mercoledì 27 agosto 2008

Storia Romana 1: Origini e fondazione di Roma

Il dibattito su questo problema è alle origini del dibattito storiografico e della critica storiografica moderna.
Dall'umanesimo al novecento
L'interesse per questi problemi nasce nel periodo umanistico all'insegna di un atteggiamento reverenziale: ammirazione incondizionata per i testi come per la storia.
La storia era vista come un modello al pari della letteratura e dell'arte, senza tentare di distinguere fra il mondo greco e il mondo romano, si fondava in larga parte su un gusto estetico dell'imitazione acritica e priva di ricostruzione storica. Anche la storiografia era un modello irraggiungibile e da imitare (Dante: Livio che non erra ma anche Petrarca, Boccaccio, Flavio ecc prendono Livio a modello); erano riverite perfino le epigrafi antiche: Cola di Rienzo espose in Campidoglio la Lex de Imperio Vespasiani, sebbene non sapesse apprezzarla veramente, perché era dimostrazione tangibile della continuità fra antichi e moderni; nella prima metà del '400 Ciriaco da Pizzicolli di Ancona disegna i ruderi e copia i testi delle iscrizioni con ammirazione e devozione incondizionate; e cfr anche il recupero della capitale epigrafica.
Con Machiavelli affiorano i primi interrogativi generali (cfr Discorso sulla prima Deca di Tito Livio) ma partono da un'accettazione acritica: cerca di capirne i segreti per applicarli alla contemporaneità. Allo stesso modo Montesquieu nelle Considerazioni sulla grandezza dei romani e sulla loro decadenza (1734).
Questa fiducia rimane a lungo negli studi antiquari e ha grande fortuna nel 6-700: particolarmente importante perché ci si occupava anche di fonti non letterarie, anche se si limitava a illustrazioni di ruderi, monete ecc.
A partire dal '600 troviamo i primi dubbi e critiche cfr il Pirronismo storico, che applica alla storia romana antica i principi dello scetticismo (F. La-Mothe-Le-Vayer (1588-1672) e L. de Beaufort, Dissertation sur l'incertitude des cinques premiers siècles de l'histoire romaine) e rompe con i fideisti che accettano acriticamente le fonti antiche.
Il seicento
JACOBUS PERIZONIUS (1651-1715) nel 1685 pubblica le Animadversiones historicae, in cui cerca di capire se dietro le tradizioni storiografiche delle origini di Roma potessero esserci fonti attendibili: i primi storici di quel periodo potevano contare sulla tradizione orale dei convivalia, canti recitati al termine dei banchetti per tramandare una tradizione molto antica già rispetto ai cantori.
È il primo tentativo di risolvere l'aporia riguardo all'attendibilità della tradizione storica, non più su base fideistica ma neanche ricorrendo al pirronismo. La risposta di Perizonio è l'esistenza di una tradizione orale fra l'epoca regia e il III-II secolo, quando Fabio Pittore e gli altri cominciarono e mettere per iscritto il materiale dei carmina convivalia.
Questa ipotesi fu ripresa da NIEBUHR (1776-1831), il fondatore dello studio della storia antica occidentale con la Römische Geschichte (Storia Romana) in più volumi pubblicati fra il 1811-12.
L'ottocento
Dall'ottocento prevale la linea di Theodor MOMMSEN che innova gli studi sul diritto romano con edizioni critiche su testi antichi e complicati, con l'edizione del Corpus Inscriptionorum Latinorum e con una Storia romana che indirizza tutte le ricerche successive.
Scettico sulla tradizione delle origini e del periodo regio la indaga ricostruendo la storia del pensiero romano, guardandola come il modo in cui le classi colte raccontavano il loro passato per spiegare la loro realtà contemporanea, cioè fabbricando leggende e storie per tutto ciò che non era rimasto ancorato alla memoria orale, in modo simile a come facciamo noi. I suoi studi si concentrarono sull'analisi filologica delle fonti per stabilire come usarle e ricostruire l'evoluzione della stratificazione – naturalmente senza illudersi di “risolvere” davvero i fatti storici.

L'interesse diretto allo studio delle fonti trova un'altra spinta con Ettore PAIS (1856-1939 sardo, allievo di Mommsen) che propone una Storia di Roma (1898-9) con molte rielaborazioni originali e in cui arriva a un radicale scetticismo; è l'iniziatore e il massimo esponente dell'IPERCRITICA: tutta la tradizione sulle origini di Roma è un insieme di invenzioni prive di basi documentarie o orali, che non nascono prima del III-IV secolo, non c'è nulla di storico o reale fino all'incendio gallico, sono operazioni letterarie con un forte desiderio di emulazione della storia greca camuffata e trasposta.

Julius BELOCH (1854-1929 tedesco che abitò a lungo a Roma, maestro di Gaetano de Sanctis) parte dalle stesse premesse ma tenta di ricostruirle su basi diverse: recuperare dati attendibili da studi demografici quantitativi. È il fondatore della demografia storica. Tenta di porsi domande analoghe alle moderne anche per il mondo antico, cerca di capire se sia possibile accettare materialmente i dati delle fonti p.e. rapportando la popolazione alla superficie adibita al sostenimento agrario – o al limite se sia possibile proporre cifre più realistiche.

Scavi al centro di Roma nel 1870, nuovi elementi per il dibattito e nel 1899 i ritrovamenti di Giacomo BONI (1859-1925) nel foro e sul Palatino sembrarono confermare clamorosamente la tradizione romana e smentire l'ipercritica: in particolare il ritrovamento sotto il Lapis Niger di un'iscrizione in caratteri latini del VI sec a.C. in cui si legge chiaramente la parola REX, databile fra il X e il IX secolo: la zona era già abitata, e inoltre Dionigi di Alicarnasso ne parla dicendo che sia la tomba di Romolo, visibile fino all'epoca di Augusto. La reazione iniziale è di eccessiva accettazione della tradizione.
Il novecento
Con la prima guerra mondiale le ricerche e il dibattito si arrestano, rallentano molto e si ritorna all'ipercritica e alla prudenza.
Con la seconda guerra mondiale riprendono gli studi, soprattutto negli anni 40-50 la scuola svedese (Gjerstad, Gierow) fa ricerche a Roma e nel Lazio.
Il dibattito si riaccende perché si pone il problema metodologico di come raccordare tradizione e archeologia: Andrea CARANDINI (n. 1937) e GRANDAZI sostengono che sia possibile e utile un intreccio fra archeologia e tradizione letteraria per confermarla e rinsaldarla nella verità, mentre
POUCHET e Emilio GABBA hanno una posizione più cauta: archeologia e tradizione letteraria restano su binari paralleli e inconciliabili perché tutti i tentativi di fonderli sono circolari, viziati in partenza e non validi. Il dato archeologico non univoco viene interpretato in base alla fonte letteraria che poi si dice confermata dall'archeologia: nessuno dei due dati è in realtà valido di per sé.
Elaborazione del problema
Il problema di fondo è lo iato cronologico fra l'epoca a cui viene attribuita l'origine di Roma (VIII a.C.), il periodo in cui si formò la tradizione (IV a.C.) e il periodo in cui si cominciò a scriverne (III a.C.); inoltre bisogna considerare le influenze greche e il fondato sospetto che alcune coincidenze siano effettivamente casuali:
su quali basi è fondata la tradizione?
Utilizzava qualche documento scritto (leggi, trattati, rituali)?
Di che tipo?
A quando potevano risalire?
Che tipo di affidabilità avevano?
Che tipo di tradizioni orali?
In quale ambito?
Con quale attendibilità?
Si possono fare ricerche eziologiche fra i miti?
Con quale attendibilità?
Ci sono state invenzioni pure e semplici?
Ecc.

La dimostrazione della possibilità di coincidenze fra le tradizioni è assai difficile sul piano concreto: analisi linguistiche ed etimologiche per ipotizzare un'origine comune di istituzioni, rituali ecc che possano confermare o smentire il dato della tradizione;
analisi dei rituali non più compresi ma ancora praticati in epoca storica;
analisi dei documenti archeologici.
Resta fondamentale l'analisi della tradizione nelle sue parti minori, il modo e le fasi in cui si è formata, la stratificazione, le fonti degli autori giuntici e il modo in cui le hanno trattate. Ricostruire la tradizione come stratificazione, rifunzionalizzare a fini diversi le sue parti serve a capire se si può ammettere che la tradizione sia stata interrotta oppure no: in alcuni casi si può dimostrare che la continuità di memoria non può esserci stata e dobbiamo riconoscere che si tratta di pure invenzioni, prive di alcun dato attendibile; in questi casi se troviamo corrispondenze fra il dato archeologico e quello letterario bisogna credere che si tratti di una coincidenza – d'altra parte questi racconti restano come documenti del periodo più recente che ce li tramanda.
Il dato archeologico anche se è significativo non è univoco.

Finora per le origini di Roma gli unici dati archeologici certi e non discutibili sono dati negativi:
1.nella zona dei monti Albani non è esistita una città degna di questo nome: Alba Longa non esiste
2.Lavinium (presso Trasica di Mare) sarebbe stata la città con cui si fonde Enea arrivato da Troia; avrebbe dovuto essere esistente e fiorente nel XII secolo, Alba Longa una generazione dopo, Roma nell'VIII. Lavinium non era affatto un centro urbano molto anteriore a Roma, fa il salto da villaggio a centro urbano parallelamente a Roma.
Fonti
Livio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Eneide.
Fabio Pittore
Scrisse in greco alla fine del III o ai primi del II secolo (fine della seconda guerra punica o subito dopo) una storia sistematica basata in parte sugli annali dei pontefici in parte su notizie arrivate per via orale, in parte trovate negli autori greci a lui anteriori, per esempio:
Timeo di Tauromenio
Vissuto fra il 350 e il 260 a.C. circa, nella sua trattazione storica (Storie) dava particolare attenzione al mondo occidentale, in particolare alle colonie greche, ovviamente.
La Cronaca di Cuma,
Da cui attingiamo notizie della fase finale della monarchia (ultimo Tarquinio, guerra di Porsenna)

La versione canonizzata da Fabio Pittore prende la forma a noi nota (Enea, Ascanio, Rea Silvia, Romolo e Remo) non prima del IV sec a.C. perché negli autori antichi ha forme completamente diverse: Esiodo nella Teogonia parla di Latino figlio di Circe e Odisseo; oppure Enea appare in riferimento all'occidente tirrenico senza Romolo e Remo, a volte con una donna chiamata Ῥομὴ. Quindi la tradizione di Pittore potrebbe fondere nuclei leggendari originariamente autonomi: fonde la storia che legava Enea con la storia dei gemelli inventando la serie dei re Albani.

Il filone troiano
Risale al VI secolo perché su vasi greci di importazione e su vasi etruschi di imitazione greca ricorre insistentemente la rappresentazione della fuga di Enea da Troia con il padre, il figlio e i penati – probabilmente era una tradizione non applicata a Roma ma a Lavinium e per questo probabilmente Enea diventa re di Lavinium. I penati di Enea erano venerati nel santuario di Lavinium, come riferito da Timeo per autopsia.
Il primo accenno è in Ellenico di Lesbo (425-400 ca a.C.) che dice che Enea fonda Roma; lo ripete anche un suo allievo in un frammento.
È probabile che già Stesicoro (metà del VI a.C.) parlasse della fuga di Enea verso l'Hesperia, la terra d'Occidente, cioè l'Italia, come indicherebbe la tabula iliaca, un bassorilievo scolastico per poeti omerici con rappresentate le scene dei poemi omerici.
Antioco di Siracusa (425-400 ca a.C.) attribuisce la fondazione di Roma a Enea. Confermato per statuette di terracotta trovate a Veio posteriori al periodo etrusco e non testimoniano la tradizione relativa a Veio, come si pensava prima ma la tradizione romana: gli occupanti rivendicavano orgogliosamente di appartenere a Roma.
Il filone dei gemelli
Ha un'origine molto discussa.
1968 Strasburger sosteneva che fosse una leggenda fabbricata in Grecia in chiave antiromana risalente al periodo delle ostilità fra le colonie greche e Roma, che si stava espandendo troppo; in effetti insiste su particolari disonorevoli: la nutrice era una prostituta (Acca Larentia), la nascita di Roma sarebbe legata a un fratricidio; i romani per assicurarsi la discendenza violano l'ospitalità (Ratto delle sabine) e Romolo dà asilo a schiavi fuggitivi, assassini, ladri e briganti per incrementare la popolazione.
La lupa
Un indizio preciso e certo che nel III secolo era già accettata ufficialmente: nel 296 a.C. i primi pontefici plebei eressero un gruppo bronzeo della lupa che allatta due gemelli (da Livio, X, 23) e lo stesso si può trovare su monete d'argento romano trovate in Campania datate al 269-66.
Secondo Cornell la lupa dei musei capitolini proviene dal monumento che i due edili Olguni arricchirono con due gemelli e poiché è databile a VI a.C. dimostrerebbe che la storia circolava già. Il discorso non regge perché la statua come la vediamo oggi ha l'aggiunta rinascimentale dei due gemelli, quindi potrebbe non allattare gemelli umani, in originale.
I gemelli
Non abbiamo alcun indizio certo di due gemelli sullo stesso piano fino alla prima metà del IV sec. Possiamo addirittura dubitare che già nel VI secolo fossero due gemelli; anche se la prima menzione di Romolo è in Aucinio (prima metà IV sec), probabilmente la leggenda ha trovato la formulazione a noi nota nella seconda metà del IV sec.

Wiseman suppone lo sdoppiamento sia il risultato della parificazione fra patrizi e plebei (seconda metà IV, subito dopo le leggi Licinie Sestie) per radicare nel passato leggendario le rivendicazioni dei plebei e il torto subito.
La prima attestazione della leggenda si trova nello specchio prenestino trovato a Volsena e databile al 350 o 325 a.C. (una lupa che allatta 2 gemelli). Secondo Wiseman sarebbe la premessa della leggenda dei gemelli: non sarebbero Romolo e Remo ma i Lares Praestites, gemelli divinità minori della tradizione romana (cfr Ovidio, Fasti) che avrebbero offerto lo spunto per modificare la leggenda. Secondo Carandini è una spiegazione troppo complicata. Ad ogni modo la base della ricostruzione di Wiseman resta valida: probabilmente il fondatore è stato sdoppiato.
In generale
In definitiva la tradizione canonica nasce non prima della seconda metà del IV secolo e assume particolare rilevanza anche dopo. L'unione di due filoni sarebbe potuta accadere anche nel III a.C. La parte più importante sta nell'accettazione e rielaborazione della leggenda, che secondo Wiseman non si svolse nei carmina convivalia ma nelle rappresentazioni teatrali, introdotte intorno alla metà del IV a.C. (secondo Livio nel 364 per i ludi plebei: i plebei cercano di entrare da protagonisti nella leggenda appropriandosi di un padre nobile, Remo), mentre l'organizzazione e la rielaborazione della leggenda probabilmente si basa su tradizioni orali tramandate sia in ambito sacro che familiare.
La formazione della tradizione
La presenza degli annali dei pontefici come fonte valeva solo per il periodo più recente, mentre per le origini non c'erano registrazioni. I primi storici avranno inquisito congetturalmente su nomi di luogo, analisi di rituali secondo etimologie fantasiose che aggiunsero molti particolari fantasiosi. Non tutti i dati di cui disponevano quegli autori sono stati utilizzati in concreto: tutta una serie di dettagli e racconti resta esclusa dalla tradizione annalistica e viene recuperata da altri generi letterari e da fonti antiquarie: collezione di monstra e mirabilia, analisi linguistiche ed erudite.
Perché veniva fatta una scelta? Vengono presi solo i dettagli funzionali alla linea che era stata scelta scelto e il principio ordinatore è quello della statalità (soprattutto per Fabio Pittore): la continua e inarrestabile ascesa di Roma (come la conosce lui) che arriva fino al suo tempo, il racconto delle fasi attraverso cui si forma lo stato romano e la sua potenza: Pittore elimina tutti gli elementi controproducenti o inutili come p.e. i rapporti fra Roma e Porsenna: aveva conquistato Roma e proibito ai romani l'uso del ferro (Plinio), notizia non riportata negli Annales (Livio).
L'organizzazione dei dati scelti venne dal confronto con la tradizione storiografica greca e da categorie storiche greche (= modo di leggere i fatti):
1.nelle Origines si segue il modello delle κτίσεις: origine di una città e fondazione dal nulla ad opera di un eroe fondatore;
2.il modello dell'opposizione tirannide-libertà con cui vengono descritti gli ultimi re romani: realtà risistemata
3.+ forte volontà celebrativa di Roma e dell'aristocrazia romana che si autopropone come protagonista della storia di Roma.

L'esame dei dati archeologici deve tener conto di questo ↥ e del fatto che:
la tradizione si è formata sicuramente tardi, verso la fine del IV a.C.
almeno in parte la ricostruzione è frutto di congetture e non proviene direttamente dalla memoria ininterrotta per via orale. La rielaborazione ha raccolto e riutilizzato materiali di folklore senza tempo (p.e. il bambino esposto e ritrovato da una fiera o un pastore) riciclati come narrazioni storiche + molti elementi della tradizione greca
Quadro archeologico oggi

Nell'ETÀ DEL BRONZO FINALE (XI-X sec a.C.) nell'Italia centrale tirrenica si afferma una cultura che è chiamata protovillanoviana (dalle scoperte nel sito di Villanova vicino a Bologna di cui questa è precedente), caratterizzata da incinerazione ad d'urne biconiche. La cultura protovillanoviana nell'area tirrenica conosce uno sviluppo, nascono abitati d'altura, naturalmente fortificati e spianati sulla cima; si tratta di centri di piccole dimensioni (5-10 ettari) e a piccola distanza gli uni dagli altri, hanno bisogno di poco terreno da coltivazione, circa 5-10 km.

Con l'inizio dell'ETÀ DEL FERRO, fine X-inizio IX secolo comincia il villanoviano. In questa fase di sviluppo la popolazione che era sparsa si concentra in un minor numero di abitati ma di dimensioni sensibilmente maggiori. I siti corrispondono a quelle che saranno le grandi città dell'Etruria.
Protourbanizzazione che si sviluppa nel corso del IX secolo perché non ci sono ancora colonie greche in Italia.

Nel Lazio la situazione è simile ma più graduale, più lenta. Non fu un cambiamento generale, ci sono abitati piccoli della fase precedente (sui colli Albani) e insieme concentrazioni più urbane. Le prime unità maggiori cominciarono a comparire nell'ultimo quarto del IX secolo, agli INIZI DELL'VIII.
Fase Laziale: 830-770 a.C.
Il primo di questi centri è Gabi.
Alla metà dell'VIII secolo compaiono le prime sepolture principesche, che testimoniano una differenziazione sociale ormai accentuata, p.e. quelle trovate a Palestrina (antica Preneste) della fine dell'VIII-inizio VII secolo mostrano sfarzo, oggetti di importazione greca e fenicia.
In questa fase l'aristocrazia locale ha assorbito gli usi di quella greca es. la cultura del simposio (ci sono vasi che ne testimoniano l'uso) e anche la scrittura compare per influenza greca con vari adattamenti dei segni alfabetici greci. Compare prima in Etruria poi nel Lazio.
L'unione delle comunità
Per Roma scavi alla fine dell'ottocento misero in luce abitati dell'inizio dell'età del ferro sul Palatino e sul Quirinale, mentre nell'Esquilino e nel Celio (zona del Colosseo) si trova un villaggio di capanne già del X secolo e nel Foro Romano si è trovata un'area di tombe risalenti fino al 380 a.C.
Sul Palatino (più recenti) e sul Campidoglio (più antichi: fino al XIV sec, età del bronzo) ci sono indizi di abitati. Quindi l'area intorno a Roma è una serie di nuclei indipendenti, forse c'erano capanne anche nel foro.

EINAR GJERSTAD (1897-1988): quando il sepolcreto fu abbandonato si sarebbero costruite capanne anche lì e sarebbero durate fino al 575 a.C., quando le capanne sarebbero state eliminate e l'area sarebbe stata pavimentata: segno di fusione artificiale fra le comunità preesistenti, che avrebbero scelto l'area come zona di incontro, secondo questa visione questa sarebbe stata la data della fondazione di Roma, atto volontario di unione fra comunità con un'area comune in cui si fanno affari secondo il modello della polis greca. Questa datazione modifica di molto la cronologia, sposta di due secoli in avanti la fondazione.

Intorno al 1955 lo studioso MULLER-KARPE (n. 1925) propose un'altra tesi con la formula di Stautgrundung, formazione della città graduale e spontaneità lenta. L'unione politica di queste comunità sarebbe l'ultima fase di uno sviluppo insensibile. L'unica differenza sul piano di partenza riguarda la data della pavimentazione del foro: per Gjerstad intorno al 575 mentre Muner-Karpe propone 625. Gli studi successivi dimostrano che aveva ragione Muller-Karpe, in base a studi sui materiali. L'inizio dell'età del ferro viene collocato intorno al 900, mentre per Gjerstad era da collocarsi all'800 a.C.

Un tentativo di superare l'opposizione fra le due teorie fu fatta da CARMINE AMPOLO (?), che ammetteva entrambe le due fasi: prima ci sarebbe stata l'aggregazione spontanea e poi l'atto di autorifondazione come comunità unica per sinecismo (unione di abitanti diversi). Prima c'era l'abitato sul Palatino e poi su colli vicini. Nell'830 questa comunità usa il sepolcreto alla base del Palatino. Qui confluiscono molti dal Celio e dal Palatino. Poi si abbandona il sepolcreto perché la comunità della Celio si espandeva verso l'Esquilino, c'è una serie cospicua di tombe in quella zona, che iniziano quando non vengono più fatte nel sepolcreto.
Queste comunità avevano un rituale religioso antichissimo a cui si riferisce Sesto Pompeo Festo (antiquario dell'età di Adriano), che prende materiale dalle ricerche di Verrio Flacco (età augustea): l'11 novembre veniva celebrata una festa con processioni che riguardavano tutti i colli (eccetto Quirinale e Campidoglio), faceva il giro delle comunità: le due alture del Palatino, la Celio, le tre cime dell'Esquilino, la valle della Suburra (che è una parte del Foro). Questo rituale testimonia una fase in cui l'urbanizzazione si esauriva in quest'area, senza due colli importanti per Roma: era la comunità del Settimontium. La fusione con gli altri due colli risalirebbe a quando nel Campidoglio scomparvero le tombe e ci furono capanne (625 ca.), fu pavimentato il foro, furono fatti i primi edifici pubblici: la reggia, residenza prima del re poi del pontefice massimo, primo edificio pubblico (ultimo quarto del VII secolo).
Riletture di vecchie scoperte
Alla metà degli anni '70 il quadro sembrava chiarito, ma viene rimesso in discussione appena finiti i nuovi libri di testo per delle nuove scoperte e dei cambi di indirizzo.

AMMERMAN nel 1990 riesamina le stratigrafie del Boni (in base alle quali Gjerstad aveva datato la presenza di capanne nel foro) e sostiene che queste capanne non sono mai esistite, sono una lettura sbagliata degli scavi; sono invece una colmata artificiale, di riporto di circa 2 metri traccia di operazioni di bonifica precedente alla pavimentazione (la zona era soggetta a impaludamenti). La fusione fra le comunità (Palatino, Celio, Esquilino, Campidoglio e Quirinale) risalirebbe a quel momento. Nel 625 ca. con decisione puntuale e consapevole sarebbe avvenuto un sinecismo.
Ammerman conferma la parte più significativa di Ampolo correggendola su un punto: la fusione di fatto non sarebbe stata prima del 625. Se fino a quella data la zona intermedia era spesso impraticabile non avrebbe potuto essere una zona di aggregazione.

Secondo Ampolo il carattere artificiale della nuova comunità è provato dal fatto che era divisa in 3 tribù e 30 curie: queste ripartizioni con un numero tondo significano che non sono frutto di un accorpamento casuale ma una scelta precisa. Questo carattere artificiale si ritroverebbe anche nel calendario romano più antico (cfr grafia più grande): dev'essere antico davvero perché manca il culto di Giove capitolino (quindi precedente al 509 a.C.), mancano i culti introdotti da Servio Tullio secondo la tradizione (Fortuna, Mater Matuta) quindi anteriore anche al 559. Questo nucleo del calendario è così complesso che presuppone l'uso della scrittura, anche se fu reso pubblico più tardi di quando fu scritto.

Poiché intorno al 625 queste comunità adottano il modello della polis, fanno riferimento alle basi di mercanti greci (fondaci, basi commerciali) e fenici in quella zona. Sulla presenza di mercanti greci e fenici ci sono diversi indizi:
presenza antichissima di culto di Eracle all'Ara maxima (tramandata dalla tradizione e confermata dall'archeologia), che risalirebbe alla fondazione della città, addirittura portata con Evandro. In realtà quell'Eracle presenta delle prescrizioni di culto molto simili a quelle tributate a Baal-Mekart, una divinità fenicia
Legami fra il culto di Fortuna e culti orientali tipo Astante
il culto di Diana sull'Aventino era legato al culto su Artemis di Efeso.
Dispute causate dalle scoperte di Carandini
Carandini mette in luce un tratto di muro il cui primo impianto risale probabilmente al 730-720 a.C. fra il Palatino e il Celio vicino a un torrente, ricostruito almeno 3 volte fino al 550-30 a.C. poi distrutto e coperto con una colmata dove poi passava la sacra via (strada dei trionfatori).
Secondo Carandini non è possibile che sia un muro difensivo ma dovrebbe essere la linea sacrale del pomoerium più antico, quello attribuito a Romolo, quindi corrispondente all'atto di fondazione di Roma. Sarebbe la smentita di una datazione al 625 o al 753. Inoltre Tacito (Annales, XII, 24) parlando di Claudio fa un excursus sulla storia del pomoerium: Romolo tracciò il solco il cui percorso era segnato ancora al suo tempo con dei cippi (lapides) che indicavano un percorso attorno al palatino: Foro Boario, Ara Maxima, Curia veteres, ... e il sacello dei Lari. Questo percorso comprende il muro scoperto da Carandini.

1. Ma se la tradizione fissa questa coincidenza molto tardi potrebbe essere casuale:
se il muro è l'atto di fondazione di Roma sul Palatino come ci si spiega che l'abitato sul palatino sia anteriore di 3 secoli?
Siamo sicuri che il muro sia una linea sacrale?
In generale è l'interpretazione meno probabile se non addirittura da escludere: è solo un tratto di muro, se non girava attorno al Palatino non è la linea sacrale. Potrebbe essere una costruzione fatta perché la strada corresse lungo il torrente ma non più in basso per non esserne inondato.
2. Inoltre: Tacito su che base si fonda? Romolo mise o i cippi o il muro; altrimenti i cippi sono successivi. È una ricostruzione a posteriori come le altre, probabilmente i cippi vennero messi in un momento qualsiasi in cui il p. venne allargato (Silla p.e.) per apprezzare la differenza a fini di propaganda: anche per gli allargamenti di Augusto e Claudio restano dei cippi.
3. Anche la coincidenza cronologica fra Tacito e Carandini potrebbe essere casuale.
4. La nuova linea sacra fondata da Romolo e Tito Tazio (re dei sabini) comprendeva Palatino, Foro, Campidoglio e Quirinale. Questa tradizione si è formata dopo la leggenda della fusione dei romani coi sabini, sicuramente non prima del IV secolo, forse dopo.
La tradizione, secondo Carandini, viene confermata dalla sua scoperta anche per la leggenda del ratto delle sabine – che però lo smentisce almeno sul piano cronologico: sulla base delle ricerche di Ammerman la fusione non è anteriore al 625 mentre la tradizione dice che è stato durante la vita di Romolo.
Inoltre tutta la tradizione della comunità sabina sul Quirinale è tarda: se si analizzano tutte le fonti è chiaro che alla base c'è un ragionamento di pseudo-etimologia: il Quirinale (invece di venire da Quirino) sarebbe la zona in cui abitano i provenienti da Cures (vicino a Passocorese). Al contrario è stato dimostrato da linguisti moderni che Quirinus viene da Curia, quindi sarebbe il dio protettore della comunità romana, ovvero dei quirites, il popolo riunito in CVRIA: COVRIA: CON+VIR.
Ancora sulle fonti
Abbiamo una serie di testimonianze che collocano la fondazione in momenti diversi:
Catone e Dionigi di Alicarnasso 751,
Polibio 750,
Varrone 573: effetto di un ricordo tramandato?
d'altra parte Fabio Pittore 747,
Cincio Alimento 728,
e alcuni autori greci precedenti indicano date completamente diverse: Timeo di Tauromenio 813, Ennio e Nevio (III sec) indicano l'XI secolo: Ennio nel fr. * Vahlen dice “sono passati 700 anni da quando è stata fondata la grande Roma”2; in Servio commentato v. 273, I, Eneide “sia Ennio che Nevio facevano di Romolo un nipote diretto di Enea”
Il divario fra le datazioni è troppo profondo per ammettere un ricordo comune, sono tutte congetture, ragionamenti grossolani a tavolino; d'altra parte tutti gli autori romani3 conoscevano e utilizzavano gli annali dei pontefici quindi lì non doveva esserci nulla.
Il fatto che siano ricostruzioni a tavolino è ancora più evidente ragionando sui numeri:
Varrone dice che la fondazione è del 753 e la fine dei regni del 509: passano 244 anni ovvero 35 anni x 7 regni, i re di Roma erano eletti da adulti quindi non potevano esserci regni più lunghi, anche perché 4 su 7 muoiono di morte non naturale. In realtà solo 7 regni per 244 anni sono pochi4, e 35 sono quelli dati tipicamente anche dalle cronologie greche come durata media di un regno (3 generazioni ogni secolo). Tutto torna anche confrontando le date fornite da Fabio Pittore.
Una volta che siamo sicuri che la data di fondazione è frutto di calcoli a tavolino del II-III secolo a.C. significa che la coincidenza del muro è casuale. Povero Carandini.

L'inizio della repubblica
I tentativi novecenteschi di abbassare drasticamente l’inizio della repubblica sono privi di fondamento, le differenze vanno imputate a errori inevitabili per liste monotone e complicate: Bloch, Werner [inventato fino al 471], Gjerstad che propone di spostare i decemviri al 451, Alfoldi intorno al 400 a.C.

(qui è chiaramente saltata una lezione, ma tant'è...)

1 commento:

Charlotte ha detto...

lavoro utilissimo!!!! Se posso approfittare ancora un po' posso sapere che tipo di esame fa il Letta?