venerdì 19 settembre 2008

Storia Romana 1: Le istituzioni repubblicane (Letta)

Istituzioni repubblicane (dalla fine del IV sec a.C.)
Magistrature gerarchiche, specializzate, elettive, collegiali e annuali.
Dittatura
Magistratura regolare ma eccezionale per la limitazione temporale (non più di 6 mesi e contratto a progetto) e per la soppressione della collegialità: eletto dai consoli governa da solo, assistito da un cavaliere per le faccende militari e circondato da 24 littori. Cumula l'imperium dei due consoli e non è sottomesso all'intercessione del tribuno.
Interré
Scelto dal Senato per convocare nuove elezioni dei consoli se ne muore uno e prendere gli auspici.
Cursus Honorum dei Senatori
Nel 342 a.C. vengono date le prime regole con dei plebisciti: era vietato accumulare 2 (o più) magistrature nello stesso anno; obbligo di far passare 10 anni per iterare una carica
III sec. Vietato candidarsi per una magistratura mentre se ne rivestiva un'altra quindi bisognava far passare un anno fra una carica e l'altra
196 a.C. clausola: i soli plebei devono raddoppiare l'intervallo fra una magistratura e l'altra.

I magistrati CURULI (cum imperium1: consoli e pretori) sono eletti dai comizi centuriati, mentre i magistrati minori sono eletti dai comizi tributi.
1° fase: 180 a.C.: lex Villia Annalis
È la prima legge organica: stabilisce gli anni dell'età minima per rivestire le magistrature e gli anni di intervallo (2) eliminando le differenze fra patrizi e plebei (Livio). Stabilisce un ordine obbligato per le cariche con età minima per ciascuna (Polibio).
Queste norme furono largamente disattese dall'età dei Gracchi (133-I sec a.C.)2 per l'instabilità politica e la litigiosità esplosiva.
1. Contubernium
Un giovane di famiglia già ricca e senatoria comincia la carriera a 16 anni con il servizio militare senza responsabilità, da osservatore e accompagnatore di un alto ufficiale (divisione della tenda).
2. Tribunus militum
21 anni: per 5 anni diventa uno dei 6 alti ufficiali in ciascuna legione (5-6000 uomini). Per tradizione greca è il χιλιαρχον, comandante di 1000 uomini.
3. Vigintisex virato
26 anni entravano in un collegio di 26 magistrati divisi in sotto-collegi di specifica competenza:
Decemviri stilitibus iudicandis
Tribunale dei centumviri per controversie giudiziarie d'eredità
Tresviri capitales
Addetti alle sentenze capitali e alle carceri
Tresviri o triumviri monetales
Curatori della zecca, scelgono i tipi di moneta
Quattuorviri viarum curandarum
Curano le strade urbane
Duoviri viis extra urbem purgandis
Addetti alla manutenzione delle strade extraurbane e dei ponti
Quattuorviri iure dicundo Capuam Cumamque
Addetti ad amministrare la giustizia a Capua e Cuma
4. Questore
27 anni prima magistratura importante che può dare l'accesso al senato. Manca l'atto formale ma la prassi era di inserirli al primo censimento utile dei senatori.
Erano 8, nascono come addetti all'aerarium (2) ma poi si aggiungono anche i portavoce dei consoli presso il senato(2), gli addetti (4) ad amministrare le finanze delle province (Sicilia e Sardegna).
5. Pretore
30 anni Addetti ad amministrare la giustizia: Pretore è lo stesso nome che anticamente aveano i consoli (prae itor), poi la funzione giudiziaria dei consoli va ai pretori.
Nel 242 a.C. si distinguono in 1 urbanus (cittadini romani) e 1 peregrinus (per cause che coinvolgessero cittadini stranieri dal), 4 addetti alle province: in presenza di un console gli è subordinato, altrimenti governa l'esercito autonomamente. In età imperiale aumentano di numero per l'aumentare delle province e si specializzano per reati particolari ecc.
Oppure: Edilità plebea Oppure: Tribunato della plebe
Cariche riservate ai plebei.

L'edilità inizialmente era una carica solo plebea, poi vengono eletti edili curuli (prima patrizi poi anche plebei). Non hanno imperium, si occupano dell'approvvigionamento della città, della polizia nei mercati, del mantenimento dell'ordine pubblico e dell'organizzazione dei giochi pubblici.
Inizialmente avevano come competenza la custodia dei templi di Cerere, Libero e Libera (aedilis da aedes = tempio);

Assemblee popolari

Radunano tutto il populus, ovvero tutti gli uomini liberi adulti, sia ingenui che liberti.
Assemblea curiata (Comitia curiata)
Si riunisce solo per atti formali come votare la lex de imperio dei magistrati; successivamente le curie sono sostituite da 30 littori.
Assemblea centuriata (Comitia centuriata)
Popolo diviso in 5 classi e 193 centurie, ciascuna un'unità di voto.
1° 98 centurie dei cittadini più ricchi e giù a scendere. Dopo una prima fase in cui la prerogativa (votare per primi) era dei cavalieri, poi diventa della prima classe; siccome ottenuta la maggioranza si smette di votare la terza classe votava solo in casi eccezionali.
Eleggono i magistrati curuli, i capi militari, i censori; votano le leggi costituzionali e dichiarano guerra ecc.
Assemblea tributa (Comitia tributa)
Convocata da un magistrato con imperium. Formata nel 312 da Appio Claudio Cieco, rappresenta il popolo diviso in tribù personali: elegge magistrati inferiori e vota i plebisciti.
Concilium plebis
Convocata da un tribuno si esprime in plebisciti.
Senato
Composto di 300 membri, tutti ex magistrati, prima solo censori, consoli e pretori poi anche edili curuli e tribuni della plebe. Convocato da un magistrato superiore, dà il suo parere su qualsiasi questione. Il primo a parlare è il princeps senatus, patrizio e censore, poi gli altri in ordine di carica. Espresso il parere, si vota un senatusconsultum che vincola i magistrati perché esprime autorità suprema (auctoritas).
Trasforma i plebisciti in leggi, controlla l'attività dei magistrati, controlla le finanze, gli affari internazionali, l'amministrazione generale e la giustizia.
La sua composizione cambia col passare del tempo. Prima solo romana, poi acquista elementi dalla Campania, dalle colonie, dall'Italia e infine dalle province.

Storia Romana 1: Sistema onomastico e Vita municipale

Sistema onomastico
La forma si generalizza dall’inizio dell’età imperiale.
Caius Iulius Luci filius Caesar; Lucius Cornelius Publi Geni Filius Scipio Africanus
Praenomen
Nome personale. Sono pochi e ripetitivi (Lucio, Marco, Gaio…) per questo abbreviati.
A Aulus
Ap Appius
C Gaius
Cn Gneus
D Decimus
L Lucius
M Marcus
M' Manius
N Numerius
P Publius
Q Quintus
Ser Servius
Sex Sextius
S(p) Spurius
Ti Tiberius
T Titus
Nomen Gentilicum
Ovvero il nome della gens; si costruisce aggiungendo -anus:
1.gentilizio dalla madre: il figlio di Catone e una Licinia sarà M. Porcio Cato Licinianus
2.per adozione: P. Cornelius Scipio Aemilianus
3.in seguito si usano due cognomina, sia quello del padre che quello della mdre (sia quello della famiglia originaria che quello dell'adozione)
A partire dal I-II d.C. troviamo i poliomini, forme onomastiche complesse.
Dall'editto di Caracalla (212 d.C.) si disgrega il sistema onomastico: un gran numero di nuovi cittadini assume il gentilizio dell'imperatore (Aurelio), che quindi col tempo si perde, poi man mano gli altri elementi fino ad arrivare al solo nome + eventualmente un soprannome.
Filiazione
F(ilius), N(epos), PRON(epos), ABN(epos).
Tribù
La circoscrizione elettorale anagrafica per i diritti civili e politici
Cognomen
Tipicamente è il nome specifico di un ramo o clan familiare es. Gens Cornelia: Cornelii Scipiones, Cornelii Lentuli, Cornelii Sullae. Nella prima metà del V secolo quasi nessuna famiglia aveva il cognomen quindi gli elenchi consolari originari nella parte meno affidabile non ne avevano.
Successivamente l'uso del cognomen si diffonde anche nelle classi non nobiliari per imitazione (dalla dinastia giulio-claudia tutti i cittadini maschi adulti usano anche il cognomen), per esempio i liberti assumevano il nome del padrone e usavano il loro praenomen da schiavo come cognomen; dal II a.C. anche i liberti usano i tria nomina.

Può anche essere il cognomen personale es. Scipione Africano, Scipione asiatico...

Formula onomastica femminile
All'inizio il solo gentilizio al femminile (Calpurnia Cnei filia) poi si aggiungono i cognomina per distinguere le sorelle.

Formula onomastica per i liberti
Praenomen + gentilizio + patronato (sostituisce la filiazione) + cognomen (manca la tribù): Aulus Domitius Auli liberti Pamphilus Servilianus; a volte il doppio nome diventa un doppio cognomen.

Formula onomastica per gli schiavi
Nome unico + nome del padrone al genitivo: Pamphilus Servili M(arci) S(ervus) [formula più arcaica] o Pamphilus Servili. A volte hanno un doppio nome, dopo un passaggio di proprietà.

Formula onomastica imperiale
Gaio Ottavio → Gaius Iulius Caesar Ottavianus (dal 44 a.C.; già prima di essere imperatore si faceva chiamare Iulius e i nemici lo chiamavano Ottavianus).
Nel 27 a.C. il Senato gli attribuisce il cognomen onorifico di Augustus, diventa allora
Imperator (Assunto già dal 29 per concessione del Senato. Da epiteto diventa praenomen)
Caesar (Da cognomen a gentilizio)
Divi Filius (ma manca la tribù)
Augustus (nome personale)

Dopo Augusto Caesar diventa uno pseudo-gentilizio per l'imperatore, usato dopo il praenomen Imperator, Augustus sta ad indicare la tribunicia potestas e l'imperium maius et infinitum. Elemento distintivo diventa il praenomen: Tiberius Claudius Nero : Tiberius Iulius Caesar : Tiberius Caesar Augustus.
Nella denominazione dell'erede designato non c'è Imperator ma prima Caesar: se si trova invece Augustus l'erede ha già la tribunicia potestas e l'imperium proconsulare, quindi è associato al potere con l'imperatore.
Gaio Caesar Augustus Germanicus: cognomen ereditato dal padre Druso Maggiore
Tiberius Claudius Caesar Augustus Germanicus: infatti Claudio non viene adottato dagli Iulii e mantiene la sua familia.
Imperator (dal 66) Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus (adottato da Claudio)

Con Vespasiano si attribuiscono in blocco tutti i poteri dell'imperatore e la formula standard è:
Imperator (Praenomen)
Caesar (Gentilizio)
Vespasianus (nome personale)
Augustus (Aura religiosa dell'imperatore)
Antonino Pio inserisce l'intero nome da privato e aggiunge per decreto degli epiteti elogiativi: Pius (poi Felix e Invictus).

Da Marco Aurelio a Lucio Vero si aggiunge un Maximus prima del cognomen ex virtute.



Vita municipale
Divide veramente, all'altezza del I sec d.C. l'oriente di più antica e profonda urbanizzazione dall'occidente, ancora poco e superficialmente urbanizzato. L'impero è un reticolo di città più che un'unità territoriale stretta.

La vita municipale ha come momenti culmine le elezioni (in cui diversamente da adesso erano gli stessi elettori a spingere per il candidato preferito), la scelta del patrono e l'evergetismo.

Le città occidentali sebbene peregrine assumono spesso le istituzioni romane: populus costituito in una Res Publica ripartito in due curie chiamate comizi. I magistrati sono cittadini liberi di un certo censo di più di 25 anni.
Il cursus municipale
prevede 3 tappe di 2 incarichi ciascuna: 2 questori (finanze), 2 edili, 2 duumviri, che sono la carica più alta e si occupano della giustizia e del censimento; vanno a formare il Senato locale che ha poteri decisionali su molte faccende. In epoca tardo antica queste fasce soffrono molto perché sono responsabili personalmente di un fisco sempre più rapace, quindi strette fra il potere centrale e i concittadini ci rimettono loro oppure scappano.

Le città si dividono in:
Peregrine
Cioè conquistate con tutto il loro territorio, ma mantengono i loro magistrati e le loro leggi.
Stipendiarie
Sottomesse con dovere di versare uno stipendium, ma hanno il loro governo autonomo
Libere
Teoricamente autonome e giuridicamente esterne alle province – in realtà vivono una libertà concessa da Roma spesso senza tributo.
Libere federate
città che hanno stretto un patto paritario con Roma, spesso senza tributo.
Municipi
Città peregrine con diritto romano (praticamente solo quelle italiane) o con diritto latino, in cui le cariche più alte hanno diritto alla cittadinanza romana. Da Claudio in poi non ci sono più municipi con diritto romano, ma solo con diritto latino.
Colonie
Fondazione di città nuove con coloni (deductio) da città o popoli vinti, oppure separazione giuridico-religiosa da una vecchia fondazione. Godono del diritto romano oppure dello Ius Italicum, quindi sono esenti dalla tassa sul suolo.

Storia Romana 1: Dal conflitto patrizi/plebei a Ottaviano Augusto (Letta)

Il conflitto fra patrizi e plebei
Andò avanti fino alla nascita di una nobilitas mista che fonda il dominio mondiale di Roma.
Il dualismo e il conflitto nella tradizione romana si avverte fin dall'inizio della repubblica, e viene trascinato fino al 367 a.C. Livio ne parla già in riferimento al 495.
I patrizi esistevano già da Romolo, ma inizialmente non erano opposti ai plebei, il contrasto viene distorto e reinterpretato in base a esperienze storiche posteriori al periodo dei Gracchi, le cui rivendicazioni e problemi vengono trasposte con evidenti anacronismi, p.e. le questioni territoriali: nel 494 non c'era un gran territorio che i possidenti fondiari potessero occupare a spese dei nullatenenti e dei piccoli proprietari. D'altra parte è difficile ricostruire le vicende in modo più vicino al reale.
Non tutti i plebei erano poveri: alcuni leader, ricchi come i patrizi, aspiravano a partecipare alle cariche pubbliche e volevano renderle accessibili a tutti – comunque sicuramente molti plebei erano poveri!

Fino al 367 (leggi licinie sestie) tutte le cariche politiche importanti e i sacerdozi pubblici sono monopolio dei patrizi. Dopo rimangono prerogative dei soli patrizi:
Flamines sacerdoti addetti al culto di una singola divinità; i più importanti sono i Diales (culto di Giove) poi Martialis, Quirinales e altri minori
Rex sacrificulus o Rex sacrorum (carica derivata da quella del Rex)
Salii che presiedevano al rituale sacro della processione solenne in cui i sacerdoti danzando portavano in giro gli scudi sacri (ancilia) discesi dal cielo come dono di Marte.
Erano i sacerdozi meno importanti dal punto di vista politico, anzi essere flaminio era difficoltoso per la vita politica: devono portare sempre in testa un berretto di lana, non poteva varcare il pomoerium.
Aruspicia: Un'altra esclusiva patrizia era legata all'osservazione del volo degli uccelli: modo rituale di interrogare gli dei sul gradimento/non gradimento per un atto o iniziativa della città o di un magistrato, quindi qualsiasi atto pubblico per poter essere valido o compiuto andava sottoposto e ritenuto favorevole; ovviamente dà un enorme potere politico, su cui i patrizi fondavano la loro esclusiva sull'attività dello stato.
Interregnum: secondo la tradizione in epoca regia quando moriva un re bisognava eleggerne un altro; l'autorità suprema di convocare l'assemblea popolare elettiva era dell'interrex entro 5 giorni in base agli aruspici e degli altri segnali divini convocava i comizi con cui il Senato eleggeva un altro re. La situazione non muta in epoca repubblicana: se morivano entrambi i consoli prima del termine si procedeva con un interre – la formula tecnica nelle fonti è Auspicia ad Patres: gli auspici tornano ai senatori.

Quando nasce il patriziato come casta chiusa?
Secondo la tradizione al tempo dei re. Un primo gruppo sarebbe stato creato da Romolo (Livio, I, 8), che nomina 100 senatori chiamati patres perché sono i capi famiglia dei clan, maiores in questa prima mandata, patres minores invece sono quelli creati da Tarquinio Prisco; i loro discendenti sono detti patricii. Secondo Momigliano la formula Patres Conscripti indicava le gentes maiores (P) + le gentes minores (C), mentre una teoria più recente vuole che i patres siano i primi senatori, mentre i conscripti sono quelli aventi diritto dopo le leggi Liciniae Sestiae1.

Alcuni studiosi (Ogilvie) accettano la tradizione: il monopolio degli auspici era del re, l'unico a poter decidere e chi delegare il potere (prerogativa/privilegio); questo spiegherebbe perché durante la repubblica il patriziato si chiude: viene meno la fonte autorizzata a delegare gli auspici .
In questa teoria ci sono gravi punti deboli: la tradizione racconta che la gens dei Giulio Claudii emigrò a Roma e fu accolta nel 504 a.C., ma furono riconosciuti da subito come patrizi, tanto che di lì a poco rivestirono il consolato e rimasero ai vertici del potere fino all'imperatore Claudio.

Andras ALFOLDI suppose che i primi patrizi fossero la guardia del corpo a cavallo del re di cui parla la tradizione: 300 celeres in 3 squadroni, creati da Romolo per sé e con Tarquinio Prisco diventano 600 nelle 6 centurie che nei comizi centuriati raccolgono i patrizi.

La spiegazione non regge secondo Momigliano perché applica alla Roma arcaica una visione medievale (cavalleria su fanteria) che invece era al contrario alle origini del mondo antico, per esempio anche nella formula del dittatore: Magister Populi (= dell'esercito dei fanti), al cui subordine stava il Magister Equitum.

Allora alcuni storici sostengono che il rapporto fra il re e i patrizi andrebbe invertito: gli auspici sono prerogativa dei Patres dalla fase preurbana; quando nacque la città per aggregazione spontanea l'assemblea dei patres detentori di una parte degli auspici l'avrebbe delegata al re. Da questo nascerebbe la formula “Gli auspici tornano ai Patres”, e per questo all'arrivo della repubblica gli auspici vanno solo ai senatori.

Altri studiosi (Gaetano DE SANCTIS) pensano a una formazione graduale: né regia né preurbana ma derivante dai primi tempi della repubblica con una chiusura graduale, la serrata del patriziato che elabora una giustificazione teorica del diritto esclusivo del Senato di magistrature e sacerdozi. Chiusura completata intorno al 470 a.C. e sancita definitivamente con le XII tavole: divieto scritto di matrimoni misti. Questa usurpazione viene giustificata con un dato di fatto: finora le cose sono andate così e gli dei erano felici, quindi non bisogna cambiare. La plebe nascerebbe come insieme consapevole di questa inferiorità in opposizione al gruppo che si è chiuso.
I clan
L'unico punto certo è il nesso patres/gentes, l'importanza della gens come nucleo/clan familiare compatto.
Nel VII secolo emerge un nuovo sistema onomastico in tutta l'Italia centrale (Etruschi, Latini, Osco-umbri): non solo più nome e filiazione ma anche il nome familiare che rimane di padre in figlio. È la nascita della presenza del clan: sacra gentilicia (culti del clan officiati dal pater familia) e ager gentilicum (proprietà terriera del clan). Probabilmente in una fase arcaica l'esercito era organizzato per clan (cfr la strage dei Fabii).
I Claudii e gli Aurelii arrivano dalla sabina nel IV sec, nello stesso periodo vengono i Decii dalla Campania; i Porcii da Frascati nel III sec.
Come nasce la classe plebea?
Molte discussioni anche su questo: tutti quelli esclusi dal gruppo dirigente patrizio? La teoria più vecchia ci legge delle divisioni etniche, ma è stata rifiutata, mentre secondo la teoria economica si tratta di Artigiani e Commercianti Vs grandi Proprietari terrieri, per altri Poveri Vs Ricchi; ma probabilmente si tratta di una schematizzazione eccessiva.

Secondo Momigliano la contrapposizione fra populus e plebs nasce come contrapposizione fra chi è in grado di fornire uomini per l'esercito e chi no, in base a una struttura originaria per centurie censitarie (Classis).
Questa teoria non può essere accolta perché azzererebbe tutta la lotta fra patrizie e plebei secondo la tradizione, che dice che l'arma del ricatto era proprio la leva: senza i plebei non si va in guerra per difendere o attaccare. Inoltre il tribunus è una carica militare all'inizio, con cui si indicavano i rappresentanti della plebe; anche il giuramento di fedeltà al tribuno era di tipo militare.

Ci furono una serie di secessioni, ribellioni, minacce di separazione.
La prima secessione 494 a.C.
Secondo la tradizione unanime la plebe in quella data esce dal pomerio, si riunisce sul monte Sacro in un concilium plebis eleggendo i propri rappresentanti (tribuni plebis): 2 che diventano 4, poi 5 poi 10 dal 457 fino all'epoca storica.
I tribuni plebis con una lex sacrata (giuramento solenne) diventano inviolabili (sacrosancti) dal punto di vista religioso: chi li danneggia è sacer, quindi sospeso dalle leggi civili e può essere ucciso da chiunque, viene privato delle sue proprietà che vengono accumulate e attribuite al tempio di Cerere, protettrice dei plebei; era l'unico modo per i plebei di far riconoscere di fatto il potere dei tribuni.
I tribuni hanno lo ius auxilii; tentativo di arginare e controllare il potere di coercitio da parte dei magistrati: potevano costringere con la forza ad eseguire gli ordini o le sentenze con incarcerazione, pene corporali fino alla pena di morte. In questo modo i tribuni possono opporsi con una pari possibilità di coercitio: possono a loro volta punire i magistrati che abusano del loro potere.
Sono leggi riconosciute de facto e non de iure, sostenute dalla compattezza della plebe: anche i patrizi che ancora non riconoscono questa legittimità devono comportarsi come se fossero legali, altrimenti sarebbe la guerra civile.

Probabilmente lo scopo della prima secessione era solo questo, di dare garanzie personali ai plebei: costituzione di assemblee, elezione di tribuni dotati di sacrosanctitas.
Secondo la tradizione, invece, già qui ci sarebbero stati altri scopi e obiettivi: partecipazione dei plebei allo sfruttamento delle terre pubbliche conquistate e opposizione alla schiavitù per debiti – ma probabilmente sono proiezioni successive, è improbabile che ci fosse già il problema dei debiti o così tanto ager publicus, erano problemi cogenti all'epoca dei Gracchi.
Secondo la tradizione, inoltre, sarebbero già note le altre magistrature tipiche della plebe, come gli edili. Infatti non tutti gli studiosi concordano su questo punto;
Comunque si tratta di un notevole successo: nonostante non venga riconosciuta la legittimità vengono riconosciute di fatto le assemblee e i tribuni.
La seconda: 471 a.C.
Secondo la tradizione voluta da Publio Numirone?
I concilia plebis diventano assemblee per tribù: prima si vota nelle tribù per maggioranza poi per maggioranza di voti fra tribù; i risultati sono i plebisciti.
Quale valore riconoscere a queste decisioni? Probabilmente già dal 449 viene riconosciuta ufficialmente l'assemblea e la sua autorità, diventa la terza assemblea dello stato dopo i comizi curiati e centuriati: sono i comizi tributi, chiamati dal tribuno della plebe o dal console. Nel primo caso diventano plebisciti, nel secondo diventano leges.
I decemviri: 451-450 a.C.
Fra la prima e la seconda secessione vengono scritte le XII tavole.
Parecchi problemi di tradizione, profondo rimaneggiamento da un nucleo storico effettivo.
Secondo la tradizione il 451 mette fine ai contrasti fra i consoli e i tribuni, che di comune accordo sospendono, entrambi, per un anno le elezioni ed eleggono i decemviri con il compito di scrivere le leggi che regolano la vita dello stato in modo da essere un punto di riferimento stabile. Sarebbe un compromesso per venire incontro alle richieste dei plebei. Allo scadere dell'anno X tavole non sono sufficienti e viene eletto un secondo collegio con lo stesso incarico; la maggioranza era composta da plebei e il personaggio dominante sarebbe stato Appio Claudio, che aspirava a rendere perpetuo il potere dei decemviri strumentalizzando i plebei: i decemviri non erano soggetti a provocatio, quindi erano inappellabili, sarebbe diventata una tirannide. Ovviamente c'è una seconda secessione (provocata dal comportamento odioso di Appio Claudio) che abolisce il decemvirato e pubblica le ultime tavole, nonostante siano contrarie alla plebe, mentre i consoli Valerio e Orazio fanno approvare le leggi Valerie Orazie:
vietano di eleggere cariche senza diritto di provocatio (l'ultima parola spetta alla plebe)
fanno riconoscere de iure la sacrosanctitas dei tribuni
fanno riconoscere il valore dei plebisciti (di fatto dal 287 a.C.: lex Hortensia)

L'episodio di Appio Claudio e Virginia è palesemente inventato, serve a calcare le tinte e dimostrare l'atteggiamento tirannico e ingiusto del personaggio che figura come un capro espiatorio. È improbabile che il secondo collegio decemvirale a maggioranza plebea approvi il divieto di matrimonio misto. In particolare è eccessiva l'opposizione tradizionale fra la saggezza del primo collegio e la follia del secondo sia in Livio che in Dionigi di Alicarnasso.
L'impressione è che ci sia stato un solo collegio, sdoppiato dalla tradizione perché le XII tavole sono considerate un patrimonio della tradizione insostituibile e giusto, ma alcune leggi sono palesemente ingiuste.
Le leggi antiplebee del secondo decemvirato sono in realtà, probabilmente, opera dei consoli patrizi promulgate successivamente come reazione del corpo sociale patrizio, contrario ad Appio Claudio perché si attribuisce un potere personale.

Resta il problema del contenuto delle leggi filoplebee che molti studiosi rifiutano ma che forse invece si possono accettare.
La legge sul riconoscimento dei plebisciti ricorre anche in altri due momenti della tradizione (339 legge di Publilio Sirone e 287 Lex Hortensia, l'unica riconosciuta come storica), quindi risulta fortemente sospetta.
Secondo Stadeley si possono accettare tutte e tre precisandole: nel 449 forse vengono riconosciuti i comizi tributi e le decisioni che prendevano, ratificate solo dopo con la decisione del Senato (anche la tradizione dice questo); nel 339 viene fatta una distinzione fra le delibere: se presa su proposta del console la validità è automatica, se la delibera è proposta dal tribuno deve essere ratificata dal Senato. Il riconoscimento totale arriverebbe solo nel 287.
Quello che è certo è che nel 449 la crisi viene disinnescata da un compromesso.
Inoltre l'istituzione nel 449 dei comizi tributi sembra confermata dal fatto che nel 447 secondo la tradizione fu istituita la magistratura dei questori per custodire l'aerarium e le finanze statali; sempre secondo la tradizione venivano eletti dalle tribù non dai consoli.

Il divieto di matrimonio misto viene revocato già nel 445 a.C. con la lex Canuleia: dal 444 però non vengono più eletti consoli ma tribuni militum consulari potestate, che col tempo diventano 3 poi 4 poi 6 ogni anno: dal 406 vengono eletti 6 tribuni militum e nessun console; naturalmente lo stesso potere diviso per 6 è minore che diviso per due.
Secondo le fonti i patrizi cercavano di arrivare a un compromesso con i plebei rifiutandosi di ammettere i plebei al consolato, quindi creano una magistratura diversa a cui possano accedere anche i plebei, ma che non fosse il consolato. Contemporaneamente viene istituita la censura, rigidamente patrizia, che aveva il controllo del censimento.
Questa versione però non torna, perché solo 20 anni dopo l'istituzione della magistratura si trova il primo tribunum militum plebeo, e in 51 collegi ce ne sono 6 plebei in totale.
Alcuni pensano che questi tribuni fossero eletti per esigenze militari di diversi fronti di guerra aperti – però questo periodo non presenta particolari pericoli militari! Inoltre quando c'era un pericolo veniva nominato il dittatore.
Probabilmente ci sono due motivi concorrenti:
1.necessità di diversificare i compiti civili e militari dei magistrati supremi mantenendone alcuni in città e altri al fronte; una conferma indiretta verrebbe dal fatto che quando il consolato è reintrodotto vengono aggiunti altri magistrati per fare fronte alle diverse esigenze.
2.esigenza politica dei patrizi di controllare i tentativi di superare il sistema oligarchico con un potere tirannico: aumentare il numero dei magistrati supremi permette di dare accesso alla gloria a più membri delle famiglie patrizie e nessuno fra loro vuole emergere con una tirannide. L'ammissione limitata e tardiva sarebbe la misura di successiva controllo per tenere sotto controllo la pressione plebea.
Pacificazione
Tutti gli episodi della storia arcaica sono estremamente problematici, sia definire il fatto in sé che capire il perché sia accaduto.
367 Licinio e Sestio, tribuni della plebe, presentano la famosa rogazione, che però doveva passare per il Senato. Secondo la tradizione c'era una legge che stabiliva il limite massimo per il possesso delle terre pubbliche a 500 iugeri (125 ettari: una discreta quantità)2. Per 10 anni è un continuo tira e molla per l'approvazione e finalmente nel 367 le rogationes, ratificate, diventano leggi: lex de modo agrorum, legge sulla riduzione dei debiti, abolizione del tribunato militare e restauro dei consoli, di cui uno obbligatoriamente patrizio.
Nel 366 ci sarebbe stato il primo console plebeo (Lucio Sestio) e vengono introdotte due magistrature: la pretura (vedi) e l'edilità curule;
gli edili curuli avevano funzioni simili agli edili della plebe (mercato, annona, ludi) ma sono aperti sia a patrizi che a plebei. Al momento dell'istituzione erano posti riservati ai patrizi perché si cerca di garantire una differenziazione delle funzioni e di consolare i patrizi della scomparsa del tribunato militare. Anche le nuove magistrature in pochi anni furono aperte anche ai plebei.

Plebiscito Genucio del 344 consente che entrambi i consoli siano plebei.
326 a.C. abolizione della schiavitù per debiti.

Dal 300 a.C. (Lex Ogulnia) sono aperti anche ai plebei tutti i più importanti collegi sacerdotali: pontefici e auguri soprattutto sono politicamente importanti e prestigiosi; ai patrizi restano i flamini, il rex sacrorum e i Salii.
Poi 287: Lex Hortensia dà lo stesso valore a plebisciti e delibere dei comizi centuriati, cioè chiunque convocasse i comizi se la proposta era stata approvata era valida e vincolante

A questo punto siedono in Senato anche i plebei, in quanto ex magistrati e nasce una nuova nobilitas che in un secolo o poco più assicura la conquista dell'intera penisola e la proiezione mediterranea del potere di Roma operando in modo armonico, senza contrasti. La classe senatoria resta però chiusa fra il 191 e il 107. Dopo questa data siamo già nel momento di crisi delle istituzioni ed entrano in Senato personalità come Mario e Cicerone.


L'imperialismo romano
Roma nasce con velleità regionali e poi diventa la massima potenza d'Italia e quindi la massima e unica del Mediterraneo.
Come abbia fatto a resistere nel tempo? Difficilmente imperi così articolati e ampi resistono così a lungo, similmente solo l'impero cinese. Il problema si era posto già agli antichi.

Il dibattito dall'ottocento si pone in contrapposizioni vivaci.
Primo problema: trovare una definizione univoca di “imperialismo”:
azione espansiva di una struttura statale in modo sistematico, programmatico e consapevole ai danni di altre popolazioni. Cerca di affermare la supremazia e gli interessi su altre comunità con vincoli di subordinazione forte militare, politica ed economica o con il dominio diretto tendenzialmente infinito nello spazio-tempo.

Secondo Mommsen (Storia romana, 1854) l'impero romano è il risultato non voluto di una serie di azioni non legate fra loro, con obiettivi limitati di volta in volta;
anche Gaetano de Sanctis pensa che nasca da un atteggiamento difensivo, di sospetto, di ossessione per la sicurezza.
Al contrario Peter (1850) pensa che le esigenze difensive siano semplici pretesti, ma la classe dirigente romana era ben consapevole di quello a cui puntava.
Mentre inizialmente prevale il giustificazionismo (Mommsen), durante la decolonizzazione dopo la ww2 prevale la teoria di Peter.

Brizzi si oppone alle teorie imperialiste di Zirloskij:
l'ideologia militarista non è esclusivamente romana, in molte civiltà antiche il cittadino è soprattutto il soldato;
inoltre il dominio romano per molto tempo non è stato un dominio di tipo etnico, si può parlare di chiusura etnica dopo la II guerra punica per il risentimento verso i traditori.
Solo dopo la II guerra punica (e prima della conquista della Macedonia cioè 202-168 a.C.), infatti, ci sarebbero le premesse anche ideologiche per parlare di imperialismo, in particolare con la creazione delle province di Macedonia (147 a.C.) e d'Africa (146 a.C.). In questo caso funzionerebbe anche la tesi Mommsen-De Sanctis per la sindrome di paura da Annibale. Dopo la II guerra punica cambia l'atteggiamento verso gli alleati, diventa più duro e diffidente.



Il passaggio fra la repubblica e l'impero
La debolezza strutturale dello stato e della società romana si fanno sempre più evidenti: tutto l'ultimo secolo della repubblica (dai Gracchi ad Azio) è di crisi continua, guerra civile e sconquassi rivoluzionari.
Inadeguatezza delle magistrature
Le magistrature tradizionali sono ancora quelle nate per la città stato, quando l'impero si estende dalla Spagna alla Siria non potevano più essere adeguate per dominarlo e amministrarlo efficacemente. Per gestire popolazioni diverse e non integrate mancavano:
continuità di azione (avvicendamento annuale)
competenza e specializzazione, visione d'insieme dei problemi impossibile per un magistrato annuale
legislazione stabile, mentre il susseguirsi di consoli e tribuni fa sì che si alternino personalità in contrasto: legislazione altalenante e contraddittoria.
Inoltre il Senato faceva da raccordo e controllo per la politica estera fino alla prima metà del II sec a.C., controllo che viene perso gradualmente ed eroso da personalità singole.
Senato
Rottura dell'equilibio fra il Senato come corpo portatore di valori e i singoli senatori che tendono al potere.
Il Senato come corpo garante dell'equilibrio e del mantenimento dei valori si spezza a causa della competizione esasperata fra le famiglie e i singoli capi politici.
In particolare dopo la guerra sociale viene concessa la cittadinanza a tutti i popoli italici e quindi entrano in Senato molti alleati: questo sconvolge l'equilibrio precedente, che prevedeva poche grandi famiglie con il monopolio delle clientele e quindi il governo dello stato; si aggiungono nuove clientele e nuovi giochi di potere.

Inoltre nuove esigenze militari dell'impero e dell'imperialismo necessitavano di più spazio lasciato al potere militare dei singoli: la prorogatio imperii si fa più frequente particolarmente durante le conquiste in Oriente e in Spagna; la prima volta era stata usata durante le guerre sannitiche. La continuità del comando crea un legame più stretto e personale fra il comandante e i soldati, che lo vedono come proprio punto di riferimento, un rapporto forte basato sul carisma; il comandante è un interlocutore, non più solo il rappresentante dello stato per cui si presta un servizio.
Con la riforma di Mario l'attività militare diventa un mestiere pagato dal soldo, da una parte del bottino, da un terreno e/o denaro alla fine del servizio.
I comandanti con questo esercito diverso operando in Oriente vedono prospettive nuove impensabili prima: possono comportarsi come dei re contrattando con i re vinti e trattando con i re ellenistici ne ammirano e desiderano il carisma e soprattutto i segni esteriori del lusso, del potere personale, gli omaggi dei sottoposti e delle popolazioni vinte. Ne nasce un'aspirazione al potere personale esterno al mos maiorum. Il re vinto diventava cliente non di Roma ma del comandante: i grandi capi fazione hanno clientele che abbracciano intere zone d'Italia (provenienza dei soldati) o intere province o regni satellite.
Inoltre in queste campagne in Oriente i generali guadagnano enormi ricchezze personali con il bottino e l'amministrazione del luogo (generalmente un potere assoluto e senza controlli).

Il Senato si trova costretto a scendere a compromessi, si creano sempre più strappi alla tradizione che verranno poi ripresi da Augusto, p.e. conferire comandi straordinari sganciati dalle magistrature entra in uso già dalla seconda guerra punica: entrambi gli Scipioni erano morti in battaglia e il comando venne passato al giovane Scipione (futuro Africano); poi al tempo di Silla successe una cosa simile con Pompeo e durante le guerre civili ad Ottaviano fu conferito un comando da propretore. Si autorizzano deroghe alle norme (Lex Lilia, Lex Cornelia) a volte esagerate: Mario diventa console 7 volte di cui 6 di seguito, Cinna 4 volte. Si danno incarichi civili straordinari senza la rispettiva magistratura, per esempio a Pompeo per le cure annonarie, di norma cura degli edili.

Tutti questi strappi indebolivano il potere di controllo che il Senato aveva, crearono tutta una serie di precedenti formalmente legali che vennero ripresi da Augusto con la sola novità che lui attribuirà tutti quegli strappi ad una sola persona, contemporaneamente e per sempre.
Già prima di accentrare su sé il potere era stato Triumviro Rei Publice Constituendum (27 novembre 43) con Marco Antonio e Lepido, una magistratura straordinaria di 5 anni con potere uguale a quello dei consoli e addirittura maggiore in caso di conflitto. Il potere civile consisteva nel poter convocare il Senato e i comizi, lo ius coercitionis, il potere di far approvare una legge e convalidarla. Inoltre poteva decidere le candidature dei magistrati. Allo scadere dei 5 anni c'erano già dei dissidi fra i triumviri ma nel 37 a Taranto avviene una rappacificazione, il potere viene rinnovato e continuano a comandare fino al 31 dicembre 33. A quel punto Lepido era già uscito di scena per mano di Ottaviano che ne assume le truppe mentre lui va in esilio. I rapporti fra Ottaviano e Antonio si deteriorano rapidamente e si va verso la guerra. Ottaviano usa la propaganda per dipingere i rapporti fra Antonio e Cleopatra in toni foschi, assolutamente lontani e contrari dai mores romani, Antonio si sarebbe orientalizzato, è succube di Cleopatra!
Svuotamento e paralisi funzionale dei comizi
I comizi per secoli avevano funzionato per la città stato, erano scelte legislative che venivano espresse dal potere del popolo. Diventa inadeguato quando si estende la cittadinanza ai non romani, per cui vanno a votare anche cittadini della Gallia Cisalpina, della Lucania... e le assemblee perdevano rappresentatività; inoltre la percentuale dei votanti era minima, il voto decentrato non era neanche contemplato (troppi pochi mezzi di comunicazione).
Quando si acuisce la crisi politica i comizi furono dominati spesso dalla violenza, ci sono tumulti, si va a votare sotto intimidazione.
Radicalizzazione dei conflitti sociali
Che a partire dal periodo dei Gracchi provocano il rischio di guerre civili e disintegrazione.
L'economia inizia a fondarsi sullo schiavismo, i grandi proprietari terrieri sfruttano anche l'ager publicus per impostare una coltivazione più redditizia, concepita non per l'autoconsumo o per il consumo locale (vigneti e oliveti per tutto il mediterraneo), ma per l'esportazione. Questo sistema, però, era basato sul lavoro schiavile, aumentato dalle guerre e dalla pirateria; inoltre sul lungo periodo porta alla scomparsa dei piccoli proprietari: bastava un'annata cattiva per ridurli alla fame e costringerli a fare debiti con il proprietario ricco che ipotecava il loro terreno e spesso lo perdevano. Da questo si passa alla fuga dalle campagne alle città perché un nullatenente libero non poteva competere con la manodopera schiavistica e non gli restava se non andare a Roma ed entrare al servizio di qualche potente; ma si creano anche bande armate, il clientelismo crea tensioni sociali (p.e. Gli scontri armati fra le bande di Clodio e Milone che portano all'uccisione di Clodio); un'altro sfogo sono gli eserciti di professione.
Sfruttamento selvaggio delle province
I governatori di rango senatorio spremono i provinciali sperando di tornare a Roma con grandi ricchezze per sostenere la propria lotta politica (es. per arruolare bande armate di clienti o addirittura soldati). Con la stessa logica si muovono i cavalieri, che si occupano della riscossione dei tributi. Ma questa politica di sfruttamento e rapacità mette a rischio l'esistenza dell'impero per le sempre maggiori forze disgreganti che lo abitano.
Il drammatico indebolimento delle strutture tradizionali dello stato crea le basi per l'inserimento di un potere più forte, c'è posto per personaggi che sanno di poter contare su una grande massa di proletari inurbati o sulla fedeltà di soldati mercenari.

Ottaviano Augusto
Un uso spregiudicato della propaganda complica le elezioni e le indebolisce nella loro credibilità. Il più abile in questo senso fu Ottaviano, che non presentò il proprio potere in senso monarchico (come Cesare, che invece aveva accettato il titolo di dittatore a vita) ma seppe sfruttare gli eserciti, le clientele, le ricchezze di Cesare, il suo carisma, attraverso la propaganda e, consapevole di non essere un buon generale, seppe scegliere e legare a sé i migliori dell'epoca, come Agrippa, homo novus ma molto valido. Seppe anche sfruttare tutti gli errori dei suoi avversari: con la propaganda annientò Marco Antonio.
Una volta rimasto solo al potere4, Ottaviano creò un assetto completamente nuovo. Da notare che all'inizio era in una situazione legale per il potere militare (non si poteva abrogare), illegale per il potere civile (non si può prorogare) e rafforza la sua situazione con sistemi non costituzionali, fingendo che ci fosse sempre il triumvirato grazie alla forza delle sue legioni.
36 riconquista la Sicilia: votata la sacrosanctitas
32 giuramento di fedeltà offerto tota Italia5 nella guerra contro gli “orientali” e successivamente da tutto l'Occidente. Il meccanismo è inedito perché dall'ambito militare il giuramento si sposta a quello civile;
Ottaviano evita di protrarre l'illegalità oltre il 32 e dal 31 si fa eleggere console tutti gli anni con il Senato compiacente: è un potere legale. Quindi passa a consolidare il potere:
30 ha il diritto di nominare nuovi patrizi: con le guerre civili ne erano morti molti e ce n'era bisogno p.e. per i sacerdozi
Ius auxilii: può intervenire a favore di un cittadino romano condannato per bloccare la condanna
Diritto di grazia: può richiamare dall'esilio
29 praenomen di Imperator (da Gaius che era)
28 eletto Princeps Senatus cioè persona eminente per azianità e prestigio con diritto di prendere per primo la parola nelle sedute
13 gennaio 27 Ottaviano convoca il Senato e annuncia di voler deporre i poteri e restaurare la repubblica (Restitutio Rei Publice): era un coup de theatre ovviamente e il 16 gennaio il Senato precisa la posizione di Ottaviano: sarà console per i prossimi 10 anni con una sfera di competenza di tutte le province in cui c'erano legioni, mentre quelle senza (prov. Pacate) formalmente restano al Senato. Inoltre gli viene conferito il cognomen di Augusto, un titolo nuovo proveniente dalla sfera religiosa e dotato della massima protezione divina e del massimo riconoscimento del prestigio e del carisma personale, superiore a tutti per potestas e auctoritas.
*aug- > augeo, augmentum ma anche auctor, auctoritas ⇒ richiami sacrali e politici, p.e. l'Augustum Augurium era il rituale che trovava le sue radici nella fondazione di Roma.
27 potere di Commendatio dei funzionari statali, cioè favorire l'elezione di qualcuno.
1° luglio 23 si dimette da console, decisione presa forse davvero per timore di una congiura e poi per malattia: se il Senato avesse accettato sarebbe diventato un privato. Il Senato invece gli conferma la sostanza dei poteri senza il consolato, ratificando la decisione con un voto popolare: imperium proconsulare maius et infinitum quindi dello stesso tipo di quello dei consoli ma superiore e illimitato nel tempo e nello spazio. Prima per 10 anni poi sistematicamente rinnovato di 5 in 5 anni fino alla morte.
Tribunicia potestas: diritto di veto sulle decisioni dei magistrati, diritto di convolcare e presiedere i comizi6 e il Senato. Gli venne conferito per tanti anni quanti sarebbe durato il suo regno e gli viene riconfermato ogni anno il 1° luglio. Era un escamotage per conferire il potere di una magistratura a chi non la riveste. Da Traiano in poi viene rinnovata il 10 dicembre, il giorno in cui salgono in carica i tribuni – se l'imperatore saliva al trono il 1° dicembre gli veniva riconfermato dopo 10 giorni.
Relatio in Senato: capacità di decidere l'ordine del giorno (= controllo completo della vita politica)
Così si forma la base del potere imperiale valida per tutta la durata dell'impero.
22 a.C. per una grave carestia ed epidemie il Senato affida la cura dell'annona ad Augusto (già con Pompeo era stata presa una decisione simile) che la mantiene a vita e la fa ereditaria.
Altre curae gli vengono affidate negli anni successivi, lui le affida spesso a senatori: curatele urbane o a cavalieri:
20-11 a.C.: prefetti dei vigili, viarum, aquarum, aedium sacrarum & operum locorumque publicorum, riparum & cloacarum...
12 a.C. muore Lepido: eletto Pontifex Maximus = massima autorità religiosa. Era già augure dal 41, quindecimvir dal 36, septemvir dal 16, frater arvalis ecc ecc ecc
2 a.C. Pater Patriae: valore morale fortissimo perché il pater familias comprendeva nella rete di familiari, clienti e amici tutto il corpo civile: tutti dipendono dall'imperatore, trasferendo dal mondo pubblico al privato una posizione di superiorità. Inoltre significa controllare il tesoro d'Egitto, eredità dei faraoni e re persiani e satrapi di cui lui è il successore.
Augusto ha tutto il potere militare in virtù dell'impero proconsolare ed ha l'esclusiva sugli auspici e quindi sui trionfi, che venivano celebrati da chi aveva preso gli auspici per la campagna militare, quindi l'imperatore e non il suo legatus.
Il titolo di imperator assume un'aura sacrale eccezionale: può dirsi figlio di un dio.
Aggiungi l'apparato propagandistico dei poeti di Mecenate, capillare e sottile: arti figurative dei grandi monumenti e iconografia degli oggetti d'uso comune e privato con cui diffonde un messaggio di pace, ritorno all'ordine e alla tradizione – temi assorbiti e recepiti dai privati.

Vengono superate le debolezze strutturali per la continuità del potere:
1.garantita la continuità di governo, continuità di visione e continuità d'azione
2.strutture amministrative efficienti per un impero mondiale, fondate sulla specializzazione delle competenze e nella continuità
3.interventi finanziari di interesse pubblico per ricchezze dell'imperatore, non solo di facciata, e non più competizione fra gentes.
4.Meno abusi nell'amministrazione delle province perché i governatori sono soggetti al severo controllo dell'imperatore sulle malversazioni. Cresce il consenso provinciale: stabilità, pace, interessi economici e mercato vastissimo
Ombre:
un contrasto latente fra principe e Senato, che perde centralità, resta come organo che collabora e offre strumenti per eseguire la sua volontà, campionario di collaboratori. Da Tiberio in poi il rapporto col Senato è altalenante, e tormentato, fonte di conflitti e tensioni che determinano giri di vite dell'imperatore o la sua caduta.
Precarietà e incertezza dei criteri di successione: chi designa l'erede al trono? L'imperatore? Il Senato? L'esercito (acclamarlo imperator significa dargli la carica)?
Il Senato ci teneva a ribadire il suo potere di decidere a chi donare la tribunicia potestate e l'imperium proconsolare per cui spesso si sviluppa un braccio di ferro fra l'esercito e il Senato – che subisce.

mercoledì 27 agosto 2008

Storia Romana 1: Origini e fondazione di Roma

Il dibattito su questo problema è alle origini del dibattito storiografico e della critica storiografica moderna.
Dall'umanesimo al novecento
L'interesse per questi problemi nasce nel periodo umanistico all'insegna di un atteggiamento reverenziale: ammirazione incondizionata per i testi come per la storia.
La storia era vista come un modello al pari della letteratura e dell'arte, senza tentare di distinguere fra il mondo greco e il mondo romano, si fondava in larga parte su un gusto estetico dell'imitazione acritica e priva di ricostruzione storica. Anche la storiografia era un modello irraggiungibile e da imitare (Dante: Livio che non erra ma anche Petrarca, Boccaccio, Flavio ecc prendono Livio a modello); erano riverite perfino le epigrafi antiche: Cola di Rienzo espose in Campidoglio la Lex de Imperio Vespasiani, sebbene non sapesse apprezzarla veramente, perché era dimostrazione tangibile della continuità fra antichi e moderni; nella prima metà del '400 Ciriaco da Pizzicolli di Ancona disegna i ruderi e copia i testi delle iscrizioni con ammirazione e devozione incondizionate; e cfr anche il recupero della capitale epigrafica.
Con Machiavelli affiorano i primi interrogativi generali (cfr Discorso sulla prima Deca di Tito Livio) ma partono da un'accettazione acritica: cerca di capirne i segreti per applicarli alla contemporaneità. Allo stesso modo Montesquieu nelle Considerazioni sulla grandezza dei romani e sulla loro decadenza (1734).
Questa fiducia rimane a lungo negli studi antiquari e ha grande fortuna nel 6-700: particolarmente importante perché ci si occupava anche di fonti non letterarie, anche se si limitava a illustrazioni di ruderi, monete ecc.
A partire dal '600 troviamo i primi dubbi e critiche cfr il Pirronismo storico, che applica alla storia romana antica i principi dello scetticismo (F. La-Mothe-Le-Vayer (1588-1672) e L. de Beaufort, Dissertation sur l'incertitude des cinques premiers siècles de l'histoire romaine) e rompe con i fideisti che accettano acriticamente le fonti antiche.
Il seicento
JACOBUS PERIZONIUS (1651-1715) nel 1685 pubblica le Animadversiones historicae, in cui cerca di capire se dietro le tradizioni storiografiche delle origini di Roma potessero esserci fonti attendibili: i primi storici di quel periodo potevano contare sulla tradizione orale dei convivalia, canti recitati al termine dei banchetti per tramandare una tradizione molto antica già rispetto ai cantori.
È il primo tentativo di risolvere l'aporia riguardo all'attendibilità della tradizione storica, non più su base fideistica ma neanche ricorrendo al pirronismo. La risposta di Perizonio è l'esistenza di una tradizione orale fra l'epoca regia e il III-II secolo, quando Fabio Pittore e gli altri cominciarono e mettere per iscritto il materiale dei carmina convivalia.
Questa ipotesi fu ripresa da NIEBUHR (1776-1831), il fondatore dello studio della storia antica occidentale con la Römische Geschichte (Storia Romana) in più volumi pubblicati fra il 1811-12.
L'ottocento
Dall'ottocento prevale la linea di Theodor MOMMSEN che innova gli studi sul diritto romano con edizioni critiche su testi antichi e complicati, con l'edizione del Corpus Inscriptionorum Latinorum e con una Storia romana che indirizza tutte le ricerche successive.
Scettico sulla tradizione delle origini e del periodo regio la indaga ricostruendo la storia del pensiero romano, guardandola come il modo in cui le classi colte raccontavano il loro passato per spiegare la loro realtà contemporanea, cioè fabbricando leggende e storie per tutto ciò che non era rimasto ancorato alla memoria orale, in modo simile a come facciamo noi. I suoi studi si concentrarono sull'analisi filologica delle fonti per stabilire come usarle e ricostruire l'evoluzione della stratificazione – naturalmente senza illudersi di “risolvere” davvero i fatti storici.

L'interesse diretto allo studio delle fonti trova un'altra spinta con Ettore PAIS (1856-1939 sardo, allievo di Mommsen) che propone una Storia di Roma (1898-9) con molte rielaborazioni originali e in cui arriva a un radicale scetticismo; è l'iniziatore e il massimo esponente dell'IPERCRITICA: tutta la tradizione sulle origini di Roma è un insieme di invenzioni prive di basi documentarie o orali, che non nascono prima del III-IV secolo, non c'è nulla di storico o reale fino all'incendio gallico, sono operazioni letterarie con un forte desiderio di emulazione della storia greca camuffata e trasposta.

Julius BELOCH (1854-1929 tedesco che abitò a lungo a Roma, maestro di Gaetano de Sanctis) parte dalle stesse premesse ma tenta di ricostruirle su basi diverse: recuperare dati attendibili da studi demografici quantitativi. È il fondatore della demografia storica. Tenta di porsi domande analoghe alle moderne anche per il mondo antico, cerca di capire se sia possibile accettare materialmente i dati delle fonti p.e. rapportando la popolazione alla superficie adibita al sostenimento agrario – o al limite se sia possibile proporre cifre più realistiche.

Scavi al centro di Roma nel 1870, nuovi elementi per il dibattito e nel 1899 i ritrovamenti di Giacomo BONI (1859-1925) nel foro e sul Palatino sembrarono confermare clamorosamente la tradizione romana e smentire l'ipercritica: in particolare il ritrovamento sotto il Lapis Niger di un'iscrizione in caratteri latini del VI sec a.C. in cui si legge chiaramente la parola REX, databile fra il X e il IX secolo: la zona era già abitata, e inoltre Dionigi di Alicarnasso ne parla dicendo che sia la tomba di Romolo, visibile fino all'epoca di Augusto. La reazione iniziale è di eccessiva accettazione della tradizione.
Il novecento
Con la prima guerra mondiale le ricerche e il dibattito si arrestano, rallentano molto e si ritorna all'ipercritica e alla prudenza.
Con la seconda guerra mondiale riprendono gli studi, soprattutto negli anni 40-50 la scuola svedese (Gjerstad, Gierow) fa ricerche a Roma e nel Lazio.
Il dibattito si riaccende perché si pone il problema metodologico di come raccordare tradizione e archeologia: Andrea CARANDINI (n. 1937) e GRANDAZI sostengono che sia possibile e utile un intreccio fra archeologia e tradizione letteraria per confermarla e rinsaldarla nella verità, mentre
POUCHET e Emilio GABBA hanno una posizione più cauta: archeologia e tradizione letteraria restano su binari paralleli e inconciliabili perché tutti i tentativi di fonderli sono circolari, viziati in partenza e non validi. Il dato archeologico non univoco viene interpretato in base alla fonte letteraria che poi si dice confermata dall'archeologia: nessuno dei due dati è in realtà valido di per sé.
Elaborazione del problema
Il problema di fondo è lo iato cronologico fra l'epoca a cui viene attribuita l'origine di Roma (VIII a.C.), il periodo in cui si formò la tradizione (IV a.C.) e il periodo in cui si cominciò a scriverne (III a.C.); inoltre bisogna considerare le influenze greche e il fondato sospetto che alcune coincidenze siano effettivamente casuali:
su quali basi è fondata la tradizione?
Utilizzava qualche documento scritto (leggi, trattati, rituali)?
Di che tipo?
A quando potevano risalire?
Che tipo di affidabilità avevano?
Che tipo di tradizioni orali?
In quale ambito?
Con quale attendibilità?
Si possono fare ricerche eziologiche fra i miti?
Con quale attendibilità?
Ci sono state invenzioni pure e semplici?
Ecc.

La dimostrazione della possibilità di coincidenze fra le tradizioni è assai difficile sul piano concreto: analisi linguistiche ed etimologiche per ipotizzare un'origine comune di istituzioni, rituali ecc che possano confermare o smentire il dato della tradizione;
analisi dei rituali non più compresi ma ancora praticati in epoca storica;
analisi dei documenti archeologici.
Resta fondamentale l'analisi della tradizione nelle sue parti minori, il modo e le fasi in cui si è formata, la stratificazione, le fonti degli autori giuntici e il modo in cui le hanno trattate. Ricostruire la tradizione come stratificazione, rifunzionalizzare a fini diversi le sue parti serve a capire se si può ammettere che la tradizione sia stata interrotta oppure no: in alcuni casi si può dimostrare che la continuità di memoria non può esserci stata e dobbiamo riconoscere che si tratta di pure invenzioni, prive di alcun dato attendibile; in questi casi se troviamo corrispondenze fra il dato archeologico e quello letterario bisogna credere che si tratti di una coincidenza – d'altra parte questi racconti restano come documenti del periodo più recente che ce li tramanda.
Il dato archeologico anche se è significativo non è univoco.

Finora per le origini di Roma gli unici dati archeologici certi e non discutibili sono dati negativi:
1.nella zona dei monti Albani non è esistita una città degna di questo nome: Alba Longa non esiste
2.Lavinium (presso Trasica di Mare) sarebbe stata la città con cui si fonde Enea arrivato da Troia; avrebbe dovuto essere esistente e fiorente nel XII secolo, Alba Longa una generazione dopo, Roma nell'VIII. Lavinium non era affatto un centro urbano molto anteriore a Roma, fa il salto da villaggio a centro urbano parallelamente a Roma.
Fonti
Livio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Eneide.
Fabio Pittore
Scrisse in greco alla fine del III o ai primi del II secolo (fine della seconda guerra punica o subito dopo) una storia sistematica basata in parte sugli annali dei pontefici in parte su notizie arrivate per via orale, in parte trovate negli autori greci a lui anteriori, per esempio:
Timeo di Tauromenio
Vissuto fra il 350 e il 260 a.C. circa, nella sua trattazione storica (Storie) dava particolare attenzione al mondo occidentale, in particolare alle colonie greche, ovviamente.
La Cronaca di Cuma,
Da cui attingiamo notizie della fase finale della monarchia (ultimo Tarquinio, guerra di Porsenna)

La versione canonizzata da Fabio Pittore prende la forma a noi nota (Enea, Ascanio, Rea Silvia, Romolo e Remo) non prima del IV sec a.C. perché negli autori antichi ha forme completamente diverse: Esiodo nella Teogonia parla di Latino figlio di Circe e Odisseo; oppure Enea appare in riferimento all'occidente tirrenico senza Romolo e Remo, a volte con una donna chiamata Ῥομὴ. Quindi la tradizione di Pittore potrebbe fondere nuclei leggendari originariamente autonomi: fonde la storia che legava Enea con la storia dei gemelli inventando la serie dei re Albani.

Il filone troiano
Risale al VI secolo perché su vasi greci di importazione e su vasi etruschi di imitazione greca ricorre insistentemente la rappresentazione della fuga di Enea da Troia con il padre, il figlio e i penati – probabilmente era una tradizione non applicata a Roma ma a Lavinium e per questo probabilmente Enea diventa re di Lavinium. I penati di Enea erano venerati nel santuario di Lavinium, come riferito da Timeo per autopsia.
Il primo accenno è in Ellenico di Lesbo (425-400 ca a.C.) che dice che Enea fonda Roma; lo ripete anche un suo allievo in un frammento.
È probabile che già Stesicoro (metà del VI a.C.) parlasse della fuga di Enea verso l'Hesperia, la terra d'Occidente, cioè l'Italia, come indicherebbe la tabula iliaca, un bassorilievo scolastico per poeti omerici con rappresentate le scene dei poemi omerici.
Antioco di Siracusa (425-400 ca a.C.) attribuisce la fondazione di Roma a Enea. Confermato per statuette di terracotta trovate a Veio posteriori al periodo etrusco e non testimoniano la tradizione relativa a Veio, come si pensava prima ma la tradizione romana: gli occupanti rivendicavano orgogliosamente di appartenere a Roma.
Il filone dei gemelli
Ha un'origine molto discussa.
1968 Strasburger sosteneva che fosse una leggenda fabbricata in Grecia in chiave antiromana risalente al periodo delle ostilità fra le colonie greche e Roma, che si stava espandendo troppo; in effetti insiste su particolari disonorevoli: la nutrice era una prostituta (Acca Larentia), la nascita di Roma sarebbe legata a un fratricidio; i romani per assicurarsi la discendenza violano l'ospitalità (Ratto delle sabine) e Romolo dà asilo a schiavi fuggitivi, assassini, ladri e briganti per incrementare la popolazione.
La lupa
Un indizio preciso e certo che nel III secolo era già accettata ufficialmente: nel 296 a.C. i primi pontefici plebei eressero un gruppo bronzeo della lupa che allatta due gemelli (da Livio, X, 23) e lo stesso si può trovare su monete d'argento romano trovate in Campania datate al 269-66.
Secondo Cornell la lupa dei musei capitolini proviene dal monumento che i due edili Olguni arricchirono con due gemelli e poiché è databile a VI a.C. dimostrerebbe che la storia circolava già. Il discorso non regge perché la statua come la vediamo oggi ha l'aggiunta rinascimentale dei due gemelli, quindi potrebbe non allattare gemelli umani, in originale.
I gemelli
Non abbiamo alcun indizio certo di due gemelli sullo stesso piano fino alla prima metà del IV sec. Possiamo addirittura dubitare che già nel VI secolo fossero due gemelli; anche se la prima menzione di Romolo è in Aucinio (prima metà IV sec), probabilmente la leggenda ha trovato la formulazione a noi nota nella seconda metà del IV sec.

Wiseman suppone lo sdoppiamento sia il risultato della parificazione fra patrizi e plebei (seconda metà IV, subito dopo le leggi Licinie Sestie) per radicare nel passato leggendario le rivendicazioni dei plebei e il torto subito.
La prima attestazione della leggenda si trova nello specchio prenestino trovato a Volsena e databile al 350 o 325 a.C. (una lupa che allatta 2 gemelli). Secondo Wiseman sarebbe la premessa della leggenda dei gemelli: non sarebbero Romolo e Remo ma i Lares Praestites, gemelli divinità minori della tradizione romana (cfr Ovidio, Fasti) che avrebbero offerto lo spunto per modificare la leggenda. Secondo Carandini è una spiegazione troppo complicata. Ad ogni modo la base della ricostruzione di Wiseman resta valida: probabilmente il fondatore è stato sdoppiato.
In generale
In definitiva la tradizione canonica nasce non prima della seconda metà del IV secolo e assume particolare rilevanza anche dopo. L'unione di due filoni sarebbe potuta accadere anche nel III a.C. La parte più importante sta nell'accettazione e rielaborazione della leggenda, che secondo Wiseman non si svolse nei carmina convivalia ma nelle rappresentazioni teatrali, introdotte intorno alla metà del IV a.C. (secondo Livio nel 364 per i ludi plebei: i plebei cercano di entrare da protagonisti nella leggenda appropriandosi di un padre nobile, Remo), mentre l'organizzazione e la rielaborazione della leggenda probabilmente si basa su tradizioni orali tramandate sia in ambito sacro che familiare.
La formazione della tradizione
La presenza degli annali dei pontefici come fonte valeva solo per il periodo più recente, mentre per le origini non c'erano registrazioni. I primi storici avranno inquisito congetturalmente su nomi di luogo, analisi di rituali secondo etimologie fantasiose che aggiunsero molti particolari fantasiosi. Non tutti i dati di cui disponevano quegli autori sono stati utilizzati in concreto: tutta una serie di dettagli e racconti resta esclusa dalla tradizione annalistica e viene recuperata da altri generi letterari e da fonti antiquarie: collezione di monstra e mirabilia, analisi linguistiche ed erudite.
Perché veniva fatta una scelta? Vengono presi solo i dettagli funzionali alla linea che era stata scelta scelto e il principio ordinatore è quello della statalità (soprattutto per Fabio Pittore): la continua e inarrestabile ascesa di Roma (come la conosce lui) che arriva fino al suo tempo, il racconto delle fasi attraverso cui si forma lo stato romano e la sua potenza: Pittore elimina tutti gli elementi controproducenti o inutili come p.e. i rapporti fra Roma e Porsenna: aveva conquistato Roma e proibito ai romani l'uso del ferro (Plinio), notizia non riportata negli Annales (Livio).
L'organizzazione dei dati scelti venne dal confronto con la tradizione storiografica greca e da categorie storiche greche (= modo di leggere i fatti):
1.nelle Origines si segue il modello delle κτίσεις: origine di una città e fondazione dal nulla ad opera di un eroe fondatore;
2.il modello dell'opposizione tirannide-libertà con cui vengono descritti gli ultimi re romani: realtà risistemata
3.+ forte volontà celebrativa di Roma e dell'aristocrazia romana che si autopropone come protagonista della storia di Roma.

L'esame dei dati archeologici deve tener conto di questo ↥ e del fatto che:
la tradizione si è formata sicuramente tardi, verso la fine del IV a.C.
almeno in parte la ricostruzione è frutto di congetture e non proviene direttamente dalla memoria ininterrotta per via orale. La rielaborazione ha raccolto e riutilizzato materiali di folklore senza tempo (p.e. il bambino esposto e ritrovato da una fiera o un pastore) riciclati come narrazioni storiche + molti elementi della tradizione greca
Quadro archeologico oggi

Nell'ETÀ DEL BRONZO FINALE (XI-X sec a.C.) nell'Italia centrale tirrenica si afferma una cultura che è chiamata protovillanoviana (dalle scoperte nel sito di Villanova vicino a Bologna di cui questa è precedente), caratterizzata da incinerazione ad d'urne biconiche. La cultura protovillanoviana nell'area tirrenica conosce uno sviluppo, nascono abitati d'altura, naturalmente fortificati e spianati sulla cima; si tratta di centri di piccole dimensioni (5-10 ettari) e a piccola distanza gli uni dagli altri, hanno bisogno di poco terreno da coltivazione, circa 5-10 km.

Con l'inizio dell'ETÀ DEL FERRO, fine X-inizio IX secolo comincia il villanoviano. In questa fase di sviluppo la popolazione che era sparsa si concentra in un minor numero di abitati ma di dimensioni sensibilmente maggiori. I siti corrispondono a quelle che saranno le grandi città dell'Etruria.
Protourbanizzazione che si sviluppa nel corso del IX secolo perché non ci sono ancora colonie greche in Italia.

Nel Lazio la situazione è simile ma più graduale, più lenta. Non fu un cambiamento generale, ci sono abitati piccoli della fase precedente (sui colli Albani) e insieme concentrazioni più urbane. Le prime unità maggiori cominciarono a comparire nell'ultimo quarto del IX secolo, agli INIZI DELL'VIII.
Fase Laziale: 830-770 a.C.
Il primo di questi centri è Gabi.
Alla metà dell'VIII secolo compaiono le prime sepolture principesche, che testimoniano una differenziazione sociale ormai accentuata, p.e. quelle trovate a Palestrina (antica Preneste) della fine dell'VIII-inizio VII secolo mostrano sfarzo, oggetti di importazione greca e fenicia.
In questa fase l'aristocrazia locale ha assorbito gli usi di quella greca es. la cultura del simposio (ci sono vasi che ne testimoniano l'uso) e anche la scrittura compare per influenza greca con vari adattamenti dei segni alfabetici greci. Compare prima in Etruria poi nel Lazio.
L'unione delle comunità
Per Roma scavi alla fine dell'ottocento misero in luce abitati dell'inizio dell'età del ferro sul Palatino e sul Quirinale, mentre nell'Esquilino e nel Celio (zona del Colosseo) si trova un villaggio di capanne già del X secolo e nel Foro Romano si è trovata un'area di tombe risalenti fino al 380 a.C.
Sul Palatino (più recenti) e sul Campidoglio (più antichi: fino al XIV sec, età del bronzo) ci sono indizi di abitati. Quindi l'area intorno a Roma è una serie di nuclei indipendenti, forse c'erano capanne anche nel foro.

EINAR GJERSTAD (1897-1988): quando il sepolcreto fu abbandonato si sarebbero costruite capanne anche lì e sarebbero durate fino al 575 a.C., quando le capanne sarebbero state eliminate e l'area sarebbe stata pavimentata: segno di fusione artificiale fra le comunità preesistenti, che avrebbero scelto l'area come zona di incontro, secondo questa visione questa sarebbe stata la data della fondazione di Roma, atto volontario di unione fra comunità con un'area comune in cui si fanno affari secondo il modello della polis greca. Questa datazione modifica di molto la cronologia, sposta di due secoli in avanti la fondazione.

Intorno al 1955 lo studioso MULLER-KARPE (n. 1925) propose un'altra tesi con la formula di Stautgrundung, formazione della città graduale e spontaneità lenta. L'unione politica di queste comunità sarebbe l'ultima fase di uno sviluppo insensibile. L'unica differenza sul piano di partenza riguarda la data della pavimentazione del foro: per Gjerstad intorno al 575 mentre Muner-Karpe propone 625. Gli studi successivi dimostrano che aveva ragione Muller-Karpe, in base a studi sui materiali. L'inizio dell'età del ferro viene collocato intorno al 900, mentre per Gjerstad era da collocarsi all'800 a.C.

Un tentativo di superare l'opposizione fra le due teorie fu fatta da CARMINE AMPOLO (?), che ammetteva entrambe le due fasi: prima ci sarebbe stata l'aggregazione spontanea e poi l'atto di autorifondazione come comunità unica per sinecismo (unione di abitanti diversi). Prima c'era l'abitato sul Palatino e poi su colli vicini. Nell'830 questa comunità usa il sepolcreto alla base del Palatino. Qui confluiscono molti dal Celio e dal Palatino. Poi si abbandona il sepolcreto perché la comunità della Celio si espandeva verso l'Esquilino, c'è una serie cospicua di tombe in quella zona, che iniziano quando non vengono più fatte nel sepolcreto.
Queste comunità avevano un rituale religioso antichissimo a cui si riferisce Sesto Pompeo Festo (antiquario dell'età di Adriano), che prende materiale dalle ricerche di Verrio Flacco (età augustea): l'11 novembre veniva celebrata una festa con processioni che riguardavano tutti i colli (eccetto Quirinale e Campidoglio), faceva il giro delle comunità: le due alture del Palatino, la Celio, le tre cime dell'Esquilino, la valle della Suburra (che è una parte del Foro). Questo rituale testimonia una fase in cui l'urbanizzazione si esauriva in quest'area, senza due colli importanti per Roma: era la comunità del Settimontium. La fusione con gli altri due colli risalirebbe a quando nel Campidoglio scomparvero le tombe e ci furono capanne (625 ca.), fu pavimentato il foro, furono fatti i primi edifici pubblici: la reggia, residenza prima del re poi del pontefice massimo, primo edificio pubblico (ultimo quarto del VII secolo).
Riletture di vecchie scoperte
Alla metà degli anni '70 il quadro sembrava chiarito, ma viene rimesso in discussione appena finiti i nuovi libri di testo per delle nuove scoperte e dei cambi di indirizzo.

AMMERMAN nel 1990 riesamina le stratigrafie del Boni (in base alle quali Gjerstad aveva datato la presenza di capanne nel foro) e sostiene che queste capanne non sono mai esistite, sono una lettura sbagliata degli scavi; sono invece una colmata artificiale, di riporto di circa 2 metri traccia di operazioni di bonifica precedente alla pavimentazione (la zona era soggetta a impaludamenti). La fusione fra le comunità (Palatino, Celio, Esquilino, Campidoglio e Quirinale) risalirebbe a quel momento. Nel 625 ca. con decisione puntuale e consapevole sarebbe avvenuto un sinecismo.
Ammerman conferma la parte più significativa di Ampolo correggendola su un punto: la fusione di fatto non sarebbe stata prima del 625. Se fino a quella data la zona intermedia era spesso impraticabile non avrebbe potuto essere una zona di aggregazione.

Secondo Ampolo il carattere artificiale della nuova comunità è provato dal fatto che era divisa in 3 tribù e 30 curie: queste ripartizioni con un numero tondo significano che non sono frutto di un accorpamento casuale ma una scelta precisa. Questo carattere artificiale si ritroverebbe anche nel calendario romano più antico (cfr grafia più grande): dev'essere antico davvero perché manca il culto di Giove capitolino (quindi precedente al 509 a.C.), mancano i culti introdotti da Servio Tullio secondo la tradizione (Fortuna, Mater Matuta) quindi anteriore anche al 559. Questo nucleo del calendario è così complesso che presuppone l'uso della scrittura, anche se fu reso pubblico più tardi di quando fu scritto.

Poiché intorno al 625 queste comunità adottano il modello della polis, fanno riferimento alle basi di mercanti greci (fondaci, basi commerciali) e fenici in quella zona. Sulla presenza di mercanti greci e fenici ci sono diversi indizi:
presenza antichissima di culto di Eracle all'Ara maxima (tramandata dalla tradizione e confermata dall'archeologia), che risalirebbe alla fondazione della città, addirittura portata con Evandro. In realtà quell'Eracle presenta delle prescrizioni di culto molto simili a quelle tributate a Baal-Mekart, una divinità fenicia
Legami fra il culto di Fortuna e culti orientali tipo Astante
il culto di Diana sull'Aventino era legato al culto su Artemis di Efeso.
Dispute causate dalle scoperte di Carandini
Carandini mette in luce un tratto di muro il cui primo impianto risale probabilmente al 730-720 a.C. fra il Palatino e il Celio vicino a un torrente, ricostruito almeno 3 volte fino al 550-30 a.C. poi distrutto e coperto con una colmata dove poi passava la sacra via (strada dei trionfatori).
Secondo Carandini non è possibile che sia un muro difensivo ma dovrebbe essere la linea sacrale del pomoerium più antico, quello attribuito a Romolo, quindi corrispondente all'atto di fondazione di Roma. Sarebbe la smentita di una datazione al 625 o al 753. Inoltre Tacito (Annales, XII, 24) parlando di Claudio fa un excursus sulla storia del pomoerium: Romolo tracciò il solco il cui percorso era segnato ancora al suo tempo con dei cippi (lapides) che indicavano un percorso attorno al palatino: Foro Boario, Ara Maxima, Curia veteres, ... e il sacello dei Lari. Questo percorso comprende il muro scoperto da Carandini.

1. Ma se la tradizione fissa questa coincidenza molto tardi potrebbe essere casuale:
se il muro è l'atto di fondazione di Roma sul Palatino come ci si spiega che l'abitato sul palatino sia anteriore di 3 secoli?
Siamo sicuri che il muro sia una linea sacrale?
In generale è l'interpretazione meno probabile se non addirittura da escludere: è solo un tratto di muro, se non girava attorno al Palatino non è la linea sacrale. Potrebbe essere una costruzione fatta perché la strada corresse lungo il torrente ma non più in basso per non esserne inondato.
2. Inoltre: Tacito su che base si fonda? Romolo mise o i cippi o il muro; altrimenti i cippi sono successivi. È una ricostruzione a posteriori come le altre, probabilmente i cippi vennero messi in un momento qualsiasi in cui il p. venne allargato (Silla p.e.) per apprezzare la differenza a fini di propaganda: anche per gli allargamenti di Augusto e Claudio restano dei cippi.
3. Anche la coincidenza cronologica fra Tacito e Carandini potrebbe essere casuale.
4. La nuova linea sacra fondata da Romolo e Tito Tazio (re dei sabini) comprendeva Palatino, Foro, Campidoglio e Quirinale. Questa tradizione si è formata dopo la leggenda della fusione dei romani coi sabini, sicuramente non prima del IV secolo, forse dopo.
La tradizione, secondo Carandini, viene confermata dalla sua scoperta anche per la leggenda del ratto delle sabine – che però lo smentisce almeno sul piano cronologico: sulla base delle ricerche di Ammerman la fusione non è anteriore al 625 mentre la tradizione dice che è stato durante la vita di Romolo.
Inoltre tutta la tradizione della comunità sabina sul Quirinale è tarda: se si analizzano tutte le fonti è chiaro che alla base c'è un ragionamento di pseudo-etimologia: il Quirinale (invece di venire da Quirino) sarebbe la zona in cui abitano i provenienti da Cures (vicino a Passocorese). Al contrario è stato dimostrato da linguisti moderni che Quirinus viene da Curia, quindi sarebbe il dio protettore della comunità romana, ovvero dei quirites, il popolo riunito in CVRIA: COVRIA: CON+VIR.
Ancora sulle fonti
Abbiamo una serie di testimonianze che collocano la fondazione in momenti diversi:
Catone e Dionigi di Alicarnasso 751,
Polibio 750,
Varrone 573: effetto di un ricordo tramandato?
d'altra parte Fabio Pittore 747,
Cincio Alimento 728,
e alcuni autori greci precedenti indicano date completamente diverse: Timeo di Tauromenio 813, Ennio e Nevio (III sec) indicano l'XI secolo: Ennio nel fr. * Vahlen dice “sono passati 700 anni da quando è stata fondata la grande Roma”2; in Servio commentato v. 273, I, Eneide “sia Ennio che Nevio facevano di Romolo un nipote diretto di Enea”
Il divario fra le datazioni è troppo profondo per ammettere un ricordo comune, sono tutte congetture, ragionamenti grossolani a tavolino; d'altra parte tutti gli autori romani3 conoscevano e utilizzavano gli annali dei pontefici quindi lì non doveva esserci nulla.
Il fatto che siano ricostruzioni a tavolino è ancora più evidente ragionando sui numeri:
Varrone dice che la fondazione è del 753 e la fine dei regni del 509: passano 244 anni ovvero 35 anni x 7 regni, i re di Roma erano eletti da adulti quindi non potevano esserci regni più lunghi, anche perché 4 su 7 muoiono di morte non naturale. In realtà solo 7 regni per 244 anni sono pochi4, e 35 sono quelli dati tipicamente anche dalle cronologie greche come durata media di un regno (3 generazioni ogni secolo). Tutto torna anche confrontando le date fornite da Fabio Pittore.
Una volta che siamo sicuri che la data di fondazione è frutto di calcoli a tavolino del II-III secolo a.C. significa che la coincidenza del muro è casuale. Povero Carandini.

L'inizio della repubblica
I tentativi novecenteschi di abbassare drasticamente l’inizio della repubblica sono privi di fondamento, le differenze vanno imputate a errori inevitabili per liste monotone e complicate: Bloch, Werner [inventato fino al 471], Gjerstad che propone di spostare i decemviri al 451, Alfoldi intorno al 400 a.C.

(qui è chiaramente saltata una lezione, ma tant'è...)

martedì 26 agosto 2008

Storia Romana 1: Fonti secondarie e Leggi (Letta)

Fonti secondarie (scritte)
Sono ripensamenti, interpretazioni e analisi del fatto storico, letteratura storica e non. Per interpretarle correttamente bisogna conoscerne le fonti primarie, risalire la filiera dal fatto all'interpretazione del fatto che ne facevano gli antichi; risulta inattendibile se non possiamo usufruire di determinati documenti.
Opere storiografiche
Genere letterario a sé con regole retoriche particolari.
Biografie
Per gli antichi era un genere a sé, distinto dalla storiografia.
Epos
Nella tradizione letteraria romana c'è l'epica di argomento storico, gli avvenimenti sono trasformati poeticamente ma restano interessanti.
Teatro
Il sottogenere della fabula togata di argomento storico che mette in scena personaggi e avvenimenti storici del passato di Roma, naturalmente tesi ad esaltare la gloria di Roma e dei romani. Alla base della narrazione dei fatti c'è una ricerca di tipo storico, una vulgata dei fatti corrispondente a quella della storiografia.
Leggi romane
Lex = legge proposta da consoli e pretori, votata dai comizi (che in età repubblicana corrispondono al popolo) centuriati (pace, guerre, alleanze) o tributi (proposte di legge).
Plebiscitum = legge proposta da un tribuno della plebe (ma è perduta la differenza che poteva avere in senso non tecnico).

Al tempo di Cicerone il testo approvato veniva inciso sul bronzo e conservato nell'aerarium custodito dai questori. Inizialmente probabilmente i testi erano scritti su tavole di legno imbiancato con calce e scritto in nero e rosso, tant'è vero che il titolo dei singoli capitoli della legge si chiama rubrica.

Da quando vengono scritte le leggi? Testi antichi possono essere sopravvissuti all'incendio del 390 a.C.? p.e. La legge sacra è della fine del VI secolo (periodo a cui risale l'uso scritto), per cui almeno qualche documento è sopravvissuto. D'altra parte l'analisi degli strati archeologici mette in discussione le fonti: non c'è stato un incendio così esteso da coprire tutta Roma.
A noi restano testi di legge a partire dal II secolo a.C.

Non tutte queste normative, ovviamente, hanno forma epigrafica, ma spesso si trovano incise anche legislazioni pertinenti a privati.
Struttura della legge romana
1.Index: denominazione della legge che unisce a LEX un aggettivo, generalmente il gentilizio del magistrato proponente e di solito segue un aggettivo o un complemento di argomento (de+abl): p.e. Lex Iulia de civitate oppure Lex Livia iudiciaria.
2.Praescriptio: premessa che contiene:
il nome completo del/i magistrato/i proponente/i
data e luogo del voto
la prima unità di voto favorevole: la prima centuria o la prima tribù, a volte anche il primo cittadino
3.Rogatio: testo v&p dell'interrogazione o della proposta; letteralmente significa proposta. Spesso divisa in capita (capitoli o articoli di legge), normalmente separati da uno spazio bianco, numerati e indicati dall'inizio da K o KL (caput legis), poi il numero e a volte la rubrica
4.Sanctio: sanzione per chi non rispetta le disposizioni (non c'è sempre) + norme transitorie per raccordare la nuova legge alla precedente legislazione in vigore.
Trattati internazionali: normalmente conservati in templi o luoghi pubblici. Ne esistevano copie scritte prima del periodo storico? Probabilmente sì perché Polibio (1° metà del II a.C.) dice di aver letto coi propri occhi insieme a un traduttore il testo di un trattato fra Roma e Cartagine dei primi anni della repubblica (fine del VI a.C. ).
In età repubblicana è il senato che gestisce le trattative, neanche i comandanti vittoriosi avevano carta bianca; i comizi centuriati sanzionavano con un sì o un no il trattato.
Atti dei collegi sacerdotali
La religione è una questione di stato nel senso che regola i rapporti fra la comunità umana e la comunità divina (Pax deorum): io faccio certi sacrifici tu fai il tuo dovere morale. I sacerdoti erano i responsabili del sacro ed erano riuniti in collegi che sono organi dello stato:
1.pontefici: erano i detentori del diritto sacro, tecnici del rapporto con la divinità
2.auguri: consultazione della volontà degli dei, interpretavano risposte e stabilivano modalità di consultazione del volo degli uccelli
3.quindecimviri sacris faciundis
4.aruspici: incaricati dello studio delle viscere delle vittime; erano sacerdoti etruschi al servizio dello stato romano.
5.Atti dei fratelli arvales: antico culto agrario rinvivito da Augusto a Diocleziano; trascrivono su lastre di marmo tutte le loro registrazioni, che vengono esposte nel bosco sacro della dea Dia.
Fonti storiche ci fanno intuire che c'erano archivi molto ricchi con un contenuto sacrale giuridico e tecnico ma è solo per i pontefici che si sviluppano le registrazioni che stanno alla base della nascita della storiografia, cioè i commentarii scritti su materiale deperibile (legno, ceramica, argilla, libri lintei, papiro); alcuni vengono trasposti in epigrafi esposte di cui ci restano frammenti significativi, ma si tratta verosimilmente di redazioni differenti da quelle prodotte per l'uso esclusivo dei pontefici.
Tra le registrazioni scritte dei pontefici c'erano:
1. Fasti
Ovvero il calendario.
Il termine deriva dall'aggettivo plurale Fasti Dies = elenco dei giorni in cui era lecito (fas) amministrare la giustizia, mentre altri giorni erano nefasti; il termine viene sentito come sostantivo.
Il nucleo più antico era attribuito a Numa Pompilio, ma ci restano esemplari epigrafici solo dell'età di Augusto e Tiberio; in questi il nucleo più antico era scritto con caratteri più grandi. A quest'altezza era una combinazione imperfetta di mesi lunari e anno solare.
La prima esposizione di un calendario scritto risalirebbe a Gneo Flavio, edile del 304 a.C. (era censore Appio Claudio Cieco, che gli permise di fare carriera nonostante fosse un liberto), mentre prima era compito dei Pontifices annunciare alla popolazione la fas dei giorni: ovviamente era uno strumento politico saldamente custodito.
Col tempo gli aggiornamenti sono necessari per l'introduzione di nuove feste, nuovi templi e commemorazioni.
Nel 46 Cesare rinnova il calendario: si azzera il ritardo e lo si blocca con l'introduzione dell'anno bisestile. Con Augusto viene inaugurato un gran numero di calendari pubblici.
Ci resta solo un calendario precedente alla riforma giuliana, i fasti anziales (??!) che sono di poco precedenti; dipinti su un intonaco poi recuperato.

Del calendario riformato abbiamo molte testimonianze: 42 secondo la raccolta di Grassi (Inscriptiones Italianae, 2° dg) fra Cesare e Tiberio. Presenta una struttura sempre uguale:
8 lettere (A-H) che sono le litterae nundinales1: gli 8 giorni della settimana più un giorno di mercato in cui la popolazione rurale affluiva in città
poi l’indicazione del numero del giorno: Kalendae (1°), il giorno dopo, tre giorni prima delle nonae ecc. (conto inclusivo), Nonae (5° o 7° a mar, mag, lug, ott), Idi (13° o 15° a mar, mag, lug, ott)
quindi la qualità religiosa del giorno: F fastus, N nefastus, NP nefastus purus, EN endopercisus cioè spezzato, mattino N e pomeriggio F, C comizialis
quindi annotazioni relative alle feste, prescrizioni rituali, commemorazioni di vittorie e sconfitte (p.e. 19 luglio Dies Alliensis sconfitta dai galli). Questa sezione si amplia nel tempo con informazioni di portata politica ideologica, particolarmente ipertrofica in epoca imperiale per la propaganda.
Un esempio è il feriale cumano (primo impero) oppure il feriale durano (da Dura Europos sull’Eufrate imperiale), lista di feste religiose al culto della famiglia imperiale: ancora all’altezza di Severo Alessandro (1° metà del III sec) tutti i reparti dell’esercito dovevano celebrare la morte di Germanico, il Dies Imperi di Traiano, Marco Aurelio ecc anche senza continuità dinastica.
2. Fasti Consulares
Elenco ufficiale dei consoli alla guida dello stato anno per anno: fondamentale per la datazione, data dai magistrati eponimi (cioè che danno il nome all’anno). L’uso di datare gli anni Ab urbe condita è solo letterario, storico o antiquario, mentre quello ufficiale era dei consoli – quindi liste ufficiali dovettero esistere fin dall’inizio dell’uso: in epoca regia non si sa come funzionasse, ma alla fine del VI sec (inizio dell’era consolare) si cominciano a redigere delle liste.
La lista a cui si faceva riferimento era quella dei pontefici che ne erano responsabili. Non ce ne restano documenti ufficiali ma verosimilmente le fonti letterarie che le usano facevano riferimento a liste ufficiali e affidabili; naturalmente resta il problema di quanto sia affidabile la parte più antica delle liste per quanto precisamente ricostruibile, sono stati posti dubbi soprattutto per la parte che riguarda il periodo fra il 510 a.C. (inizio della Repubblica) e il 390 a.C. (incendio gallico):
1.p.es. è sospetto il sincronismo fra la cacciata dell’ultimo re a Roma e la cacciata dell’ultimo tiranno dei pisistratidi ad Atene
2.nel IV secolo compaiono 4 anni dittatoriali i cui nomi sono discordanti, probabilmente non tornano i conti fra le coppie consolari e gli anni trascorsi dalla fondazione di Roma; il conto era effettuato in base al rituale di piantare un chiodo di bronzo nella parete del tempio di Giove Capitolino
3.fra il 510 e il 451 (decemviri) nelle liste dei consoli ci sono diversi nomi di famiglie plebee in evidente contraddizione con la tradizione unanime che dice che i consoli erano solo patrizi fino al 366 (leggi Licine Sestie). La spiegazione è in un’operazione successiva di famiglie plebee che fra il III e il I sec a.C. fingevano di aver raggiunto il consolato presto secondo la testimonianza di Plutarco che cita Claudio Quadrigario (I d.C.) che sosteneva che le parti più antiche della narrazione storica romana erano inattendibili a causa delle falsificazioni compiute per glorificare le gentes; anche secondo Cicerone in epoca per lui recente le gentes più potenti si inventavano antenati illustri.
Queste obiezioni comunque non sono gravi e ci sono spiegazioni per l’attendibilità complessiva: potrebbe esserci qualche anno inventato: la difficoltà a far coincidere una lunga lista di nomi ripetitivi con i chiodi piantati nella parete del tempio può aver indotto a inserire delle annate fittizie per recuperare il totale, non significa comunque che tutta la lista sia inventata; inoltre se erano falsificazioni sistematiche dovremmo trovare solo nomi di gentes importanti in epoca più recente mentre resistono alcuni illustri sconosciuti come i Sicinii.
Un’altra spiegazione è che alcune famiglie patrizie si siano estinte mentre i discendenti dei loro liberti abbiano fatto fortuna fino a rivestire il consolato. Le vere falsificazioni erano più modeste, lo spazio di manovra per inserire dei cognomina era ristretto perché le liste nella parte più antica avevano solo il nomen e il gentilizio.
3. Fasti Triumphales
Fasti Capitolini
Conservati nei musei capitolini ma provenienti dal Foro romano sono 49 frammenti di Fasti consolari scritti fra il 483 a.C. e il 13 d.C. e 41 di fasti Trionfali fra il 753 (data fittizia) al 19 a.C. Gli umanisti li consideravano ingenuamente le liste originali dei pontefici, mentre sono la monumentalizzazione della lista voluta da Augusto per celebrare i suoi successi come culmine della storia di Roma, regime in assoluta continuità col passato; in suo onore vennero affisse su un arco. I fasti trionfali vennero aggiunti in un secondo momento: quando uno dei piloni cede viene consolidato aggiungendo due passaggi minori con un architrave come contrafforte decorati con i Fasti Trionfali – il tutto viene inaugurato nel 19 a.C.
I fasti capitolini sovrapposti alle notizie degli autori antichi danno una ricostruzione sostanzialmente attendibile della lista completa della Roma repubblicana.
4. Annales Pontificum
Non si sa quando si cominciò a scrivere anno per anno gli avvenimenti principali accaduti sotto i singoli consoli. Sono registrazioni degli accadimenti della vita pubblica con risvolti religiosi anno per anno, come ci si è comportati e come hanno risposto le divinità per sapere come comportarsi in futuro.
Annali dei Pontefici veri e propri
Registrazioni destinate all’archivio ad uso dei pontefici quindi redatti su tavolette cerate o inchiostrate riunite con cordicelle (codice) o in volumina (libri lintei o papiri); sono materiali precari probabilmente copiati successivamente non si sa con quale grado di fedeltà. Sembra che coprissero anche il periodo delle origini (ovviamente non originali): Cic, De Rep, I, 25, 16 dice che la prima eclissi di sole registrata dai pontefici fu nel 400 a.C. mentre le eclissi precedenti fino a quella della morte di Romolo furono calcolate dai pontefici su base astronomica.
Tavola pubblica
Esposta anno per anno dal Pontefice Massimo; era una tavola imbiancata a calce su cui venivano scritte le indicazioni del pontefice per l’esposizione al pubblico – era quindi di grandi dimensioni e con una scelta particolare di avvenimenti ovviamente.
Annales Maximi
Conosciuti perché citati nella letteratura come opera letteraria divisa in 80 libri circolante al tempo di augusto come summa delle registrazioni dei pontefici.
Il 400 è la data (ovvero il periodo) della prima registrazione dei pontefici: tutto ciò che è precedente negli Annales Maximi sono ricostruzioni non attendibili, ma hanno lo stesso valore e criteri delle opere letterarie che conosciamo.
Cicerone raccontale registrazioni dei pontefici andavano avanti fino al 130 a.C., in cui il Pontifex Maximus P. Mucio Scevola si occupò della prima pubblicazione (?). Secondo Mommsen (1850 ca.) in questa data i pontefici smettono di registrare anno per anno e riuniscono e pubblicano tutti i materiali d'archivio in forma di Annales Maximi; più recentemente Frier (1980) ha contestato questa tesi e sostiene che la pubblicazione sia posteriore, forse d'età augustea (influenze letterarie).
Nella versione letteraria il materiale è rimpolpato: 80 libri dalle origini di Roma al 130 a.C. mentre Livio usa meno di 60 libri e già infioretta parecchio la narrazione. C'erano i nomi dei magistrati dell'anno, le tappe fondamentali delle guerre (battaglie, alleante, trionfi, tregue, armistizi ecc.), avvenimenti in patria (politica interna), avvenimenti catastrofici o straordinari (prodigia, catastrofi, stranezze varie), approvazione di leggi e senatusconsulta, atti pubblici con risvolti religiosi o rituali (quindi tutti gli atti politici: censimenti, lustra, comizi, fondazione di colonie, dedica di templi e statue, morte o sostituzione di sacerdoti)
5. Libri Pontificales
Da Romolo in poi. Libri tecnici di giurisprudenza e di tecnica rituale: norme di diritto sacro. Simili ai libri augurales, che erano specializzati nel volo degli uccelli.
Libri Lintei
Conservati nel tempio di Giunone Moneta. Ne nasce una polemica fra gli storici che disputano su una data richiamandosi entrambi ai libri lintei come fonte.
Atti del Senato
Inizialmente veniva registrata solo la delibera (senatusconsultum = parere del Senato), incisa su bronzo ed esposta al pubblico poi archiviate in posti diversi; generalmente nell'Aerarium dentro il tempio di Cerere2, mentre alcuni senatusconsulta riguardanti alleanze o privilegi personali (verso cittadini romani e non) erano conservati in Campidoglio3. In epoca più recente invece veniva registrato e archiviato tutto il contenuto delle discussioni negli Acta Senatus con proposte, interventi ecc. Nel 59 a.C. console Cesare gli Acta Senatus cominciano a essere raccolti in modo sistematico fino a diventare in epoca imperiale un archivio pubblico, importantissimo per gli storici: p.e. Tacito e Cassio Dione lamentano che lo storico del periodo imperiale può disporre liberamente solo degli Acta Senatus e non dell'archivio del principe (dalle riunioni del Consilium Principis). Il Senatusconsultum più antico pervenutoci è il De Baccanalibus (186 a.C.).
Erano ripartiti in:
Praescriptio
Nome/i del/i magistrato/i che hanno convocato la seduta e posto la questione, data e luogo (curia o templi fuori dal pomoerium per i generali che chiedessero un trionfo o volessero dichiarare guerra), nomi dei senatori estensori del testo scritto responsabili del contenuto (scribundo adfuerunt).
Relatio
Formula stereotipa “di cosa si parla” Quod Verba Facta Sunt (QVFS) + frase oggettiva oppure Quid de ea re fieri placeret.
Sententia
Parere o pronunciamento del Senato, introdotta da De ea re ita censuerunt.
Atti dei Magistrati
Il magistrato era assistito da un segretario che registrava i suoi atti ufficiali. Al termine della carica possedeva un archicio personale che si portava dietro e aveva cura di conservare: non esistevano archivi “ministeriali” pubblici. Alcuni storici augustei hanno consultato le cifre dei censimenti nelle case dei discendenti dei censori del periodo studiato: naturalmente c'era un forte rischio di manipolazione per gonfiare la gloria dei propri antenati.
Spesso veniva registrato un Diario commentarii di cui è un esempio il De bello gallico e il De bello civile di Cesare, tenendo presente le manipolazioni dovute al genere letterario o all'autocelebrazione.
Inoltre Cesare trasformò le proprie annotazioni in una sorta di giornale pubblico murale, gli Acta diurna, una versione laica del giornale del pontefice e una sorta di giornale d'attualità per il popolo. In epoca imperiale la propaganda si esprimeva soprattutto attraverso gli Acta urbis, che raccontavano gli avvenimenti e le celebrazioni della famiglia imperiale.
In epoca tardo-repubblicana la registrazione in forma di commentarii si è affermata gradualmente e tardi. Alcuni commentarii circolanti attribuiti a Servio Tullio sono probabilmente falsi creati nel I a.C. e fatti circolare per appoggiare la politica interna di quell'epoca. Nel periodo imperiale sul modello degli Acta magistrati si svilupparono gli Acta principis: archivio difficilmente accessibile ma anche il più prezioso.
Lettere, editti, decreti ufficiali dei magistrati
Lettere dei comandanti dalle città nemiche/alleate.
Relazioni al Senato sull'andamento della guerra, proposte e trattative dei comandanti.
Ci restano esemplari epigrafici e su papiro di lettere ed editti, ma tutti posteriori alla seconda guerra punica; particolare sviluppo conobbero nel periodo imperiale: si affermarono editti e lettere dell'imperatore (// maggiore burocratizzazione dello stato).
Constitutiones principi
Ovvero tutti i pronunciamenti scritti con valore normativo emessi dal principe in forza del suo imperium proconsolare maius et infinitum4. Con l'impero le altre fonti di diritto tradizionale scendono in secondo piano a favore della Constitutio principis: le leggi del Senato continuano ad esistere, mentre i comizi gradualmente spariscono a partire dal I d.C.: non votavano più le leggi, si riunivano solo per votare per acclamazione ciò che era già stato deciso.
Sono indicate da una inscriptio all'inizio (chi è l'imperatore, chi è il destinatario) e una subscriptio alla fine (luogo e data della costituzione).
Edictum
Ordinanza su temi generali e non casi singoli. Emesso con riferimento o su tutto l'impero o per una o un gruppo di province, oppure per Roma. Emessa dall'imperatore in virtù dell'imperium proconsulare maius & infinitum.
Mandatum
Ordini dell'imperatore ai governatori provinciali, destinati anche ai funzionari specifici.
Rescriptum
Risposta a una domanda scritta rivolta all'imperatore: ha valore normativo definitivo. p.e. domande fatte da parti in causa giudiziaria o da autorità giudicanti.
Decretum
Decisione presa dall'imperatore su questioni su cui decide lui di avere potere o singola sentenza su controversia giudicata direttamente dall'imperatore.
Raccolte di testi giuridici
Abbiamo notizia di molte raccolte di testi giuridici:
Codice gregoriano
Redatto da Gregorio nell'impero orientale risale ai tempi di Diocleziano e raccoglie per comodità dei giuristi tutte le constitutiones in vigore
Codice Ermogeniano
Integrazione indispensabile del precedente perché Diocleziano riforma radicalmente la sistemazione delle province dal punto di vista fiscale, amministrativo, giudiziario.
Codice Teodosiano
Raccolto da Teodosio II e giunto lacunoso dal II al V libro, mentre gli altri sono integri. Codice ordinato nel 435 e pubblicato nel 438 entra in vigore dal 1° gennaio 439 inizialmente solo in Oriente e poi anche in Occidente con Valentiniano III.
Sono 16 libri divisi in titoli, sezioni omogenee al cui interno sono ordinati cronologicamente. Attinge e supera tutte le precedenti raccolte.
Codice giustinianeo
La prima versione fu pubblicata nel 529 ma non ci è giunta. La seconda versione venne ordinata per tenere conto delle costitutiones emesse da Giustiniano per avere un corpus organico; pubblicata nel 534 d.C. e divisa in 12 libri, a loro volta divisa in titoli in ordine cronologico ripartiti in rubriche.
Digesto di Giustiniano
Raccolta di tutte le leggi (senatusconsulta + leggi) archiviate a Roma: probabilmente dopo il sacco di Alarico molti archivi non esistevano più, ma erano ricavabili dalle opere dei giureconsulti commentate.
Digesta [iura] significa leggi ordinate sistematicamente, note anche come Pandette, traslitterazione di Πανδεκταί cioè raccolte sostitutive (delle leggi).
Giustiniano autorizzò la commissione a ritoccare i testi ogni volta che fossero in contrasto con la normativa in vigore per adeguarli alla realtà attuale.
Pubblicato nel 533 in 50 libri divisi in titoli con rubriche: in ogni sezione ci sono i brani dei giureconsulti che citano la legge. Il testo era costituito del principium + paragrafi5.
Institutiones di Giustiniano
Trattatello elementare di diritto che doveva sostituire quello di Gallio (seconda metà del II d.C.); utilizzava e ordinava le norme del Codice e del Digesto riordinandole come se l'imperatore dicesse “bisogna fare così”. Sintetico e breve.
Institutiones + Digesto + Codice = Corpus Iuris Civilis.