premio delle scuole serali e festive delle società di mutuo soccorso. Questo tipo di pubblicazioni è iscrivibile nella categoria del romanzo missionario o catechistico (McCarthy) in cui nella contrapposizione di personaggi diversi è chiaramente distinto dalla parte di chi deve pendere la preferenza del lettore; inoltre si utilizzano lunghe conversazioni (sermoni) e il patto di lettura si fonda sulla presunzione di aver copiato dal vero.
Un altro genere ancora è quello della biografia in azione (anche questa di origine smilesiana) pubblicata per la prima volta a Padova. Altre case editrici sono TREVES (fondamentale) CARRARA in Milano, BEUF LIBRERIA SALESIANA e PARAVIA (tutte di Torino).
3. Nuovi generi letterari
Se la narrativa (insieme alla scolastica) è il genere trainante fra ottocento e novecento gran parte ha anche la letteratura selfelpista: educazione alla vita sociale attraverso manualetti rivolti alle classi subalterne, ma che esaltano i valori della società borghese: risparmio, lavoro, amore per le istituzioni, studio per la mobilità sociale. Es. la Vita di Franklin, Volere è potere, Chi s'aiuta Dio l'aiuta e varie biografie di self-made men che dal nulla raggiungono una nuova posizione sociale. Nascono i romanzi dedicati agli operai, tentativo di produrre opere a per dell'irreggimentazione per rendere omogenea la classe allo sviluppo industriale, cosa che richiede maggiore istruzione e lavoro con disciplina borghese (Cantù, Il portafoglio di un operaio: cattolico e controllato ma sulla via dell'emancipazione), ma sempre più vicino al calvinismo per quanto tende a valorizzare l'etica del lavoro.
1879 TREVES “Il letterato oggi scrive per il grande pubblico, il tipografo e l'editore non si aspettano le munificenze che del pubblico”: è nato il mercato in grado di decidere vita e morte di un'opera, sono maturate le figure dell'editore e quella professionale dell'autore. Nel 1886 per Treves esce Cuore, nel giro di 18 anni vende 301.000 copie, al 1910 sono 500.000; Pinocchio (per Felice Poggi poi Bemporad) esce nel 1873 e al 1901 ha venduto 350.000 copie. Gli altri seguono da distante: Piccolo mondo antico 44.000 copie, Storia d'una capinera 20.000 copie – con le edizioni MONDADORI di D'Annunzio si arriva a cifre simili.
• abolizione delle strutture corporative
• abolizione (e poi ripristino) della censura repressiva
• veloce ampliamento del pubblico dei lettori
• innovazione tecnologica
• riorganizzazione dei mercati su scala nazionale
contemporaneamente però restano
il carattere artigianale delle botteghe
la funzione editoriale dei librai
la struttura generale del torchio a mano
l'assenza di protezioni giuridiche per la proprietà intellettuale
Solo con il biennio 1830-40 si può cominciare a parlare di seconda rivoluzione del libro, dettata da:
⇒ meccanizzazione dei processi produttivi
⇒ crescita esponenziale del pubblico
⇒ attenzione degli editori verso prodotti di più largo consumo
⇒ nascita di una figura di editore svincolato dalla libreria e dalla tipografia
⇒ chiusura dell'orizzonte dell'editore all'interno dell'ambito statale rispetto al respiro europeo che aveva prima, a causa delle motivazioni di cui sopra
In Italia questi stravolgimenti si fanno sentire anche nel riassestamento degli equilibri geografici del paese con Venezia che cede decisamente il posto a Milano e Torino.
Qualcuno tenta la via dell'industrializzazione (i Ramondini da Bassano), altri (il conte Pepoli e A. F. Stella) costituiscono aziende editoriali ambiziose che sperimentano le prime biblioteche a uscita periodica per sottoscrizione.
La figura stessa dell'editore resta ambigua e indeterminata.
Notevole l'impegno di BETTONI nel rinnovamento tecnologico (il torchio a rullo) e nella ricerca di prodotti editoriali ad alta tiratura.
Al contrario STELLA si caratterizza per maggiore qualità nell'impegno editoriale ma anche per la cautela del mercante, che gli consente di attraversare gli alti e i bassi del secolo senza rovinarsi.
Altro esempio tipico del secolo è VIESSEUX, che aveva un'ottica più progredita e lungimirante (le biblioteche per il popolo, la necessità di diffondere l'abitudine alla lettura) in un paese con pochissimi lettori e molti scrittori.
Con gli anni '30-40 si costituisce anche agli occhi della società la figura dell'editore come imprenditore, colui che stampa o fa stampare a proprie spese le opere altrui distinto dal libraio e dallo stampatore: era un intermediario che si occupava di politica editoriale, che si riuniva con i suoi funzionari in un ufficio, separato e inessenziale alla bottega, che doveva mediare fra i gusti del pubblico e le volontà degli autori tramite il suo gusto. Con il passare del tempo questa figura si rafforzò (anche grazie alla Convenzione Austro-sarda del '40) fin troppo, dato che venne accusata di seguire esclusivamente l'interesse delle proprie tasche ed non produrre le opere di genio aperte a tutti di cui il paese aveva bisogno. Polemica fra POMBA (che difende gli editori e accusa i librai), TENCO (che se la prende esclusivamente con gli editori) e VIESSEUX.
In effetti editori tipici di questo periodo sono LE MONNIER, autore di pregevole edizioni ma che non disdegnava un po' di pirateria ogni tanto e LONGO, il quale invece aprì diverse tipografie in cui stampava per conto d'altri e per sua iniziativa.
POMBA invece rappresenta il passaggio dall'antico regime (proviene da una famiglia di stampatori di lontana tradizione) e porta la sua impresa nel nuovo con attenzione alle innovazioni tecnologiche (stampatrice a cilindro Cowper) e soprattutto ai nuovi mercati, a cui arrivò con la Biblioteca popolare, distribuita attraverso le poste. Inoltre era convinto che oltre a stamparli i libri andavano letti, convinzione che condivideva con Barbéra, anche lui convinto che il suo mestiere era più che un traffico.
Lettori e luoghi della lettura (pp. 77-112)
La generazione del '770 oscilla fra amare considerazioni sulla società italiana (ripiombata nelle tenebre dell'ignoranza dopo il 1815) e la convinzione di trovarsi alla vigilia di una benigna e generalissima rivoluzione.
In realtà il patrimonio librario (oltre che, ovviamente, di monumenti, chiese, quadri, statue ecc...) in Italia era già nel settecento amplissimo e abbastanza organizzato: biblioteche private, regie o monastiche arricchiscono enormemente il patrimonio culturale della penisola, sebbene l'accesso soprattutto ai libri risulti spesso difficoltoso, e lo stato di conservazione molto relativo; soprattutto pesa su questi istituti di cultura la tradizione antica, che spesso frena l'apertura agli sviluppi moderni e agli aggiornamenti bibliografici.
Nel periodo dal 1748 alla fine del secolo i luoghi della cultura vivono un momento di floridezza e nuove nascite (librai, caffè, gabinetti di lettura), un generale rinnovamento ed espansione di occasioni, modalità e oggetti della lettura, diffusi abbastanza uniformemente sul territorio (pre)nazionale. Lo sviluppo resta comunque troppo legato al modello francese e non crea una base di lettori abbastanza ampia e forte da resistere agli stravolgimenti politici e culturali, e da liberarsi del fardello della tradizione culturale. Le società letterarie nate a Firenze, Venezia e Padova fanno sforzi embrionali in questo senso.
Con l'arrivo delle armate napoleoniche gran parte delle proprietà anche librarie italiane viene accuratamente esplorato (ed eventualmente asportato), ma si dà anche impulso a due movimenti fondamentali: l'incameramento dei beni degli ordini religiosi soppressi (con il problema di dove mettere i libri e le opere d'arte confiscate) e l'impulso all'istruzione pubblica, nonostante le difficoltà e la capillare presenza e controllo del mondo ecclesiastico. Grazie all'impulso francese muta il modo di concepire la lettura, che diventa bildung necessaria, passaggio imprescindibile per la mobilità sociale, tant'è che il controllo della lettura di massa diventa tema importante della cultura della Restaurazione.
Il Gabinetto Viesseux
Il Gabinetto nasce (1819) con caratteristiche simili a quelli già esistenti (Gabinetto di lettura privato), ma con un respiro molto più ampio, più profondamente radicato in Europa; Viesseux infatti intende fondare un'impresa economicamente redditizia, oltre che culturalmente fondata.
Si paga per iscriversi, per leggere e prendere in prestito libri e un numero gigantesco di giornali anche stranieri; il Gabinetto acquisisce presto una dimensione europea e diventa il centro di una rete distributiva estremamente ampia, fuori norma rispetto alla Toscana. Dai fondi che questa attività assicura vengono promosse diverse iniziative editoriali (l'Antologia, l'Archivio storico italiano) e un salotto intellettuale a cui ha accesso chiunque venga invitato espressamente da Vieusseux (Manzoni e Leopardi).
Nel giro di due anni il Gabinetto si dota di una biblioteca circolante, oltre che fornire abbonamenti e acquisti di libri e allarga molto la sua offerta sia di generi che di prodotti diversi, secondo la sensibilità romantica (narrativa, saggistica ecc).
Il suo impegno si rivolge anche (ma con minori risultati) al pubblico meno colto, convinto che sia una necessità abituare alla lettura il numero maggiore possibile di persone: pubblica almanacchi simili ai lunari tradizionali, la cui diffusione non viene però intaccata.
La multiforme offerta del Gabinetto è unificata dal motore economico, e dall'organizzazione culturale coordinata dall'adesione di Viesseux alle principali battaglie di modernizzazione culturale, economica e politica del paese, che a loro volta gli garantiscono la frequentazione del Gabinetto da parte della migliore cultura toscana e nazionale. D'altra parte l'iniziativa privata va a coprire i vuoti lasciati da quella pubblica, consapevolmente inesistente e anzi spaventata dall'associazionismo culturale, e a mettere in raccordo le società intellettuali con il mondo del libro (lettura/circolazione delle idee).
La volontà di far circolare le edizioni e le idee che circolavano suscita la necessità e la richiesta di poter far circolare liberamente le stampe in Italia e di limitare e punire le copie pirata. Vieusseux non richiede soluzioni personali ma è profondamente convinto della necessità di questi sviluppi per la società culturale italiana: è convinto che dalla libera circolazione delle idee debba nascere un ceto intellettuale che vive del proprio lavoro, venduto nel mercato italiano (è uno dei pochi che retribuisce con regolarità il lavoro degli autori).
Il successo di quest'operazione economico-culturale è testimoniato dalla differenziazione e dalla quantità dei sottoscrittori (700 il primo anno) ma è sostenuto dalla disponibilità ad accondiscendere alle necessità del pubblico moderno: l'incontro del sabato, svincolato dalla quota associativa e a cui aveva accesso chiunque fosse stato invitato espressamente dal Viesseux raccoglieva gli uomini professanti liberalismo, poco curati dalla politica della Restaurazione, tesa a separare nettamente popolo ignorante e signori dotti. Il numero di iscritti aumenta nei momenti di maggiore progettualità politico-culturale e minore attenzione censoria, e al contrario si restringe nei momenti di stanchezza della cultura liberale o di stagioni repressive (1845-9 e 1850-4) – in generale però, al di là del successo iniziale, è molto difficile ampliare veramente il pubblico del Gabinetto, raccogliendo già la composita ma limitata classe intellettuale-progettuale del tempo. Conscio di questi limiti Viesseux si occupa anche di educazione popolare con apposite collane (Guida all'educatore, La Domenica) e con una certa pressione politico-culturale, ma con scarsi risultati soprattutto per le scarse risposte che ottiene dalle istituzioni e il ristretto margine di azione, vista anche la composizione dei soci del Gabinetto.
Alla morte di Viesseux, finalmente, il paese si unifica e il Gabinetto vive periodi difficili a causa della quantità di istituti simili.
I luoghi della sociabilità
Iniziative simili a quelle di Viesseux sono presenti anche in altre città d'Italia: Il Conciliatore a Milano nei progetti di Confalonieri doveva diventare un modello di sociabilità culturale multipla (lettura, discussione, istruzione) per rispondere a una profonda necessità di ammodernamento. In generale le iniziative di questo tipo che si appoggiano a un programma culturale troppo avanzato politicamente vengono travolte dalla repressione statale es. Il Conciliatore viene chiuso a causa dei sommovimenti del 1821-2.
Quando le finalità sono meno scopertamente (o profondamente) politiche le possibilità di sopravvivere sono maggiori; questa tipologia è prevalente anche nel Mezzogiorno borbonico, ma qui manca il costante aggiornamento librario e il centinaio di fogli periodici stranieri, manca una reale integrazione fra lettura e circolazione delle idee.
In questo periodo sono tenute in grande considerazione anche le ACCADEMIE, per quanto poco permeabili alle novità intellettuali, ristrette a un piccolo numero di soci e di difficile accesso.
Dei SALOTTI invece si rinnova la fortuna (se mai declino c'era stato) e negli anni '30 sono luogo nuovo per il dibattito culturale dell'attualità. A Napoli, in particolare, si creano salotti sia aristocratici che borghesi (Ricciardi, Gargallo, donna Lucia de Thomasis, la scuola di Basilio Puoti). In generale i salotti in tutta Italia riflettono la ristretta fissità dell'universo sociale di riferimento.
Questa fissità è peraltro poco smossa dall'atteggiamento paternalistico degli stati borghesi e in generale dalla difficoltà che ha a passare l'idea della lettura come molla di mobilità sociale.
Le letture del popolo
Alfabetizzazione bassissima, fratture e vuoti allarmanti fra città e campagna, capoluogo e provincia, Nord e Sud. Manca il mercato per la crescita dell'editoria. Tentativi arrivano da Milano, Firenze e Torino ma la gran parte dell'iniziativa è vincolata dalla religione, veicolo necessario al passaggio di idee di riscatto. Leggere non è considerato, né dal popolo né dai dirigenti, come un valore in sé. Poche sono le iniziative che implichino efficaci ponti di approccio alla lettura il Giannetto di Parravicini scalfisce un universo che per un secolo si è nutrito di Guerin Meschino e dei Reali di Francia. Anche la data dell'unità non è immediatamente periodizzante perché sul momento cambia poco: ci vuole una lunga e convinta intenzione statale per allargare definitivamente il gruppo dei lettori. Una possibilità è la lettura ad alta voce, sia per i gruppi di incolti (attraverso letture patetiche che catturino l'attenzione) che per i ragazzi che cominciano a leggere: prima in forma orale e manuale poi autonomamente.
Italia preunitaria [ovvero: Geografia e dinamica degli insediamenti editoriali, pp. 11-54]
Regno di Sardegna (Piemonte, Val d'Aosta, Liguria, Sardegna)Paese fortemente arretrato anche dal punto di vista editoriale.
La stamperia reale ha il privilegio per i libri di testo e quelli religiosi, quindi resta un mercato librario piuttosto esiguo che non cresce.
Piemonte: Pomba
In Piemonte nasce il primo grande editore italiano: Giuseppe Pomba, che nasce come libraio e diventa editore e stampatore (è un iter piuttosto frequente in Italia: probabilmente sono i librai a capire meglio come si muove il mercato e in che modo soddisfarlo).
Tanto per cominciare sconfigge il cartello delle stamperie torinesi e col tempo riesce a liberalizzare il numero di apprendisti per azienda. Quindi crea un modello nuovo di produzione: oltre alle tradizionali opere classiche, periodici d'informazione e biblioteche popolari crea una “Raccolta di opere classiche italiane, non che latine e greche tradotte” che si rivolge al crescente pubblico di artigiani impiegati e studenti con poca disponibilità economica; la raccolta è facilmente distinguibile e diffusa attraverso il sistema delle sottoscrizioni e raggiunge tirature record che costringono Pomba a una costante innovazione tecnologica, prima in Italia (prima macchina a vapore). L'altro grande successo è quello della Biblioteca popolare Pomba (1828-32), progetto editoriale di acculturazione popolare: è una raccolta di tutti i volumi utili (un centinaio) per la cultura della popolazione media a bassi costi e non molto curata filologicamente; (in genere i volumi delle biblioteche popolari venivano venduti a fascicoli che il proprietario provvedeva a far rilegare, mentre Pomba è fra i primi a venderli in formato unico, con la stessa copertina rosa con un riquadro in cartoncino: vende l'idea).
Pomba fonda la casa editrice UTET negli anni '50 e dieci anni dopo diventa presidente dell'Associazione Italiana Editori (padre nobile dell'editoria italiana).
Inoltre si cura anche degli aspetti culturali e del dibattito: allo sviluppo tecnologico spinto da Pomba si oppone un sistema di regole e legislature inesistenti in Italia ma necessarie: lo rivendica insieme a lui Vieusseux e altri intellettuali, con i quali scrive un pamphlet in cui chiede protezione dalle copie pirata e dalle stampe fraudolente fatte negli altri stati (in particolare Napoli), in difesa della proprietà editoriale come di quella d'autore. Questo tipo di rivendicazioni sono liberali per conseguenza immediata più che per natura: il mercato frantumato impedisce la libera circolazione delle merci e lo sviluppo di grosse case editrici.
In Francia e Inghilterra questo diritto e la legislazione in materia esistevano, ma venivano regolarmente infrante in paesi vicini ma con la stessa lingua (Irlanda e Belgio); in Germania, invece, c'è una legislazione autonoma ultrastatale che danneggia gli editori pirata. Pomba cerca di muovere in questa direzione le autorità politiche piemontesi e italiane.
Venezia
Risorta nel '700, ma quando viene venduta all'Austria decade a causa di:
1. perdita di centralità
2. espulsione dell'ordine dei Gesuiti
3. modificazione del mercato in senso laico e urbano.
Gli intellettuali si trasferiscono a Milano, resistono solo alcune imprese ma sono minori rispetto alle milanesi e allo sviluppo che aveva avuto in precedenza, resta sempre più periferica anche sul piano commerciale; questo è causato dalle dinamiche autoritarie che esaltano le capitali degli stati regionali e reprimono le attività periferiche.
Milano
A Milano la situazione è più sofferta perché ha attraversato l'esperienza di essere capitale della repubblica e del regno durante il periodo francese, mentre ora è solo un centro della periferia dell'impero; malgrado questo e un forte controllo censorio ha una grande vivacità intellettuale per il gran numero di intellettuali appunto che sotto napoleone si erano riuniti a Milano per lavorare come intellettuali-funzionari (es. Gioia) nella burocrazia statale e che adesso sono in cerca di impiego e status sociale e quindi girano fra editori e stampatori per scrivere prefazioni, traduzioni o pezzi propri: grande fermento soprattutto in riviste e giornali (es. Il conciliatore).
Dal 1815 per esigenze di controllo politico vengono sanciti:
• il ritorno alla patente per gli stampatori, concessa solo a chi presenta garanzie di liquidità finanziaria ma anche cultura e competenze tecniche
• il ritorno alla censura preventiva, che, sebbene svolta da funzionari di governo e di polizia (e non più da intellettuali), non è inappellabile (si ricorre al ministero di Vienna).
Nonostante il controllo teorico sulle aziende il numero delle stamperie resta pressoché invariato per il fortissimo ricambio interno e il commercio delle patenti: le case editoriali nascono e muoiono a gran velocità segno della vivacità intellettuale ma anche della carenza di liquidità finanziaria.
Milano è allora il centro dell'attività editoriale italiana, a Milano si deve spostare chiunque abbia ambizioni di resistere al secolo entrando in contatto con finanziatori, stampatori, autori. Gli editori hanno però ancora un catalogo misto di opere proprie e altrui (i pagamenti avvenivano soprattutto col baratto) e continuano ad essere in gran parte degli umili o semi-illetterati, a proprio agio in mezzo ai dotti ma provenienti dalle esperienze più diverse.
In questo periodo si sviluppano i nuovi generi editoriali che si adattano ai nuovi lettori: le biblioteche innanzitutto, si appoggiano a progetti culturali per individuare il mercato di riferimento e si diffondono con il metodo dell'associazione (scavalcando il problema della distribuzione attraverso i librai); es. l'editore Stella pubblica la Biblioteca per le donne gentili: individuazione di nuovi pubblici.
Si espande anche il mercato dei i giornali e dei periodici illustrati, segno della maturazione di un nuovo pubblico, ma in questo inizio di secolo le tirature non superano mai le mille unità.
Resistono alcuni progetti di acculturazione più ad ampio respiro: gli Annali universali di statistica di Francesco Lampato, seguiti dagli Annali universali di medicina.
Importantissimi sono anche i romanzi e le opere di narrativa spesso in traduzione e arricchiti dalle incisioni di Gonin o delle litografie di Hayez (per Scott).
Altro settore in crescita è quello delle strenne, a metà fra la narrativa e il periodico di lusso, con ricche illustrazioni e rilegature.
Questo fiorire di pubblicazioni non salva Milano da una crisi che la prenderà negli anni '30 facendole cedere il passo, soprattutto del rinnovamento tecnologico ad altre capitali come Torino.
Barengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione
Granducato di Toscana
Pisa decade insieme a Lucca e Livorno, poli importanti almeno commercialmente: a Pisa resistono alcune iniziative editoriali ma niente di innovativo, solo stampe di classici e ristampe pirata (Rosini e Nistri) e anche a Livorno prosegue una certa attività libraria, di carattere addirittura europeo, ma non di produzione editoriale.
Al contrario Firenze cresce e risorge. I granduchi reintroducono le severe norme del 1743, che comprendevano la censura preventiva, ma queste stesse sono inapplicate e aggirate dalle stesse autorità di controllo.
Particolarmente stimolante è l'attività di Vieusseux, editore svizzero di formazione calvinista che trova un'aristocrazia illuminata pronta a finanziarlo perché ne condivide il programma politico liberale che mira alla modernizzazione della società italiana (cfr Lettori e luoghi della lettura).
Stato pontificio
Situazione triste e contraddittoria: Roma aspira ad essere caput mundi, aperta a tutti e cosmopolita MA subisce la sindrome da accerchiamento dei papi da Pio VII in poi: la città è stata violata più volte (repubbliche varie, spoliazioni delle armate francesi...) soprattutto da parte di borghesi nazionalisti e si teme per il potere temporale del papa => profonda chiusura, ritorno al sistema corporativo, censura fra le più dure gestita da funzionari doganali o di polizia, non più persone di cultura.
La restaurazione vede il rinnovo dei privilegi alle stamperie di proprietà pontificia per tutto lo stampabile – alle minori non resta che attendere commesse ufficiali o chiedere agli autori che contribuiscano alle spese di edizione.
Gli autori sono i primi ad andare a pubblicare altrove, resta solo la poesia accademica e d'occasione e la letteratura devozionale edificante.
Resiste solo Bologna, che sul modello della sociabilité francese mantiene viva la richiesta di libri (università, salotti, gabinetti di lettura). Non si sviluppa però una vera iniziativa editoriale: i tipografi vivono di commissioni ufficiali.
Regno Borbonico
Dal 1821 Ferdinando alza vertiginosamente i dazi su libri, fascicoli e periodici stranieri, tutti assimilati come mezzi di diffusione di idee politiche sovversive: se li possono permettere in pochissimi. E' anche un modo per difendere le stamperie napoletane che possono riprodurre tutti i libri stampati al nord con notevole risparmio: si diffondono le stampe pirata.
Si crea un'alleanza organica tra stampatori e potere: è conveniente per entrambi mantenere il dazio e far sì che gli stampatori si controllino fra loro (es. a Malta ci sono fuoriusciti siciliani e napoletani che riportano volantini od opuscoli politici). Al momento di aderire alla Convenzione sono gli stampatori a non volere, addirittura si autosvalutano per mantenere un piccolo privilegio.
Le stamperie stanno tutte a Napoli e Ferdinando I e II concedono privilegi per libri di testo o amministrativi, scoraggiano l'insediamento di stamperie fuori centro secondo il modello parigino. Si assiste però a una polverizzazione delle aziende, che sono molte, ma tutte piccole e artigianali, che vivono spesso di edizioni pirata, anche se ogni tanto spiccano alcune imprese editoriali di rilievo come il Vocabolario Universale Italiano (Liberatore, Dragonetti).
In questo regime di sicurezza le aziende non si ammodernano sotto nessun punto di vista, né culturale (continuano a pubblicare manuali e opere di smercio sicuro) né tecnologico, e al momento dell'unificazione del mercato è un disastro e lo sviluppo editoriale verrà da fuori: Palermo (Sellerio poi Sandron), Catania (Giannotto), Bari (Laterza).
Dopo l'apertura riformistica di Ferdinando II (anni '30) si sviluppa un lungo dibattito fra stampatori e la rinnovata società culturale napoletana, che nel '39 si vede definitivamente sconfitta e va a ingrossare le fila degli intellettuali emigrati al nord.
L'editoria italiana quindi dal 1815 all'Unità (repubbliche scomparse e il nuovo equilibrio trono & altare orchestrato da Metternich) soffre di mali oggettivi:
- alleanza fra istituzioni per impedire la diffusione della propaganda sovversiva, liberale, unitaria; regime fortemente censorio e forme di collaborazione interessanti: la chiesa mette all'indice un libro e subito segue la condanna statale e viceversa. Ma cfr Silvio Pellico, Le mie prigioni.
- nel momento del rischio ci si chiude: i libri sono la peste, soprattutto se francesi, quindi vengono chiuse le frontiere, aumentati i dazi e i controlli di polizia, in particolare nel regno borbonico; la censura statale non è più appannaggio di letterati e uomini di cultura, ma di funzionari statali.
- mancanza di tutela del diritto d'autore.
Il mancato riconoscimento della proprietà editoriale e del diritto d'autore in un mercato così frammentato e chiuso impediva del tutto lo sviluppo di imprese di una certa consistenza, e questo era ben chiaro a chi si occupava di aziende importanti, ma anche, ovviamente, agli autori; dall'altra parte della barricata stavano gli stampatori artigiani e di provincia che sulle ristampe più o meno legali avevano costruito le loro fortune. Implicitamente agli antipodi di questo scontro stanno anche dei contenuti politici e di principio.
La Convenzione austro-sarda (che presto comprese anche lo Stato Pontificio e il Granducato) si rifà a forme simili già attuate in Germania e richieste a Parigi nei confronti di tutti gli operatori del mercato francese, ma in Francia come in Italia manca bilateralità negli accordi, che non riescono a risolvere il problema: rimane la minaccia dei tipografi napoletani; il progetto era di rendere il mercato editoriale italiano unito dal punto di vista della legislazione: tutti gli autori godono in tutti gli stati che partecipano alla Convenzione degli stessi diritti degli autori di quello stato.
Felice Le Monnier nel 1840 pubblica un'edizione fiorentina del '30 dei PS appellandosi al fatto che la legge non si applica alle opere pubblicate prima del 1840. Manzoni si sfava (e scrive pure un pamphlet sulla proprietà letteraria) e arrivano in Cassazione. La vicenda finisce nel '67 con la vittoria di Manzoni (probabilmente perché era Manzoni) ma Le Monnier commenta di averci guadagnato molto comunque; i comportamenti ai limiti della legge erano molto diffusi, particolarmente fra i piccoli editori, perché tutti camminavano sul filo del rasoio a causa dell'esiguità del mercato italiano.
Un altro tentativo di costituire un mercato italiano è la proposta e la costituzione di un Emporio librario a Livorno, proposto da Pomba al Congresso di Milano del 1844. Sarebbe stato creato un deposito centrale delle produzioni tipografiche d'Italia e una Libreria commissionaria, inoltre avrebbe scoraggiato ristampe non autorizzate con un Bollettino bibliografico di tutta la produzione italiana. L'impresa si rivela un fallimento: aderiscono sei aziende oltre Pomba e si ritira perfino Vieusseux.
Il biennio 1848-9
A partire dal '47 gli stati si aprono a riforme che allentano il controllo censorio. Il primo segnale è dato da Papa Mastai (Pio IX), che apre alle pubblicazioni periodiche la possibilità di trattare di storia contemporanea e istituisce una commissione censoria di laici; seguono a ruota Toscana e Piemonte e perfino il Regno delle Due Sicilie vede velocemente mutare la censura da preventiva a repressiva, almeno nelle definizioni di legge - rimaste poi inapplicate a causa dei mutamenti politici.Con la liberalizzazione della stampa il mercato si ubriaca di periodici e quotidiani, sottraendo quasi spazio all'editoria di libri, a causa dell'urgenza politica e della risposta inarrivabile in termini di rapidità, brevità e incisività delle notizie. Gli editori erano consapevoli che quest'ondata era comunque positiva perché allargava il mercato dei leggenti e quindi del libro.
Il mercato librario, a parte il furoreggiare dei periodici, spesso di breve durata, non sembra mutare particolarmente, anche perché la maggior parte degli editori preferisce aspettare tempi politicamente più sereni per tentare imprese rischiose. Si stampano pamphlet, giornali e fogli volanti (opuscoli politici e discorsi elettorali) ma pochi libri. Sebbene le aziende soffochino un po' in questo periodo, si è aperto un mercato che richiede libri di poche pretese per la veste tipografica, ma che richiede di essere informato o dilettato nel modo più breve ed efficiente possibile: decadono le strenne e non aumentano le edizioni di lusso e aumenta la produzione di almanacchi, opuscoli e giornaletti spesso con un'impaginazione accattivante, da consumare collettivamente nei caffé.
Anni '50
Con la chiusura della possibilità rivoluzionaria torna in Italia la censura e la stampa non sembra essersi giovata molto delle trasformazioni precedenti. Il ritorno della censura ecclesiastica lascia libero solo il Regno di Sardegna, in cui chiaramente si assiste al confluire di una quantità di intellettuali da tutto il paese e ovviamente allo sviluppo caotico e vitalissimo di imprese editoriali che si giovano della stabilità politica e della solidità precedentemente acquisita per tentare imprese editoriali importanti (la Biblioteca dell'economista e il Dizionario della lingua italiana). Fra l'altro a Torino si assiste a un fenomeno (raro) di concentrazione delle imprese, mentre il Meridione è sempre segnato dalla polverizzazione, anche in zone d'Italia in cui già esista una buona quantità di imprese editoriali, non stanno al passo con le torinesi per tecnologie e numero di impiegati.In questo periodo tace il dibattito sulla questione libraria, in parte per paura della censura, in parte per disillusione che le riforme legislative possano comprendere fra gli obiettivi forme di unificazione nazionale.
In compenso, il fulcro dell'iniziativa si sposta sull'organizzazione interna delle imprese, tecnologico e gestionale: per esempio Pomba si fonde con la Tipografia sociale per dare vita alla UTET (1854), riunificando attività tipografica ed editoriale; un altro stabilimento attento alle innovazioni tecnologiche è Barbèra di Firenze, che si reca addirittura a Parigi per comprare nuove macchine. Si tratta di editori dal forte senso pratico e fiuto imprenditoriale, dalla scarsa propensione per l'ideologia, consapevoli di doversi ritagliare fette di mercato precise per poter sopravvivere. Anche nel Regno delle Due Sicilie si comincia a diffondere la consapevolezza del rischio insito nell'arretratezza culturale, ma ai ragionamenti non segue una risposta tempestiva dal governo.
Si assiste ancora alla crescita del mercato giornalistico, ovviamente soprattutto in Piemonte, dove si concentrano 53 testate politiche e letterarie, ma il pubblico di riferimento è anche quello, nuovo, delle donne e dei fanciulli.
Dopo l'unità
Nell'ottocento cambia la prospettiva della cesura: nel cinque-seicento la revisione prima del libro era un'operazione condivisa dagli autori, mentre adesso diventa censura libraria perché i libri non contamino il tessuto sociale, si arriva al punto di temere la diffusione della cultura per motivi politici, etici: i giovani potevano diventare sovversivi, le donne ricevere i biglietti dei loro amanti ecc. Si creano mercati regionali separati.Nel 1859 viene approvata la Legge Casati, che rende obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare; l’onere viene affidato ai comuni ma non c’è nessuna legislazione coercitiva né alcun sostegno finanziario alla costruzione delle scuole, mantenimento dei maestri ecc. Nel 1877 passa la Legge Coppino, che aumenta di un anno (3° elementare) l’obbligo ma ancora nessun indennizzo per i comuni, né soluzioni per il lavoro infantile, che vengono inserite solo nel 1905, ma ancora con ambiguità e insufficiente protezione.
Le nuove dimensioni dell'impresa editoriale (pp.115-)
IL RISORGIMENTO DELLA PRODUZIONE LIBRARIA
A partire dall'Unità è notevolissima la crescita che coinvolse l'industria editoriale italiana, sia in campo giornalistico che in quello più strettamente editoriale: mentre la produzione di libri quintuplicava fra il 1836 e il 1872, il numero di testate pubblicate in Italia aumentò di sette volte in quarant'anni (1836-1873), per quanto la maggior parte di queste riviste avesse vita effimera.
I maggiori editori furono anche i maggiori stampatori e in generale si ampliarono tutti i rami dell'industria della stampa, compresi quelli collaterali (carta, macchinari, inchiostri, tipi...). Ovviamente la crescita non avvenne in modo uniforme in tutta la penisola, lasciando indietro il mezzogiorno e perfino alcune aree di antica tradizione come Venezia. Il mercato meridionale fu colto impreparato e invaso dalle agenzie delle case editrici del nord, dalla cultura allo scolastico.
Milano invece era il vero centro dell'editoria italiana, sia per il numero di testate ed edizioni che per l'aggiornamento tecnologico di cui godevano le industrie locali, non paragonabile a nessun altro luogo del paese.
I PROBLEMI DELLO SVILUPPO
Cronica carenza di mercato, pesante ancora 10 anni dopo l'unità. Il giornalismo assorbe gran parte dei lettori di libri, ma, come capiva Pomba, questo non è male.
Difficoltà nella commercializzazione dei libri, che spingono a creare succursali e commissionarie un po' dovunque nella penisola e addirittura all'estero.
Inelasticità del mercato dovuta in parte alle inadeguate politiche di governo sul piano legislativo, doganale e per le tariffe postali, ritenute troppo alte – inoltre gli editori criticavano fortemente la regolamentazione del diritto d'autore.
Inoltre i dazi aumentavano i prezzi dei macchinari in entrata, bloccando lo sviluppo delle aziende di medie dimensioni e impedendo alle grandi di alzare i salari degli operai.
LE GRANDI AZIENDE
Furono quelle che assorbirono su di sé tutto il mercato e in particolare se ne distinsero tre:
RICORDI
Simbolo se non artefice della rinascita musicale italiana della fine dell'ottocento. Era stata fondata nel 1808, a partire dal 1884 diventa un enorme stabilimento modello, in continuo ampliamento, con numerosi succursali nel mondo e con relazioni con tutti i principali autori di musica dell'epoca: Verdi, Rossini, Puccini.
es. Biblioteca di musica popolare con le opere teatrali, il libretto, cenni biografici e ritratto del musicista, Arte antica e moderna, Biblioteca del pianista, Biblioteca musicale tascabile ecc.
Per un certo periodo si occupa anche di editoria comune e periodica, producendo fra l'altro il primo giornale di critica musicale italiano e alcune riviste che ospitarono firme illustri.
SONZOGNO
I rivolge al pubblico della piccola borghesia e dei ceti operai cittadini, finora estranei alla lettura, con stampa periodica illustrata, giornali femminili e romanzi popolari – spesso a prezzi bassissimi a discapito della qualità, con forme spregiudicate di pubblicità a tappeto, vendita in dispense e in edicola, con gadget ecc. Anche in ambito più strettamente culturale si rivolge a queste fasce con la Biblioteca romantica illustrata e poi economica, I processi celebri illustrati ma pubblica anche la Biblioteca legale e la Biblioteca del popolo, di argomento pratico vario (agricoltura, anatomia, belle arti...).
Pubblica giornali umoristici (Lo spirito folletto), poi molte riviste illustrate e soprattutto Il Secolo, quotidiano democratico a più alta tiratura in Italia e il più simile per spirito giornalistico a quelli francesi o inglesi.
Rispetto ai nuovi pubblici creò I libri bijou illustrati e la Biblioteca illustrata di educazione, e tentò pure, con una serie di collane economiche, di scalzare la Ricordi dal suo monopolio senza riuscirci.
Anche dal punto di vista tecnologico era all'avanguardia, soprattutto per conservare altissime tirature.
TREVES
Anche lui editore-tipografo occupa l'altra metà del mercato editoriale, quella della borghesia colta che quindi chiedeva opere di qualità ma non erudite né retoriche: prima letteratura scapigliata, poi verismo, De Amicis e molti altri italiani e stranieri; la veste tipografica era sempre piuttosto curata, anche se a volte si rivolgeva a un pubblico più popolare; Biblioteca utile, Biblioteca dei viaggi, Biblioteca amena ecc.
Sul piano dei periodici invece fu in concorrenza con Sonzogno, pubblicando riviste per donne (Margherita) e bambini (Mondo piccino), ma anche l'Annuario scientifico e il Giornale popolare di viaggi. L'impresa più riuscita fu però L'Illustrazione italiana che si distingue per intelligenza divulgativa e varietà e qualità di articoli e illustrazioni.
LE PICCOLE IMPRESE
Altri nomi sono: CIVELLI, ZANICHELLI (Modena-Bologna), che si occupa fin da subito di letteratura di qualità (Carducci) e opere destinate alle scuole di ogni ordine e grado.
A Firenze si trovano i successori di LE MONNIER, che proseguono indebolendolo (per i tempi cambiati) l'impegno politico che era stato del padre e si buttano in particolare sull'editoria scolastica e sui dizionari, senza dimenticare i vecchi progetti (Biblioteca nazionale) di cui vengono fatte versioni economiche e per le giovinette, in ossequio ai tempi. Si trova anche BARBÈRA, editore “patriottico” ma anche impegnato nella pubblicazione di opere letterarie di grande respiro e spessore; per non farsi mancare nulla comunque fa anche libri per la scuola e opere “popolari”.
SPECIALIZZAZIONE E NICCHIE DI MERCATO
Una nicchia di mercato molto grossa è quella di libri di devozione (vite di santi, prediche, testi biblici ed evangelici, libri di preghiere ecc.): AGNELLI a Milano, legato all'Orfanotrofio.
Nell'ambito economico-giuridico era importante l'UTET (Torino), che si ampliò anche nel settore scientifico dei dizionari e delle grandi opere a dispense. Anche VALLARDI (Milano) si occupa di opere di carattere scientifico, soprattutto medicina per formazione.
Altri editori si occupavano solo di editoria popolare: SALANI e PERINO fanno opere di consumo di qualità medio-bassa, magari illustrate e rivolte appunto al popolo basso.
Editori come GARBINI e PAGGI invece si rivolgono (come alcuni grandi editori) alle pubblicazioni per donne e bambini.
L'EDITORIA SCOLASTICA
Era forse l'ambito più interessante e redditizio in quel momento, anche per l'incontro fra interessi politici e editoriali. Comunque la produzione fu sempre improntata all'eclettismo e non fu uniformato dalla dirigenza politica.
I due editori principali sono PARAVIA, di antichissima tradizione torinese, in grado di produrre nella sua officina molti sussidi per la scuola: mappamondi, carte in rilievo... L'altro è LOESCHER (vedi). Ci sono anche MAISNER, TREVISINI e SANSONI, l'ultimo di maggiore impegno e spessore anche culturale.
GLI STRANIERI
Il fatto che il mercato italiano fosse comunque interessante sebbene difficile è testimoniato dall'immigrazione di librai (poi editori) stranieri: il flusso migratorio inizia alla seconda metà dell'ottocento ed è preceduto dall'arrivo di VIESSEUX: l'Italia era un businnes, luogo in cui sviluppare imprenditorialità e guadagno; in genere si tratta di librai-editori che scendono con un progetto editoriale specifico o che per lo meno crescono dopo essersene fatto uno: da società a conduzione familiare diventano società anonime con partecipazione bancaria, soprattutto dopo il primo novecento.
DUMOLARD, giunti dalla Francia (1794) che si occuparono soprattutto di pubblicazioni scientifiche spesso d'importazione: veicolo d'ingresso del positivismo in Italia.
HOEPLI invece è svizzero e da una libreria a Milano (1870) tira fuori un'impresa editoriale che, oltre a caratterizzarsi per il suo eclettismo, batte sul terreno delle pubblicazioni di manuali tecnico-scientifici anche le grandi case. La prima pubblicazione è quella dell'ingegner Colombo (operazione di divulgazione dell'informazione culturale e pratica per la vita quotidiana con tanto di informazioni storiche). Nasce come libraio, non ha una tipografia né capitali per i macchinari né rapporti con la manodopera.
Leone OLSCHKI arriva a Firenze, è un ebreo tedesco e fonda una libreria antiquaria che all'inizio tratta prodotti di lusso come aldine e cinquecentesche: l'Italia era un mercato interessante, grazie alla presenza di un ricco patrimonio bibliografico (biblioteche anche antiche). Diventa produttore di edizioni raffinate e di lusso, molto curate anche nelle illustrazioni, nonché di riviste di bibliofilia che portano réclame di opere antiquarie con descrizioni accurate e attente.
LOESCHER immigrato tedesco che comincia con una libreria e finisce per occuparsi di scolastica di alto livello a Torino.
La letteratura popolare e di consumo (pp. 165-192)
Le appendici letterarie e il romanzo socialeDopo il 1860 l'appello che in Manzoni era ironico richiamo e affabulazione diventa coscienza precisa e necessaria del proprio pubblico, dei lettori e delle lettrici. Con l'unità infatti cadono le barriere doganali, si estende l'alfabetizzazione, aumenta il consumo di giornali e riviste e gli scrittori cominciano a ricercare un modo di scrivere più vicino alla lingua parlata; inoltre viene importata dalla Francia la moda del feuilleton, del romanzo messo a puntate in appendice ai giornali.
In particolare la fin de siècle vede aumentare in modo vertiginoso le vendite dell'editoria minore e minima, rivolta al pubblico semi-alfabetizzato (almanacchi, lunari...) e incentivata dai parroci (1858: Don Milani).
Cresce la produzione di libri e il numero di titoli stampati all'anno, organicamente cresce anche la produzione di giornali e in entrambi i casi si fa regola fondamentale l'attenzione al lettore, padrone di giornalisti scrittori ed editori. I pubblici poi sono ben individuati e circoscritti: si scrivono romanzi per donne, per bambini, per operai.
La letteratura popolare o di consumo si caratterizza per:
1. produzione seriale rivolta alle classi subalterne
2. funzione consolatoria e compensatoria, giocata sull'opposizione bene/male
3. narrazioni situate nel presente e nell'ambiente umano e sociale della città, di norma descritta nei suoi aspetti tenebrosi e squallidi
Gli archetipi stanno nei Misteri di Parigi di Sue e, in Italia, in Ginevra o l'orfana della Nunziata di Ranieri (1839): secondo il modulo dell'autobiografia l'autore fa una denuncia sociale a scopo filantropico e riformista, oscurato dal successo del racconto e dalla seguente produzione di genere. L'esempio migliore è Mastriani, I vermi. Studi storici su le classi pericolose in Napoli. Linguaggio colorito e capacità pittorica ne fanno una denuncia sociale di grande effetto. Nascono molti libri-inchiesta sui misteri delle città.
L'editoria quindi si rilancia spostando il suo baricentro, specializzando e settorializzando le proposte editoriali in base alle differenze professionali, territoriali, religiose (ancoraggio del narratore al lettore, collaborazione richiesta).
Un'innovazione ancora è portata da Arrighi, che crea intreccia alle vicende amorose e basse del suo protagonista una decisa e convinta linea politica e bohémien (La scapigliatura e il 6 febbraio). Sulla stessa linea Evelina di Tronconi, che richiama in continuazione la sua appartenenza alla realtà (una reale tragedia domestica... di una vera giovinetta) per polemizzare contro la società che giudica e condanna. Ancora: Valera attraverso un linguaggio colorito e violento si allontana dai “ruffiani del popolo” perché la sua e solo la sua è un'inchiesta veritiera e compartecipe.
Gli editori
I più grandi sono sicuramente Sonzogno e Treves, l'uno più popolaresco, l'altro attento a un pubblico più colto, più ricco (lett. seflhelpista); entrambi sostenuti dalla produzione giornalistica, su cui i libri vengono pubblicizzati, si scontrano particolarmente proprio nell'ambito della produzione periodica. Treves in particolare applica battage pubblicitari di grande effetto per dare risonanza alle sue iniziative.
Un altro editore, minore rispetto ai primi, è Salani che comincia pubblicando libretti a bassissimo prezzo (25 centesimi), praticamente fogli volanti che raccolgono riduzioni di operette, tragedie, fatti di cronaca nera truculenta, romanzi. Presso Salani pubblica anche la prolifica Carolina Invernizio.
I libri più letti e il genere femminile
Un'indagine di quali siano i libri più letti e le categorie che leggono di più viene fatto per iniziativa della contessa Pasolini-Ponti e si rivolge (seppure in modo frammentato) a diverse categorie: librai, lettori, biblioteche. Dato confermato ovunque è che le principali consumatrici di libri sono le donne, anche se non a scopo di vera cultura. Leggono Fogazzaro, Serao, la Marchesa Colombi, Neera, Vertua-Gentile, Cordelia e per la poesia Negri e Pascoli; le donne della piccola borgesia consumano soprattutto autrici straniere in traduzione e sono attratte dall'intreccio, le “serve” invece sono il pubblico delle appendici; le contadine ovviamente sono escluse dal regno della lettura. In generale la Commissione promossa dalla contessa fa emergere una preferenza verso i libri a tesi sentimentale, spesso non di buona qualità. Anche le informazioni provenienti dai lettori confermano la presenza di Fogazzaro, ma preceduto da De Amicis e Manzoni, ma seguito da Negri e Invernizio.
Nella seconda metà dell'ottocento il rapporto con la lettura da parte del pubblico femminile cambia, a partire dall'iconografia: le donne sono intensamente catturate dal libro con cui vengono ritratte (un vero e proprio libro di lettura), e in effetti in quel periodo si afferma un folto gruppo di scrittrici che crea un nuovo tipo di personaggio: le protagoniste dei romanzi sono nuovamente realistiche, sobriamente in lotta con la morale comune e la comune immagine di donna. Es. Neera, L'indomani e Emma, Una fra tante.
2. Nuovi pubblici
Alla fine dell'ottocento grande slancio hanno le iniziative rivolte ai nuovi pubblici: i fanciulli (pubblicazioni illustrate) e le donne (soprattutto pubblicazioni periodiche specialistiche), per quanto fin dalla fine del '700 fosse ritenuta preoccupante l'attitudine femminile alla lettura da parte di chiesa ed educatori anche laici: è non-necessario e dannoso che le donne sappiano leggere e scrivere, ci sono fortissime resistenze a livello planetario, controllo diffuso sulle pubblicazioni per le donne con racconti moraleggianti ecc.
es. Piccole Donne (fine anni '860 a Boston), viene tradotto per la prima volta in Italia all'inizio del '900 con una prefazione alle madri e alle educatrici perché facciano da mediatrici nella lettura con consigli sulla disciplina – il libro contiene una contestazione del sistema scolastico e viene censurato un passaggio sulla tolleranza evangelica.
es. contrario: Cuore di De Amicis esalta le istituzioni statali (esercito, scuola, famiglia ecc.)
La letteratura per gli operai
La letteratura pedagogico-popolare di fine ottocento ha fra i suoi topoi il catalogo di libri utili, introdotto a mo' di bibliografia direttamente nel racconto o in nota dall'autore. Vengono indicati oltre ai libri e agli autori (Smiles, Strafforello, Lessona, Franklin, Rosa, Gennari, Zardo...) anche gli editori, in effetti in questo momento altrettanto importanti e specializzati sul piano del contenuto e dell'indirizzo del libro.
BARBÈRA lancia il genere della letteratura selfelpista (Volere è potere, Consigli al popolo italiano di D'Azeglio, Franklin...), è l'editore che fa scuola, ma anche l'UTET pubblica i nuovi di Strafforello, antologie di biografie smilesiane ecc.;
AGNELLI vira il tipo di pubblicazione travestendola con una forma narrativa d'intrattenimento (racconti, romanzi, commediole), si propone come libri di lettura e di premio delle scuole serali e festive delle società di mutuo soccorso. Questo tipo di pubblicazioni è iscrivibile nella categoria del romanzo missionario o catechistico (McCarthy) in cui nella contrapposizione di personaggi diversi è chiaramente distinto dalla parte di chi deve pendere la preferenza del lettore; inoltre si utilizzano lunghe conversazioni (sermoni) e il patto di lettura si fonda sulla presunzione di aver copiato dal vero.
Un altro genere ancora è quello della biografia in azione (anche questa di origine smilesiana) pubblicata per la prima volta a Padova. Altre case editrici sono TREVES (fondamentale) CARRARA in Milano, BEUF LIBRERIA SALESIANA e PARAVIA (tutte di Torino).
3. Nuovi generi letterari
Se la narrativa (insieme alla scolastica) è il genere trainante fra ottocento e novecento gran parte ha anche la letteratura selfelpista: educazione alla vita sociale attraverso manualetti rivolti alle classi subalterne, ma che esaltano i valori della società borghese: risparmio, lavoro, amore per le istituzioni, studio per la mobilità sociale. Es. la Vita di Franklin, Volere è potere, Chi s'aiuta Dio l'aiuta e varie biografie di self-made men che dal nulla raggiungono una nuova posizione sociale. Nascono i romanzi dedicati agli operai, tentativo di produrre opere a per dell'irreggimentazione per rendere omogenea la classe allo sviluppo industriale, cosa che richiede maggiore istruzione e lavoro con disciplina borghese (Cantù, Il portafoglio di un operaio: cattolico e controllato ma sulla via dell'emancipazione), ma sempre più vicino al calvinismo per quanto tende a valorizzare l'etica del lavoro.
1879 TREVES “Il letterato oggi scrive per il grande pubblico, il tipografo e l'editore non si aspettano le munificenze che del pubblico”: è nato il mercato in grado di decidere vita e morte di un'opera, sono maturate le figure dell'editore e quella professionale dell'autore. Nel 1886 per Treves esce Cuore, nel giro di 18 anni vende 301.000 copie, al 1910 sono 500.000; Pinocchio (per Felice Poggi poi Bemporad) esce nel 1873 e al 1901 ha venduto 350.000 copie. Gli altri seguono da distante: Piccolo mondo antico 44.000 copie, Storia d'una capinera 20.000 copie – con le edizioni MONDADORI di D'Annunzio si arriva a cifre simili.
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