Storia della Stampa e dell'Editoria
Dall'attività individuale degli amanuensi si passa ad un'articolazione del lavoro di tipo imprenditoriale con la bottega fornita di lavoranti e precise richieste di manoscritti: i cartolarii nelle grandi città universitarie (innanzitutto Bologna e le città inglesi) dal 1000 in poi. Per imprenditoriale si intende promettente finanziariamente: si occupano di libri i mercanti, gli intellettuali, gli insegnanti, gli aristocratici (cfr iscrizione in Santa Croce di Vespasiano da Bisticci, cartolaro)... ci si occupa di manoscritti commerciali, bibbie miniate ecc.
Le teorie sulla nascita
Motivi che rendono utile e necessaria la nascita della stampa:1. Necessità per l'aumentare della domanda, produzione in serie più rapida e meno costosa. (interpretazione classica) Legato all'aumento della qualità della vita e quindi della necessità di avere un'istruzione
2. Necessità filologiche: esigenza dell'umanesimo legata al nuovo sviluppo dell'identità dell'autore del testo, della sacralità del testo (poter commentare, mutare o tagliare a pezzi), della proprietà del testo: con l'umanesimo nasce la necessità di riportare il testo alla volontà originale dell'autore. (interpretazione letteraria)
Nb: il testo stampato è fisso, immobile, stamparlo chiude la possibilità di modificarlo e separa nettamente testo e glosse; nello schermo del computer come nel manoscritto il testo è mutevole, fluido.
3. Necessità dell'alto: istituzioni e poteri (Stati e chiesa) hanno bisogno di mettersi in relazione con i fedeli e i sudditi: la stampa dà questa possibilità immediata. Per esempio Schweynheym e Pannartz nel 1463 fondano la prima tipografia in Italia a Subiaco (grande monastero benedettino ricco di testi) ma falliscono; si spostano quindi a Roma, dove incontrano maggior successo perché il potere ha bisogno di loro per l'informazione e la costruzione del consenso, infatti i primi stampati ad alta diffusione sono avvisi o fogli volanti, fogli per le indulgenze (cfr Martin Lutero); (interpretazione di Petrucci: mentre Febvre e Martin sono entusiasticamente sicuri della positività della cosa, lui è più dubbioso). Nello stato laico, soprattutto se grande e complesso come l'impero i fogli stampati prendono in gran parte il posto dei banditori, diventano importanti anche nei grandi mercati e nelle fiere. Ad ogni modo le prime tirature difficilmente vanno esaurite perché l'organizzazione della produzione dei copisti era talmente elevata da avere copie sufficienti anche senza la stampa: i libri in realtà bastavano! Inoltre l'avvento della stampa non cancella la produzione e la vendita di manoscritti: fino all'ottocento resiste la produzione in serie dei manoscritti con il loro mercato particolare.
La nascita del libro (L'apparition du livre)
1. La Storia del Libro: da interesse di bibliofili ed eruditi diventa mezzo per lo studio culturale e intellettuale2. Bibliologia: in Italia un panorama desolante. Il libro arriva in Italia nel 1976 (18 anni dopo la prima edizione) grazie a Petrucci, dopo questa data si comincia a parlare di libro e stampe come parte di un processo sociale complesso ed articolato. Sconcerto per l'allargamento di orizzonte dei bibliotecari: da esterna e descrittiva a interna e storica, perfino retorico-letteraria
3. Ideologia e Metodo: positivismo bibliofilo di Febvre e Martin, che considerano il libro (oggetto, valore, testo) come un fattore indifferenziato dal tempo, dalla società, dalla funzione e dalla fruizione – sottilmente mistificante, in realtà è oggetto del dominio dell'uomo sull'uomo
4. Dal Manoscritto alla Stampa:
a) passaggio che investe la produzione, non il prodotto perché i manoscritti sono sempre fonte del testo e della forma
b) i lettori di professione (università, scienziati, umanisti) erano soddisfatti dalla produzione 'industriale' nella forma dei cartolarii con la tecnica a foglio intero
c) i lettori borghesi sarebbero stati soddisfatti ancora per secoli dalla produzione manoscritta
⇒ non sono esigenze di pubblico – piuttosto si tratta di esigenze di pubblicità, comunicazione e prodotti non librari da parte di istituzioni pubbliche, religiose o laiche,
i prototipografi si rivolgono ad un pubblico tradizionale in forme tradizionali (abbreviazioni, lettere gotiche, 2 colonne fitte...)
5. Libro e Potere: piccole officine tipografiche nomadi in cerca di capitali si spostano dal 1475 verso i grandi centri urbani e si trasformano in ditte organizzate e fornite di capitali + collegamento col settore pubblico in ragione di dipendenza e subalternità: committenza: finanziamenti: controllo; la stampa è strumento di potere e del potere
6. in Italia:
a) Firenze: libro popolare e di devozione a larga diffusione ( alfabetizzazione diffusa, religiosità savonaroliana, tradizione manoscritta volgare e popolare) ma senza margini, incisioni xilografiche, poche pagine, formato ridotto
b) Napoli: libro di lusso manoscritto (corte aragonese) Giovanni Maria Cinico, Mattia Moravo, Francesco del Tuppo → influenze oltremontane + sintesi autonoma + pop - ma per quale pubblico?
c) Roma: produzione variegata ma destinata ai turisti di passaggio, non al popolo (semicolto), infatti difficilmente in volgare
7. Didattica e Apprendimento: fino a quel momento quasi esclusivamente orale (tavolette cerate, fogli volanti) ORA diventa scritto e basato sul libro + uniformazione dei processi didattici + possibilità di controllo diretto (es. Gesuiti). Nasce il libretto da mano (Manuzio, Enchiridion), un modo di leggere comodo, disimpegnato tipico del borghese.
Cfr McLuhan: la cultura tipografica e la cultura manoscritta
Appercezione visiva
lettura silenziosa
omogeneizzazione degli schemi mentali
omogeneizzazione degli schemi culturali Appercezione sensitiva
lettura ad alta voce
diversità particolari
8. Cfr controllo e censura controriformistica sulla stampa: blocco delle opere protestanti
Nb: Quando si parla di mondo ci si riferisce al nostro continente perché le cognizioni che abbiamo si riferiscono praticamente solo all'Europa. In Corea già molti secoli prima del 1400 venivano usati caratteri mobili in argilla e probabilmente non c'era stata comunicazione con Gutenberg, per quanto a questo proposito ci siano scarse notizie sull'attività sia di Gutenberg che di altri, in particolare qualcuna di più per il più famoso, che si suppone essere stato il primo; ad ogni modo in Germania la era l'invezione era matura.
Intorno alla metà del XV sec si profila la differenza fra Ars Naturaliter Scribendi e Ars Artificialiter Scribendi, quest'ultima caratterizzata dalla produzione in botteghe artigiane in cui dal '400 al '700 non ci sono grosse modifiche nella modalità di produzione. Cambia con l'applicazione del modo di produzione industriale alla stampa periodica: 1814 esce il giornale Times come informazione popolare, nello stesso periodo un'applicazione importante sono le liste che diffondono i morti napoleonici. In Europa si sviluppano innanzitutto i fogli volanti, poi i libri e infine i giornali, negli USA pochi libri e moltissimi fogli volanti e giornalismo ben prima di un vero sviluppo editoriale librario. Nel primo ottocento (interregno) coesistono il giornale stampato con la macchina a vapore e il libro impresso col torchio. La frattura cmq sta fra la produzione artigianale (Ancien Régime Tipographique [Chartier]) e quella industriale imprenditoriale.
Le funzioni sociali del libro
Editore (ovvero: Il libro: una merce pp.129-154)Il termine deriva da EDO = mangiare oppure mandare fuori, rendere pubblico (cfr giochino di Tommaseo che nel secondo ottocento sottolinea la voracità degli editori che mangiano a spese degli scrittori, tema ricorrente fra gli autori cmq).
Nel Dizionario della lingua italiana pubblicato a Bologna nel 1821 il vocabolo non esiste, neanche EDITOR nel senso latino né in dizionari di lingua latina.
Nel Dizionario di Padova di Carrer viene definito “colui che ha cura di rivedere e dare alle stampe l'opera altrui” => quindi più simile all'editor inglese o revisore
Nel Vocabolario della lingua italiana del 1861 viene definito come “quel tipografo o libraio che stampa o fa stampare a proprie spese le opere altrui”.
La differenza sta proprio nel “a proprie spese”: l'editore è in sostanza il finanziatore.
In vocabolari recenti cfr: DeMauro “imprenditore, società o ente che pubblica libri, giornali, musicassette, videocassette e sim., o che produce informazione attraverso testate giornalistiche televisive; agg.: che svolge attività editoriale”
su google “la società o persona responsabile della pubblicazione di un libro o documento bibliografico in quanto finanziatore => diverso dall'editor anglosassone
cfr anche www.aie.it = Associazione Italiana Editori, che ne dà una definizione per negazione.
Il prezzo di costo
Nella fase manoscritta i costi di produzione derivano da: copista, carta, stilo, inchiostro; un processo molto costoso soprattutto all’inizio.
Con l’invenzione della stampa i costi si abbassano ma è ancora una faccenda piuttosto dispendiosa:
il TORCHIO era forse quello che incideva meno: valeva pressoché quanto un set di caratteri nuovi, e per di più i torchi si potevano affittare per somme relativamente modeste;
la CARTA costa moltissimo (51% del totale o addirittura di più, con una proporzione stabile fino al ‘700): viene prodotta dagli stracci ma quella da stampa deve essere raffinata => con solo stracci di cotone bianco lavorati con acqua dolce depurata dal calcare; inoltre il torchio “mangia la carta”.
i CARATTERI MOBILI (prima: libretti xilografici) sono prodotti colando in una matrice del piombo fuso con leghe varie ma avevano una serie di problemi: se provenienti da artigiani diversi potevano risultare diversi, inoltre si usuravano con una certa facilità e andavano rinnovati spesso. Inoltre per parecchio tempo vennero prodotti quasi esclusivamente in Germania quindi c'erano anche tutti i costi dovuti a dazi e trasporti.
gli OPERAI STAMPATORI non erano facili da trovare sul mercato, eccetto chiaramente i torcolieri, responsabili solo di azioni manuali. (cfr)
Una volta radunato il materiale servivano però ingenti capitali perché produrre e smerciare regolarmente libri era un'attività che restituiva lentamente gli investimenti (spedizioni in giro per l'Europa ma anche ASSORBIMENTO locale LENTO) e il magazzino (vera ricchezza di un editore) era costoso, inoltre l'editore tolti salari dei lavoranti aveva pochissimo margine per sé e per altri investimenti.
Ecco perché gli editori puntarono sempre a opere di sicuro smercio e tentarono di portare avanti più di un testo per volta, per recuperare qui quello che perdevano là.
Il finanziamento
Per tutti questi motivi c'era bisogno di un finanziatore capace di stanziamenti consistenti: nel 400 gli stampatori impegnavano il loro materiale, col rischio di perdere tutto o dover scappare lasciando debiti; nel 500 giravano di città in città, sperando di trovare un capitalista che investisse su di loro; nel 600 vivono alla giornata e sono ridotti in miseria dai sussulti del mercato.
Generalmente l’editore era un libraio stampatore: fino alla metà dell'ottocento resiste il modello tradizionale della bottega artigiana con una vetrina e la bottega, nel retrobottega al massimo tre torchi e qualche operaio quando non è il libraio stesso a imprimere le pagine. Raramente si trovano imprese che riproducono questo modello in scala più ampia: i Remondini di Bassano del Grappa possedevano una cartiera, torchi e una libreria – un ciclo integrale di questo tipo permetteva un abbattimento dei costi notevole, infatti la ditta sopravvisse con alterne vicende per duecento anni: dalla prima stampa nel 1661 alla cessazione attività nel 1861.
A volte il finanziatore era esterno alla bottega artigiana, in generale è facile che istituzioni laiche o religiose diventino finanziatrici, a volte come committenti, a volte solo interessati al soldo:
es. il finanziatore di Gutenberg era il banchiere Füst
Es: Hagenau. Cittadina situata fra Strasburgo e Basilea, non lontana da Norimberga e Francoforte era città di tappa, quindi di passaggio per i tipografi, non distante dalle cartiere francesi e dai mercati che rappresentavano le grandi città; c'è anche una discreta quantità di mano d'opera a buon mercato. Ma l'unico stampatore che riesce a fare fortuna è quello (Gran) che trova un finanziatore stabile (Rynman) con cui si accorda sulla carta, sui caratteri e sul formato, che si accolla i rischi e gli fa ordini; ben presto Gran riceve commesse anche da altri librai e mette in piedi un'officina dalle metodologie industriali, i tipografi affollano la città che diventa un centro importante.
Es: Lione, già grande centro commerciale (e finanziario), sede di fiere frequentate 4 volte l'anno. È anche centro intellettuale grazie alla presenza di un ceto dirigenziale colto (la famiglia dei Borbone e in particolare il reggente dell'arcivescovo decenne, più tardi l'arcivescovo stesso) e di una colta. Nella città cresce l'impresa di Barthélemy Buyer, figlio di un ricco commerciante con la passione per la cultura che accoglie in casa un tipografo ambulante (Le Roy) e mette su un'officina attivissima che apre succursali in molte città francesi (Avignone, Parigi, Tolosa) con grande fortuna quasi dappertutto.
es. Vérard a Parigi da direttore di un'officina di copia di manoscritti si fa libraio-editore, cambiando in parte clientela ma curando anche edizioni di lusso stampate su pergamena; ha due negozi a Parigi e succursali a Tours e Londra. Cose simili per Koberger di Norimberga.
es. Jean Petit è il prototipo del libraio capitalista: figlio di macellai ma persona colta diventa il libraio degli studenti e diffusore delle idee dell'umanesimo, diventa presto centro di molte iniziative (economiche) a Parigi. È in contatto con uno dei principali tipografi dell'epoca: Josse Bade, del cui lavoro non ha l'esclusiva ma a cui affida le edizioni più importanti. Ha contatti in tutta la Francia fino alla Normandia e in Germania.
es. il papa dopo il fallimento di Subiaco era il finanziatore ufficiale di Schweinheim e Pannartz
Dall'inizio del cinquecento i grossi editori-librai perdono l'abitudine di prendersi i tipografi in casa e preferiscono rivolgersi a quelli già insediati sul territorio, senza esigere il monopolio del loro lavoro ma procurando solo per se stessi alcune serie di caratteri, lettere ornate o illustrazioni che distingueranno il lavoro da loro commissionato.
I grandi librai cercano sempre di aprire grandi tipografie, in cui il lavoro è diviso in modo razionale e senza dispersione di forze, per guadagnare in costo e qualità del libro.
es. Torresano a Venezia affida la direzione della sua officina a un povero dotto: Aldo Manuzio, che la trasforma nel più grande centro di produzione culturale dell'umanesimo. Quando Manuzio si trasferisce da Bassano infatti ne sposa la figlia e lo convince a INVESTIRE finanziariamente sul suo progetto (salvare ripubblicandole le opere della tradizione greca); dopo una grande fioritura nel cinquecento nel ‘600 decade e rinasce nel 1700 grazie ai finanziamenti aristocratici per i messali rossi e neri da vendere in Spagna.
es. Christophe Plantin ad Anversa nasce privo di beni propri e comincia a lavorare in tipografie. Quindi si stabilisce ad Anversa, intuendo la ricchezza del mercato e vivacchia fino a trovare dei finanziatori che lo lanciano: sale fino al segretario di Filippo II, che gli finanzia la bibbia poliglotta grazie alla quale si fa un nome e gli viene affidato il privilegio delle opere liturgiche per la Spagna (= monopolio + forma particolare di finanziamento: naturalmente questo pesa negativamente sull'industria editoriale spagnola). Nasce così la più grande manifattura di libri fino all'800.
es. la famiglia Giunta. Per eredità familiare nipoti, cognati e fratelli si occupano di smercio (e stampa) di libri in tutta Europa, in modi di volta in volta diversi.
es. alla metà del '700 il regno borbonico (Carlo III) fa pubblicare a buona tiratura le Antichità di Ercolano a scopi celebrativi e di lustro
es. ancora: durante il fascismo (1938) il libro unico per le elementari viene affidato ad un unico editore
es. il finanziatore può essere una società, come la Società Palatina (società di intellettuali che si auto finanziano) si occupa dell'edizione delle opere di Muratori.
Bisogna ricordare che oltre a questi grandi capitalisti la maggior parte del mercato era gestita da piccoli artigiani, magari riuniti in associazioni temporanee, in piccole società costituite appositamente per certe edizioni e simili. È piuttosto raro che un libraio-editore prenda su di sé anche il rischio della tipografia, è più comodo demandarla ad altri.
Di solito i grandi librai sono i banchieri e le librerie commissionarie di quelli più piccoli, in base al sistema delle lettere di cambio triangolari.
Non bisogna neanche dimenticare l'importanza che ebbero le istituzioni sia religiose che laiche come finanziatori di tipografi e editori grandi e piccoli, per opere singole o in base al sistema dei privilegi.
Nell'editoria contemporanea si registra una disfunzione (EDITORIA ASSISTITA) fra piccoli e medi editori: in Italia la maggior parte di loro non sono editori perché non si assumono alcun rischio editoriale ma vengono pagati dai singoli o dall'università o da istituzioni locali (province, comuni, circoscrizioni...): sono praticamente sol prestatori di marchio; anche la collana Lorenzo Valla, per dire, edita da Mondadori, è completamente finanziata dallo stato.
Autore
La rivendicazione degli utili sulla stampa delle opere dell'ingegno degli autori non era immaginabile prima dell'invenzione della stampa: ognuno era libero di copiare i manoscritti e sarebbe stato folle immaginare il contrario. Anche all'inizio della stampa lo stampatore non aveva il monopolio sulle opere che pubblicava e se lo scrittore non poteva provvedere a se stesso da solo ricorreva agli aiuti dei mecenati, facendosi riservare al momento della stampa, un certo numero di copie da mandare in dono a signori dotti con dediche lusinghiere in cambio (non richiesto ma atteso) di doni in denaro o in natura. Con il passare del tempo, però, il mercato delle edizioni dei classici si esaurisce e si moltiplicano le contraffazioni. Gli autori vivono di composizione nelle case editrici che li pubblicano o del tradizionale mecenatismo: fino al seicento è ritenuto poco onorevole vendere l'opera del proprio ingegno, ma poi dall'omaggio di alcune copie a piccoli doni si passa, con il XVII secolo a un vero e proprio pagamento in denaro, in alcuni (pochi) casi anche piuttosto ingente: il più delle volte gli autori vivono della vendita di prefazioni, del mecenatismo dei signori.
Con il settecento cambiano ancora le cose quando gli autori vedono gli editori arricchirsi su libri che avevano pagato una tantum e da cui non ricevono più nulla mentre quelli si vedono rinnovare il privilegio di stampa in continuazione. Allora gli autori cominciano a farsi stampare le opere per conto proprio, suscitando ovviamente le ire degli editori, che ostacolavano con ogni mezzo lo smercio di opere pubblicate per conto dell'autore. Eppure, sotto il peso dell'opinione pubblica, questo sistema stava diventando generale in Francia, mentre in Germania nascevano delle cooperative di scrittori.
In Inghilterra invece a partire dal 1710 la regina Anna riconobbe un diritto che era stato di fatto si dice fin dal seicento: il copyright del testo all'autore, l'esclusiva della stampa e della vendita per 14 anni rinnovabile ad altri 14 se è ancora vivo. Durante il secolo XVIII i prezzi aumentano e gli scontri fra librai ed editori finiscono sempre più spesso nei tribunali, difesi ad alterne vicende dalla corona.
Con un decreto del 30 luglio 1778 gli autori godono di privilegi illimitati, gli editori di privilegi temporanei (10 anni) non rinnovabili se non con l'aumento di un quarto. Nel 1793 la tutela giuridica acquisisce la figura attuale, in cui si parla effettivamente di proprietà che si può cedere in parte o del tutto e che continua dopo la morte in favore degli eredi per dieci anni.
Il mestiere dell'autore non garantisce sempre una sopravvivenza agiata, anzi da allora è il mercato a decidere chi arricchire e si va inesorabilmente verso un decadimento della qualità a vantaggio della quantità di pubblico e quindi dell'opera .
Il problema della tutela della proprietà intellettuale trova inoltre ostacolo nella reciprocità necessaria fra stato e stato per evitare complicazioni sia sul piano economico che intellettuale.
es. in Italia il diritto d'autore esisteva in tutti gli stati preunitari ma c'era reciprocità solo fra il Granducato di Toscana e lo Stato di Milano, nel regno borbonico vengono prodotte stampe pirata che danneggiano editori e autori settentrionali. Nel 1861 la legislazione viene unificata e si risolve il problema. Nascono le associazioni degli autori e degli editori e quindi la SIAE, libera associazione fondata il 23 aprile 1982 che riunisce gli autori italiani e da subito si definisce società per la tutela della proprietà intellettuale ed artistica.
Questione della Convenzione Internazionale: l'Italia aderisce subito alla convenzione di Berna (1886), che la unisce a Germania, Belgio, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Haiti, Liberia, Svizzera, Tunisi (USA alla fine degli anni '90) nella spartizione e nella tutela dei diritti degli autori e degli editori. Segue immediatamente la rivoluzione industriale e viene applicato anche alla stampa in serie. Diventa un'unione per la protezione dei diritti degli autori, che godono in tutti i paesi dei diritti delle loro opere nella misura in cui i vari governi li concedono ai loro stessi cittadini. Normativa unica per tutti i prodotti dell'ingegno.
In Italia è vigente ancora la legge del 1941 e il problema non è rilevante solo per il settore librario. Il diritto d'autore vale per la durata della vita dell'autore più 70 anni, esclusi gli accordi e le scritture private fra autori e case editrici.
Si riesce a vivere della professione intellettuale solo essendo presenti sul circuito mediatico. Il mercato librario italiano è esiguo e coincide con il mercato dello stato italiano, per altro affetto da analfabetismo di ritorno.
Stampatore
Termine d'antico regime, ora tipografo o proprietario di uno stabilimento tipografico; stampatore per conto proprio o per conto di terzi, può essere l'editore o lavorare finanziato da altri. Fin dai primi anni le officine si caratterizzarono per efficienza e razionalizzazione dei sistemi di produzione, seppure gli operai stampatori sono sempre considerati lavoratori manuali. Sono comunque lavoratori sui generis a metà fra operai e intellettuali, infatti i primi sindacalisti e socialisti nascono nell'ambiente del libro
Competenze in bottega: usare il torchio, i caratteri ecc. Lo stampatore sovrintende e organizza: es. Manuzio conosceva latino, greco ed ebraico per correggere le bozze.
Inizialmente escono molti testi inaccettabili perché stravolti da stampatori ignoranti o inesperti, mentre la stampa dovrebbe essere garanzia di assenza di manomissioni errori ecc. Nascono allora le corporazioni che stabiliscono le regole per accedere al mestiere, i requisiti: es. un tot (6-8) anni di tirocinio presso botteghe già avviate, conoscenze specialistiche in ambito tecnico o intellettuale (greco, latino...). La prima corporazione è quella di Venezia (1548: l'Arte della Stampa, che dura fino al '700), nel 1557 nasce la corporazione di Londra, nel 1570 quella di Parigi, nel 1608 a Roma (insieme di stampatori e librai). Limitare l'accesso alla professione è utile soprattutto in momenti di crisi, è utile anche in caso di discussioni con le controparti come lo stato e le fratellanze operaie/sindacati (il primo sciopero presso Plantin nella seconda metà del 500, aveva un centinaio di operai) e serve a regolare il numero di apprendisti/operai non pagati.
I lavoranti (pp. 156-166)
Si diventa apprendisti dai 12 ai 25 anni, in genere fra i 15 e i venti, essendo figli di borghesi o lavoratori di vario genere, più spesso di stampatori. l'apprendistato dura dai due ai cinque anni, in cui si è incaricati di svolgere tutte le mansioni spicciole e minori dell'officina, spesso mal visti dagli altri lavoranti perché gli apprendisti, costando poco (vitto, alloggio, vestiti e pochi spiccioli) venivano assunti al posto dei lavoranti veri e propri.
Una volta conquistato il brevetto l'apprendista diventava lavorante e partiva per un lungo viaggio attraverso l'Europa o semplicemente il suo paese, ospite di stampatori per imparare nuove tecniche, spesso sposava la figlia di un maestro ma più facilmente tornava nella sua città d'origine e si faceva assumere in una bottega.
Il proto era il capo officina, guida, controlla e paga il lavoro di torcolieri e compositori, corregge le prime bozze, sorveglia la pulizia dell'officina.
I lavoranti di coscienza sono quelli chiamati per lavori particolarmente delicati
I lavoranti a cottimo sono compositori e torcolieri, poi ci sono i correttori di bozze, a volte studenti, intellettuali, autori, più spesso i maestri o un membro della loro famiglia.
Generalmente i lavoranti sono divisi in squadre, ma queste differenziazioni e divisioni ci sono solo nelle officine più grandi e organizzate, le più rare – nelle officine più diffuse non c'erano più di un paio di lavoranti e per grossi lavori aiutavano anche la moglie e i figli del maestro.
La giornata del lavorante era molto dura: 10-12 ore di lavoro al lume di candela in officine semi-interrate, con obiettivi di rendimento altissimi e d'altra parte la paga non era necessariamente maggiore rispetto a quella di operai non specializzati e mansioni non intellettuali, talvolta addirittura minore.
Inoltre gli operai vivevano una situazione estremamente precaria: in momenti di scarso lavoro potevano venir licenziati e ridotti in miseria – in officine che vivevano delle pubblicazioni dei tribunali la chiusura stagionale provocava disoccupazione stagionale. Per questo spesso i lavoranti si davano al traffico illecito di libri o al commercio sottobanco dei libri del proprio maestro.
Le lunghe ore passate insieme, i disagi sopportati fanno dei lavoranti stampatori una classe coesa, orgogliosa della sua condizione e del suo status, pronta a creare fratellanze cittadine o d'officina spesso mal viste e ostacolate dai maestri, radice delle future associazioni e sindacati. Spesso deve intervenire lo stato a sedare le rivolte, in modo particolarmente evidente e precoce alla metà del XVI secolo, quando l'innalzamento dei prezzi abbassa il valore reale degli stipendi dei lavoranti che scioperano – assecondati più spesso da tribunali e comuni svizzeri piuttosto che dalla corona francese, sempre piuttosto dura e dalla parte dei maestri.
Le lotte ottengono alcuni miglioramenti della vita dei lavoranti, nel tempo soprattutto rispetto alle condizioni di altri operai del tempo, ma restano misere e poche le possibilità di migliorare la propria posizione.
Maestri: stampatori e librai (pp. 166-198)
Non tutti i librai avevano un'officina, anzi quasi nessuno, ma la maggior parte dei tipografi teneva bottega di libraio e i maggiori reinvestivano gli utili nella pubblicazione di libri.
Il maestro di stamperia si deve fare carico di molto lavoro: devono sorvegliare tutte le fasi della produzione (soprattutto la correzione delle bozze), occuparsi della bottega ed eventualmente cercare lavoro dagli editori per ampliare la propria attività.
D'altra parte il libraio, soprattutto se è anche un editore deve scegliere i testi da pubblicare, mantenere i rapporti con gli autori, procurarsi la carta, fornirsi di stampatori e controllare il loro lavoro, preparare la vendita delle nuove opere e controllare che il negozio sia fornito. Deve anche, ed è suo compito principale, mantenere le relazioni con i corrispondenti esteri e di altre città, sia attraverso decine di lettere che con viaggi, in cui spesso è sostituito da segretari o parenti stretti.
La necessità di riunirsi in corporazioni è spontanea anche nei maestri (editori, stampatori, librai), all'inizio solo per celebrare messe, scambiarsi informazioni, concordare uscite di libri e aiuti per i compagni finiti in miseria, poi, con il diminuire della ricchezza, per difendersi dalle richieste dei lavoranti e operai e dalla concorrenza di altri stati e città; le corporazioni si formano in tutti i paesi eccetto l'Olanda. Gli stati incentivano la nascita di associazioni e corporazioni per meglio controllare le pubblicazioni, e spesso mettono becco nella nomina di sindaci e assessori. In genere i lavoratori del libro costituiscono un piccolo mondo chiuso, all'interno del quale si nasce e si cresce (o si decresce, economicamente), all'interno del quale ci si sposa e da cui difficilmente ci si allontana, per prestigio soprattutto: librai e stampatori sfilano nelle processioni subito dopo i professori universitari, si imparentano con gioiellieri, possono aspirare ad acquistare titoli nobiliari, a diventare grandi imprenditori.
STAMPATORI UMANISTI
È pratica comune che in momenti di particolare fermento ideologico gli scrittori si avvicinino tanto alla pratica dell'edizione del libro per sorvegliarne la resa grafica e il rispetto della lettera del testo, ma in modo particolare questo avvenne durante l'umanesimo, quando molti studiosi e scrittori si avvicinarono agli editori proponendosi come correttori, alcuni addirittura diventando in proprio librai ed editori.
AMERBACH lavorava a Basilea, con l'ambizione di offrire al pubblico cristiano l'edizione corretta delle opere dei padri della chiesa.
ALDO MANUZIO dopo aver molto viaggiato si stabilisce a Venezia, dove gli si raduna attorno un circolo di umanisti (Ercole Strozzi, Pico della Mirandola, Poliziano, Erasmo, Emanuele Adramyttenos) da cui escono molte delle editio princeps del quattrocento, compresi molti classici greci grazie ai profughi cretesi e perfino molte edizioni di umanisti del suo tempo. Nel 1502 fonda l'Accademia Aldina, in cui ci si riunisce una volta a settimana per decidere chi stampare e quali manoscritti; anche qui partecipano molti grandi umanisti (Bembo, Alberto Pio, Erasmo).
JOSSE BADE lavora a Lione con un importante editore e alla sua morte si trasferisce a Parigi, dove diventa anche lui centro di riunioni di grandi umanisti (Budé, Beato Renano, du Bois ecc) che segnalano i manoscritti migliori ecc. In questo modo si formano le grandi edizioni e le grandi case editrici.
Sorvegliare il buon andamento di un'officina tipografica è un lavoro sfibrante, a cui questi stampatori umanisti poterono attendere sacrificando loro studi particolari.
SÉBASTIEN GRYPHE anche lui lavora a Lione, anche lui si occupa di classici greci e latini, di pubblicare e diffondere gli scritti degli umanisti (Erasmo, Rabelais, Alciato...) ma è anche un grande imprenditore: fornisce i libri scolastici a mezza Europa.
A volte le pubblicazioni di libri scandalosi o eretici sono spinte dal desiderio di vendere molte copie, ma spesso è anche amore del sapere (es. Setzer pubblica gli scritti di Miguel Serveto), ma si corrono grossi rischi e gli inquisitori sono implacabili. In tempi di sussulti religiosi editori come Plantin sono costretti a conversioni e riconversioni e alcuni finiscono addirittura sul rogo. È il caso di Etienne Dolet che, dopo aver girato mezza Europa per i suoi modi “bruschi” e aver scampato la forca più di una volta, finisce sul rogo a causa dell'edizione di alcuni libri liturgici cattolici in terra protestante.
SECOLO XVII
A partire dall'inizio del 1500 il mercato editoriale attraversa una crisi dovuta sia a motivazioni macro-economiche sia alla saturazione del mercato che inaspriscono le condizioni di maestri e lavoranti, provocano scioperi e difficoltà di vario genere; nascono corporazioni, vengono pubblicate solo le opere di sicuro e ampio smercio. I nuovi editori sono mercanti (poche figure che si stagliano sullo sfondo ignorante: VITRÉ, MARTIN, PALLIOT, BLAEU) asserviti alla politica dei Gesuiti, bottegai pochissimo istruiti con nessun legame con gli autori – i quali, a loro volta, non si riuniscono più attorno all'editore ma in salotti, accademie, biblioteche. Solo gli eruditi conservano rapporti stretti con stampatori e librai per le edizioni particolarmente difficili.
I mestieri del libro sono irretiti da regolamenti sempre più precisi, sorvegliati dalla chiesa e da innumerevoli giurisdizioni laiche, ma le condanne sono in genere miti con gli editori e i librai, terribili con gli autori. Maggiori rischi anche per gli stampatori non protetti dalle consorterie, quelli che vivono alla giornata di pamphlet e contraffazioni.
LIBRAI FILOSOFI
Con il settecento la situazione cambia: divampano di nuovo le lotte religiose e ideologiche, la letteratura polemica, i giornali: nasce la figura dello stampatore giornalista come Pierre Rousseau, editore degli enciclopedisti prima a Liegi, poi a Bouillon, dove, insieme a Weissenbruch, stampa il Journal encyclopédique e in seguito con la Société typographique pubblica Voltaire, La Fontaine, Diderot, Helvétius, Mirabeau, Rousseau ecc.
Questa è quindi la figura del nuovo secolo: un libraio filosofo attento conoscitore delle cose nuove, uomo di gusto che stampa per convizione e anche per interesse. Altro esempio è Le Breton, editore che ebbe una parte essenziale nella formazione dell'Encyclopédie, o i fratelli Cramer, anche loro ricchi ma impegnati nella diffusione delle nuove idee.
In questo momento nascono anche, ad opera di grandi stampatori, innovazioni tecnologiche che migliorino l'estetica del libro: Baskerville incide i suoi sempiterni caratteri e inventa la carta velina, Bodoni a Roma e i Didot a Parigi danno il loro nome a nuovi tipi di caratteri.
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