mercoledì 30 aprile 2008

La geografia del libro, il Libraio e la Censura

La Geografia del libro
A partire dal 1454 stampatori itineranti si spostano dalla Germania in tutta Europa, ovunque trovino finanziatori per le loro opere, spesso si tratta di signori che usano i loro torchi per autocelebrarsi: tutta la tradizione a stampa è ben collegata col potere.
es. uno dei primi stampatori si insedia a Fivizzano, al servizio dei Malaspina
es. Parigi, sede di monarchia da diversi secoli è fra le prime città francesi sede di stampa, come Roma ecc.
Oppure gli stampatori si stabiliscono in città sedi di commerci perché luogo di fiera o per vocazione commerciale naturale, il libro è una merce come le altre da vendere nelle fiere generali.
es. Venezia, Aversa, Lubecca: in questo periodo i commerci via mare sono più rapidi e meno dispendiosi di quelli via terra.
Oppure gli stampatori trovavano sede nelle città sedi naturali di smercio di libri: città universitarie come Bologna o ancora Parigi.
Dati sulle stamperie insediate in Europa fra 1450 e 1500:
1455-60: da Magonza si irraggiano varie stamperie, Füst e Schöffer sono proprietari della più famosa e smerciano i loro prodotti attraverso gli stationarii delle varie città (Francoforte, Lubecca,);
1460-70: diffusione a Strasburgo, Colonia, Norimberga + pochi nomi che si spostano, fra questi Schweinheim e Pannartz a Subiaco, poi Giovanni da Spira a Venezia, altri a Foligno; la Germania conserva la sua preminenza per opulenza e presenza di molte miniere;
1470-80: con impressionante rapidità (rispetto alla lentezza dei trasporti e delle frontiere) si diffondono stamperie in tutta Italia (Milano, Bologna, Napoli, Pavia, Ferrara, Brescia, Trevi, Mantova, Mondovì, Fivizzano) e in Francia (Parigi, Lione, Poitiers, Angéres, sede degli Angiò, Tolosa), una sola in Inghilterra, ovviamente a Londra per opera di William Caxton a Westminster.
1480-90: se ne trovano ancora di più: 50 in Italia, 30 in Germania, 9 in Francia, 8 in Olanda e in Spagna, 5 in Belgio e Svizzera, 4 in Inghilterra, 2 in Boemia, una in Polonia. L'estrema ricchezza di insediamenti in Italia naturalmente è dovuto al numero ridotto di grandi centri di potere politico-economico rispetto a un gran numero di piccoli centri, città, potentati; culturalmente parlando questa polverizzazione è una ricchezza, ma a lungo andare si rivelerà una strategia perdente, laddove altrove le stamperie come tutto il resto dell'apparato tipografico sono tenuti ben vicino e sotto controllo dal potere centrale (cfr Parigi in particolare ma anche la politica dei Tudor).

Venezia nel 1480-2 ha almeno 156 edizioni: è la capitale del libro, seguita da Milano, Agusta, Norimberga, Firenze, Colonia (Parigi, Roma, Strarburgo, Basilea ecc) – in generale l'Italia è un luogo importante della produzione: fino alla fine del '400 circolano 15-20 milioni di esemplari, un numero straordinario.
Il Cinquecento:
In questo periodo l'industria del libro appare dominata da grandi capitalisti, età di commerci internazionali, anche se le grandi stamperie si concentrano nelle grandi città universitarie o commerciali.
Germania
Si differenzia in base alle fiere: luoghi di vendita generalizzata quindi anche di libri, torchi, caratteri.
Anversa: all'inizio si occupano soprattutto di libri di pietà e romanzi cavallereschi per i borghesi della città, poi cominciano a lavorare per l'esportazione verso l'Inghilterra e in breve verso il mondo.
Strasburgo: in Germania è centro di primaria importanza soprattutto per la qualità delle edizioni curate, con preziose illustrazioni, e per il commercio della carta.
Basilea: Amerbach vi fonda tipografie per trattati di teologia e diritto canonico, Sant'Agostino, con caratteri nuovi e preziose incisioni.
Magonza: esiste ancora casa Schöffer ma comincia a perdere importanza a favore di Lubecca (Germ. del Nord).
Agusta: vengono creati caratteri che riproducono la calligrafia dei cancellieri imperiali.
Dopo la riforma la Germania si spacca in un nord protestante (fiera di Lipsia) e un sud cattolico (Francoforte), ma in generale i tedeschi tendono a leggere sempre più libri in tedesco e Lipsia e Colonia, la cui importanza era stata messa in pericolo dagli scossoni della Riforma e Controriforma, assorbono le perdite con l'editoria universitaria.
Francia
Recupera il ritardo del '400: da 4 a 40 città sede di stamperie ma Parigi resta sempre il polo principale e più importante insieme a Lione, tanto che la Francia in questo periodo sembra quasi divisa in due parti: il nord sotto l'influsso di Parigi (Troyes e Rouen le sono complementari) e il sud dominato da Lione, in forte collegamento con le stamperie tedesche e italiane, in concorrenza con Venezia.
Italia
Venezia continua ad essere la prima stamperia d'Italia, ma a parte le gli esperimenti umanistici, nelle altre stamperie si sacrifica la qualità alla quantità. Roma resta un centro importante, mentre a Milano si nota una decisa decadenza.
Spagna
Non ci sono sviluppi di rilievo, la stampa è un'attività importante solo nelle città universitarie o sede di governo (Madrid, Salamanca, Barcellona, Siviglia, per il resto povertà diffusa) e resta cmq un ottimo mercato per i librai stranieri. La scelta di Filippo II di concedere il privilegio per la stampa dei libri liturgici ai Paesi Bassi è finalizzata a evitare il più a lungo possibile l'instaurazione di un'industria tipografica in Spagna per controllare meglio il consenso ma sul lungo periodo si rivela una scelta suicida: la Spagna resterà un paese subalterno, ancora nel '700 sarà Venezia a fornire i messali agli spagnoli!
Inghilterra
Nel quattrocento si era cercato di incentivare stampatori stranieri a venire sull'isola, esonerandoli da alcune tasse. Col cinquecento però le stamperie prolificano e la corona attua una politica di rigido protezionismo per costruire una solida manovalanza tutta inglese più facilmente controllabile: comincia a eliminare i privilegi agli stranieri, limita il numero delle tipografie e le concentra nella capitale (1586) e nelle città universitarie (Oxford, Cambridge, una piccola a York, per un breve periodo sede di capitale).
Il conflitto con Roma anche dal punto di vista culturale è evidente sotto questo profilo, basti pensare che nel momento della fondazione della prima biblioteca pubblica inglese ad Oxford il bibliotecario prese l'Index librorum prohibitorum come consigli per gli acquisti.
La riforma luterana
Fino al '500 lo spazio europeo è uno spazio unico, un mercato uniforme per libri e stampatori, soprattutto libri religiosi e di studio pubblicati in latino, lingua franca letta ovunque, con la riforma luterana cambia tutto: il mercato prevalentemente unico diventa sempre più diviso in base alle linee linguistiche e religiose. Nel 1517 Lutero denuncia il papa e la chiesa di Roma, secondo Eisenstein (La rivoluzione inavvertita) la riforma non ci sarebbe stata o per lo meno sarebbe stata molto diversa se Lutero e i suoi non avessero utilizzato intelligentemente la stampa: cambia l'ottica della comunicazione per fare proseliti e indottrinare chiunque avesse una minima cultura, Lutero scrive di nuovo in tedesco sia i pamphlet che le opere letterarie che la bibbia stessa (nasce addirittura una letteratura polemica scritta su pamphlet stampati). Da questo momento cominciano a costituirsi le lingue nazionali standardizzate, il mercato sovranazionale si frantuma in piccoli mercati locali in modo anche drammatico: guerre, contrasti, massacri (notte di S.Bartolomeo).

Fragnito, La Bibbia al rogo: i cattolici per molti secoli non poterono leggere il Vecchio e il Nuovo Testamento da soli, i protestanti a partire dal '500 sì; addirittura fino al 1750 non esisteva nessuna traduzione approvata e quelle non approvate vennero allora messe al rogo (es. la bibbia di Diodati, 1641, che era stata diffusa a cura dei protestanti italiani). In generale si crea in questi anni una spaccatura fra sud cattolico (Italia, Spagna) e nord protestante (Inghilterra, Germania, Olanda...), in cui circolavano le bibbie in lingua e che rappresentano una significativa perdita di mercato per i librai e stampatori del sud; la Francia resta divisa fra cattolici e ugonotti per un lungo periodo di guerre civili.

Venezia a causa di questa prima separazione del mercato decade, anche perché i tedeschi smettono di comprare anche le opere in latino (grammatiche, testi universitari) nella quantità precedente, malgrado Venezia non sia certo mai stata una roccaforte papale, anzi. Ad ogni modo alla metà del '500 cede il passo alle stamperie dei Paesi Bassi.
Anche Lipsia decade, a causa delle persecuzioni degli stampatori protestanti, a favore di Wittenberg, sede di una recente università (1500). In generale, grazie a Lutero e alla riforma, la superiorità dei torchi del nord su quelli del sud diventa meno netta.
A causa delle guerre di religione anche in Francia l'industria editoriale incontra dei problemi: molti stampatori lionesi calvinisti devono emigrare in Svizzera, a Ginevra, presso Calvino; inoltre la fiera di Lione perde peso rispetto a quella di Francoforte.
In Italia dopo il Concilio di Trento si riprende l'editoria religiosa, con la stampa della nuova bibbia e di tutta una letteratura di opere pie. Riprendono forza anche le stamperie cattoliche fuori d'Italia (Germania del sud, Colonia, Anversa), al punto che la stampa nei paesi cattolici supera e mette in crisi quella dei paesi protestanti.
Nell'Olanda settentrionale, liberatasi dal giogo spagnolo, fiorisce l'editoria protestante e si pubblica teologia, filologia, carte geografiche e atlanti monumentali, edizioni di autori classici ricercati dai letterati di tutta Europa (Elzevir). Si stampano e diffondono anche copie pirata degli autori inglesi francesi e tedeschi con false indicazioni di luogo.
dalla metà del Seicento
Si sviluppa in questo periodo una crisi prima larvata poi aperta causata in parte dalla divisione del mercato europeo nei mercati nazionali, in parte dalla diminuzione generale della ricchezza e della disponibilità economica: gli editori si appoggiano a libri di sicuro e rapido smercio: romanzi cavallereschi in lingua nazionale e simili. Nasce una guerra di contraffazioni che causa la rovina di molti editori, per esempio ad Anversa. In Francia la lotta è fra Lione e Parigi, e la fondazione di nuove stamperie alla fine viene limitata per legge.
È questo il momento del Libro Olandese, che fa da tramite agli intellettuali di Francia, Germania e Inghilterra, nazioni che fra loro si ignorano. In particolare Amsterdam diventa il secondo centro dell'editoria francese subito dopo Parigi.
I paesi slavi
Dal 1470-80 comincia a diffondersi la stampa a caratteri mobili a Cracovia e Praga, ma il vero problema è la Russia: i caratteri cirillici vengono fusi veramente tardissimo (inizi '800) e fino a quel momento le classi alte russe leggono in latino poi francese, mentre quelle basse per il poco uso che fanno della lettura usano testi manoscritti.
Boemia
Centri fondamentali Pilsen (1468) e Praga; nella prima si stampa il primo libro in lingua ceca, un testo non religioso molto bello pubblicato da un anonimo. In generale si sviluppa velocemente una discreta industria, non sufficiente però a soddisfare le richieste del mercato, per cui si ricorreva all'importazione.
Il cinquecento è l'età dell'oro dell'editoria cecoslovacca, con pubblicazioni laiche e religiose ad altissimo livello, decaduto nel secolo successivo e rinato solo col settecento.
Polonia
Cracovia è l'unica città ad avere laboratori tipografici nel XV secolo perché capitale, città universitaria e centro culturale (incrocio fra Ungheresi, Cechi, Ucraini, Bavaresi, Slesiani, Alsaziani e Franconi) ma nel resto del territorio non si sviluppa per tutto il secolo. Il primo libro stampato è l'Explanatio in Psalterium e la figura fondamentale è Swiatopolk Fiol di Franconia, grande produttore di letteratura liturgica slava. In seguito Fiol viene scacciato e diventa primate Johann Haller di Franconia, il primo ad assumere su di sé la figura di libraio stampatore ed editore, fu anche mecenate per molti intellettuali. Infine Florjan Ungler stampatore del primo libro polacco pervenutoci e il primo ad adattare alla stampa la lingua parlata dalla gran massa dei polacchi.
Dalla metà del cinquecento le officine tipografiche nascono ovunque in Polonia con la Riforma: è l'età dell'oro, che decade nel secolo successivo e si riprende solo col settecento.
Jugoslavia
Tutta la zona slava meridionale deve il suo sviluppo soprattutto a Venezia, da cui arrivano torchi, libri e stampatori, a parte la Croazia che risente della vicina Cecoslovacchia. In molte zone, però, la produzione è limitata a libri liturgici e stamperie dalla vita effimera.
Russia
La stampa dovrebbe risalire più o meno al 1553, il primo esempio datato è del 1563-4. Fin dall'inizio fu appannaggio e preoccupazione esclusiva dello stato e della chiesa, con il problema dei caratteri cirillici. Il primo funzionario che sottoscrisse un libro a stampa è Ivan Fedorov, a cui risalgono i primi libri liturgici e il modello unico a cui rifarsi fino al seicento. Dalla metà del XV secolo cominciarono ad essere stampati anche libri profani.
La maggior parte della produzione, quella per gli strati più bassi della popolazione, rimase cmq in forma manoscritta almeno fino al settecento inoltrato.
Fuor d'Europa: Nuovo mondo protestante
I padri pellegrini portano e insediano la stampa nelle prime colonie inglesi, la prima nel 1638 a Cambridge, dopo grandi peripezie, e solo dopo 40 anni nel resto del paese. Resta a lungo un'arte strumentale e povera, non ha nessuna grande espansione e resta sempre legata all'informazione e all'ambito liturgico, i libri veri e propri vengono importati dalla madrepatria per tutta la produzione più corposa in ampiezza e impegno culturale o scientifico.
La stampa si diffonde veramente solo nel settecento con la comparsa dei giornali, indispensabili in un territorio così ampio e dispersivo: ogni stampatore produce anche almeno un giornale, di cui spesso è editore e redattore; a questo punto dello sviluppo, però, i nordamericani dimostrarono di sapere ben distribuire e coordinare le stamperie sul territorio, seppure vasto.
Nuovo mondo cattolico
La stampa arriva attraverso i missionari gesuiti soprattutto quindi si occupa di religione e catechismo + qualche pubblicazione d'informazione. Gli stabilimenti più grossi stanno a Città del Messico prima di tutto, poi a Lima e in tutti i più grandi insediamenti missionari. Tutto il resto viene importato dalla madrepatria e l'introduzione di libri di fantasia è teoricamente vietata, nella pratica tollerata.
Importanza della stampa e diffusione dei libri cavallereschi nell'epica delle conquiste.
Estremo Oriente
I primi a diffondere la stampa a caratteri mobili nelle colonie africane e asiatiche sono i portoghesi, che fin dal 1515 esportano libri in Abissinia, e quindi in tutte le altre zone d'influenza: Goa, Macao, il Giappone. I sovrani portoghesi spediscono gli esploratori con casse di libri, in India la stampa a caratteri mobili comincia dal XVI secolo, anche se all'inizio si stampano solo libretti di preghiere e catechismi, solo dal seicento cominciano i contatti con gli intellettuali del luogo.
In Cina e Giappone la diffusione della stampa a caratteri mobili è più difficoltosa perché si stampava già con caratteri di legno adatti all'uso degli ideogrammi. Le prime stampe giapponesi sono ricercate da collezionisti ed eruditi come grandi preziosità. In Cina invece arrivò all'inizio del seicento una raccolta unica di testi della cultura europea grazie ai gesuiti, e si conservò fortuitamente in mezzo ai cataclismi dei quattro secoli successivi, arricchendosi dei doni delle altre missioni. La biblioteca doveva servire a tradurre in cinese le principali opere della cultura europea, e l'impresa venne cominciata con un'enciclopedia matematico-scientifica, ma il cambiamento brusco di dinastia interruppe l'esperimento; così accadde ad altri esperimenti simili nei secoli successivi, poi con l'arrivo della colonizzazione inglese e americana, mossa da minore ammirazione per le realtà locali indebolite, questi scambi alla pari smisero del tutto sostituiti dall'impero culturale inglese.
Il Libraio (ovvero: i modi della diffusione del libro come merce)
Uno dei problemi della stampa d'Ancien Regime era l'assorbimento lento della produzione: prima bisognava far passare la notizia della pubblicazione, poi l'opera e aspettare le lettere di cambio eccetera. Al contrario adesso in libreria si trovano solo i libri del momento, mentre quelli rari, che resistono più facilmente nel tempo sono libri da catalogo che fanno magazzino e sono gestiti direttamente dalle case editrici.
Le tirature
Sin dagli inizi della stampa non c'erano grossi problemi tecnici a impedire alte tirature, eppure difficilmente gli editori tentavano imprese rischiose soprattutto all'inizio a causa del problema fondamentale: l'assorbimento lento.
Le prime stampe in Italia (Giovanni da Spira) si aggirano attorno alle 100-150 copie per mandata, non di più, addirittura Schweynheym e Pannartz tentano 250-275 copie, infatti lamentano grosse difficoltà nella diffusione e devono spostarsi a Roma.
È a partire dal 1460-70 che le tirature cominciano ad aggirarsi attorno alle 1000 copie (Vindelino da Spira, Leonard Wild).
Intorno al 1480 il mercato comincia a organizzarsi: emergono i primi editori internazionali (Koberger), diminuisce moltissimo il prezzo dei libri e aumenta la cifra media delle tirature da 4-500 crescendo.
Le 1500 copie vengono raggiunte sin dal 1490 e da allora la cifra delle tirature sembra stabilizzarsi per molto tempo intorno alle 1000-1500 copie, numero stabile anche per opere di grande successo per non rischiare: la bibbia di Lutero viene stampata e diffusa rapidamente in 4000 copie ma insomma è un “caso editoriale”. Nella seconda metà del secolo un grande editore come Plantin stampa intorno ai 1250-1500 esemplari e solo eccezionalmente ha tirature minori o maggiori (solo libri scolastici e liturgici, bibbie...).
Le cifre restano simili nel seicento che si tratti di Corneille, Boileau o Grozio, ancora gli unici libri che superano regolarmente i 2000 esemplari sono libri religiosi o scolastici.
Ancora nel settecento superano le 2000 copie solo eccezionalmente le opere di grande fortuna (l'Encyclopédie in 4250, le opere dei philosophes).
Nb che anche in Italia oggi le cifre purtroppo non sono molto diverse.
Il trasporto
In generale bisogna inoltre considerare che a ogni singolo libraio venivano spedite poche copie per ogni opera stampata, per velocizzare i ritorni e assicurare l'assorbimento a partire dal cinquecento fino al seicento, con un lieve aumentare in ragione dell'aumentare del numero degli esemplari prodotti per tiratura.
Inoltre il libro è merce preziosa ma anche pesante e ingombrante: forti spese di trasporto che gravavano sul prezzo finale; i libri venivano spediti in balle di fogli sciolti dentro botti – sistema non privo di problemi perché spesso i commessi di magazzino facevano confusione.
I libri erano anche merci fragili, che soffrivano facilmente del trasporto in battello o col carro soprattutto per l'acqua e le intemperie. Per non parlare delle complicazioni che aggiungevano guerre, pirati, cambiamenti di mezzi di trasporto, molto frequenti per raggiungere la Francia o le Americhe dall'Olanda per esempio. Era comodo che un agente dell'editore sorvegliasse sul posto alla giusta ripartizione del carico.
Grosse difficoltà c'erano anche al momento del pagamento: il sistema bancario non era pronto agli scambi internazionali e prevedeva solo contanti (scomodi), baratti (soprattutto in Germania, ma col tempo si rivelò poco comodo restavano degli invenduti ecc.) o lettere di cambio. Le lettere di cambio venivano spesso mosse in modo triangolare, con complicazioni grosse quando superano i tre passaggi e vengono commerciate e scambiate; successivamente si passò alle girate bancarie.
Oltretutto in caso di interruzione del commercio fra due paesi molti editori rischiavano di fallire, trascinando con sé una catena di altri: spesso si preferiva aiutarsi che reggere a un fallimento, almeno fin al diciottesimo secolo.
Gli agenti e i librai
Il primo sistema per far conoscere e smerciare la propria produzione a stampa era quella degli agenti mandati dagli editori in città grandi e piccole a pubblicizzare la produzione, spesso con dei feuilles d'annonce a stampa che la riproducevano. Gli agenti erano quindi l'equivalente del mediatore, del distributore attuale. es. Decio Sandron, padovano, agente di una libreria di Venezia fonda una casa editrice in Sicilia nell’ottocento.
Questi feuilles si trasformarono velocemente in cataloghi, per i quali non esiste un corrispettivo moderno se non nei cataloghi online degli editori o nei cataloghi dei librai antiquari: non c'è differenza fra libri appena usciti e libri già “vecchi”, ci si possono trovare tutti i libri a magazzino dall'inizio dell'attività. I cataloghi giravano con gli agenti, appunto, ma venivano anche mandati ad altri librai, stampatori e agli intellettuali: in breve a tutta la società delle lettere, come risulta dagli scambi epistolari del sette-ottocento in cui il catalogo emerge come canale di informazione personale.
Un altro sistema di acquistare libri era la raccolta di associazioni o sottoscrizioni, cioè raccolte preventive di adesioni all'acquisto che garantivano all'acquirente un certo sconto e servivano all'editore per avere una prima liquidità con cui coprire la prima parte delle spese ma era anche una prima indagine di marketing. Naturalmente si faceva soprattutto per opere importanti e costose, spesso in molti volumi. Talvolta poteva succedere che l'editore non si sentisse abbastanza coperto o che la produzione si bloccasse per altri motivi, e non c'era da parte dell'acquirente nessuna possibilità di rivalersi – c'erano anche quelli che scappavano con la cassa, addirittura venivano fondate società apposta. Era un discreto problema, ma troppo utile per edizioni raffinate e costose, particolarmente quelle con incisioni e simili.


Naturalmente era conveniente per gli agenti frequentare le città nel momento della fiera, per incontrare una maggior quantità di pubblico e mercanti interessati. Col tempo alcuni agenti impiantarono botteghe stabili nelle città di maggior smercio. Il mercato librario si organizza rapidamente nel quattrocento con grandi editori autonomi e associazioni di piccoli e medi editori uniti nella necessità di farsi conoscere e vendere. es. a Venezia la “Nicolaus Jenson sociique” riesce ad avere agenti in molte città italiane. Con il costruirsi del mercato le tirature aumentano e diminuisce il prezzo dei libri.

Naturalmente nelle città più grandi e più ricche c'erano anche le botteghe di libraio, spesso lui stesso stampatore se non addirittura editore. I librai prima di tutto erano intellettuali che conoscevano la produzione del periodo ed erano tanto più bravi quanto più conoscevano il mercato e i gusti o le necessità del cliente, le librerie erano un luogo di ritrovo.
Le fiere
Ben presto però si rivelò importante anche partecipare alle fiere, un sistema sicuro e comodo di vendere, incontrarsi, scambiarsi libri e commissioni, regolare debiti e crediti; alcune si specializzarono per settore: nel nostro caso ci andavano librai, fonditori di caratteri, editori, venditori di inchiostri o torchi, stampatori, venditori ambulanti ecc., c'era anche commercio al minuto e in generale si regolavano i conti fra i commercianti.

La più importante fu la fiera di Lione; la città era di per sé un centro tipografico importante, a cui si aggiunge un'ottima posizione commerciale sia per le vie di mare che per quelle di terra, mette in comunicazione la Spagna, la Germania e l'Italia e quindi l'Oriente e infine l'Inghilterra. Era quindi già rilevante per altri commerci e la monarchia francese li incoraggiarono con politiche di apertura e protezione dei mercanti, sgravamento dai dazi ecc. Le fiere si tenevano due volte l'anno per 15 giorni e occupavano vie e piazze. Alla fine del periodo di vendita ci si incontrava per regolare i conti con lettere di cambio e contanti. Lione diventa anche centro finanziario importante, vi si trasferiscono molti banchieri italiani.

L'altra fiera fondamentale è quella di Francoforte. Centrale per la Germania si occupava di ogni genere di merce e anche se la stampa vi si sviluppa tardi gli agenti dei grandi librai la frequentavano già da tempo con grande profitto: non passa molto tempo perché diventi il centro di riferimento anche dei fonditori e degli incisori di caratteri. È un crocevia di ogni genere di personaggi: autori, letterati in cerca di lavoro, editori, fonditori, rilegatori, librai. Inizialmente è il polo di riferimento per la produzione libraria cattolica e dei macchinari, ma col tempo si regionalizza come fiera del libro tedesco e nell'ottocento, nonostante il paese non esistesse ancora, i cataloghi della fiera di Francoforte rappresentavano il corrispettivo della produzione annuale tedesca: l'identità nazionale tedesca si forma in qualche modo prima sui libri che come stato.

Un'altra fiera importantissima è quella di Lipsia, di tradizione editoriale antica (1479) ma che aveva incontrato alcune difficoltà nel primo periodo della Riforma: gli elettori avevano la sgradevole abitudine di bandire gli editori di fede diversa dalla loro. In questi casi il rifugio era la Svizzera, ma a partire dal 1697 circa gli elettori seguirono una politica di tolleranza sistematica, che permise a Lipsia di diventare il principale mercato delle edizioni tedesche non più solo protestanti (ma sempre più in lingua tedesca), a cui nel tempo si aggiunsero russi, polacchi e olandesi. Ma siamo già nel periodo della frantumazione del mercato europeo.

Di importanza fondamentale è la pubblicazione dei cataloghi delle fiere. Gli antenati di queste pubblicazioni precedono il 1470 nelle mani degli agenti, prima per un singolo editore poi per associazioni e gruppi più o meno grossi di piccoli editori. Ma presto si rende utile e necessario stampare cataloghi che riuniscono tutte le opere disponibili a Francoforte o a Lipsia nel periodo della fiera.
La pubblicizzazione
Il problema fondamentale era la conoscenza del prodotto, la pubblicità e la comunicazione che avveniva:
1. attraverso il rapporto con i librai, la gente, la comunità intellettuale; c'erano alcuni eruditi che funzionavano da canale d'informazione per gli intellettuali di tutta Europa (es. Peiresc, i fratelli Dupuy).
2. in Europa i primi giornali sono riviste sui libri, giornali bibliografici. Il primo è il Journal de Savants che dal 1665 (con la committenza di Colbert) raccoglie mensilmente informazioni sulle scoperte e pubblicazioni scientifiche e non in Francia, dandone spesso anche la recensione. Venne tradotto in Italia e Germania, anche in latino, e dette impulso a tutta una serie di pubblicazioni dello stesso tipo in Francia e soprattutto in Olanda, da cui arrivavano le informazioni e le idee dei philosophes e dei pensatori inglesi.
3. le varie bibliografie nazionali, che nascono intorno alla metà del '600 in Francia e hanno grande sviluppo in Inghilterra, utili soprattutto ai librai.
4. gli agenti
5. si sviluppò anche un fiorente commercio di libri d'occasione: una volta duravano di più, venivano considerati oggetti da rispettare e alla morte di studiosi o letterati senza eredi le loro biblioteche venivano acquisite in blocco dai librai d'occasione o messe all'asta per i gusto (e le lotte) dei bibliofili e degli specialisti. Se ne occupavano sia i bouquinistes che i librai ambulanti, ma anche librai specializzati.
6. i commercianti ambulanti o Col Porteurs che portavano libri nelle città piccole e nelle campagne fin dal quattrocento; oltre a libriccini, abbecedari, lunari e effemeridi portavano con sé articoli di merceria, pronostici, immagini sacre.
es. Un ricordo attuale resta nel Premio Bancarella di Pontremoli, che ricorda appunto un'attività tipica dei librai di Pontremoli e Montereggio: partivano con giare piene di libri, almanacchi, lunari ecc e per una stagione andavano a venderli in giro per il mondo
es. la casa Remondini di Bassano del Grappa utilizzava gli abitanti di Tesi per diffondere le loro opere: si sono trovate tracce dei libri portati dai tesini fin nelle Americhe meridionali, portavano soprattutto immagini sacre, calcografie, libretti illustrati.
Soprattutto in alcuni momenti della storia questo commercio ambulante serviva a distribuire opere proibite (talvolta ancora manoscritte): es. nel periodo della controriforma, prima del 1789 e durante il risorgimento,
es. Luigi Dottesio impiccato dall'Austria nel 1751 perché libraio sovversivo.
In momenti in cui stampatori e librai si trovavano senza lavoro divenne lucrativo vendere questo genere di articoli, soprattutto quelli proibiti, a volte molto costosi. Era anche molto difficile fermare questi traffici per il loro carattere ambulante, imprendibile.
Privilegi e contraffazioni
Nei primi tempi della stampa non c'era bisogno di dividersi i libri da stampare: ce n'erano così tanti da bastare per tutti, inoltre non conveniva agli editori ancora deboli farsi la guerra fra loro.
Dal cinquecento però si pone il problema dei libri di nuova edizione: la concorrenza si fece più aspra, produrre un libro appena uscito (magari a minor prezzo) era molto vantaggioso e rendeva bene. Questo sistema indeboliva gli editori più attenti e intraprendenti, che quindi presero a rivolgersi alle autorità perché concedessero loro dei privilegi, monopoli della stampa di determinati testi; probabilmente i primi furono degli editori milanesi nel 1481. In Francia il sistema dei privilegi venne utilizzato dal re per tenere sotto controllo le stamperie e accentrarle a Parigi mettendo in difficoltà quelle provinciali; negli altri paesi, meno centralizzati, le istituzioni ebbero maggiori difficoltà a controllare il mercato, anche perché non esistevano trattati o accordi internazionali.
Finché il mercato si mantenne ricco e in grado di assorbire la produzione gli editori cercarono di evitare scontri aperti (sempre a causa delle guerre di contraffazioni) e rovinose cadute perché era un mercato strettamente interconnesso, ma con il seicento il mercato si restrinse e si frazionò, divennero meno vendibili gli articoli “sicuri” di una volta (grandi pubblicazioni religiose) e si diffuse la letteratura in volgare, le pubblicazioni scientifiche, i primi giornali – tutto questo parallelamente a una crisi editoriale e a una generale scarsità monetaria. Soprattutto tra Francia e Olanda si creò una guerra di contraffazioni che mise in gran difficoltà gli editori parigini e alla fine vide vincere gli olandesi, che divennero secondo polo editoriale in lingua francese, esportavano perfino a Parigi grazie alla carente legislazione internazionale in termini di privilegi e diritti d'autore.
La censura
La censura è il controllo da parte delle istituzioni e del potere sia laico che ecclesiastico dei mezzi di comunicazione che cooperano alla formazione dell'opinione pubblica. Nasce in seno alla chiesa cattolica e assume forme differenti sia rispetto al secolo che rispetto al sistema politico in cui vivono.
Si può parlare di censura preventiva, repressiva, auto-censura ecc. in generale è il controllo della scrittura o dei suoi contenuti.
L'importante per noi è come questa condiziona la scrittura e la circolazione dei libri. Periodicamente sono stati stilati elenchi di libri proibiti in un certo stato, il più noto è l'Index librorum proibitorum ma anche negli ultimi anni del fascismo ('38) esisteva un elenco di libri da non stampare né diffondere, ovviamente in gran parte scritti da autori ebrei; in realtà tutti gli stati, sia protestanti che cattolici, da sempre (e ancora oggi) controllano la stampa, sia libraria che giornalistica – che è poi quella che fa più paura: infatti i libri li leggono solo gli intellettuali, i giornali anche il popolo.
Già da prima della Riforma i papi avevano intuito il pericolo insito nella stampa (per quanto essa potesse essere utile nell'opera di evangelizzazione) e a poco a poco si diffuse l'idea che ci fosse bisogno di un controllo preventivo su ogni pubblicazione: nasce la censura preventiva, ovvero un ufficio in cui dei censori o revisori devono visionare qualsiasi testo prima della pubblicazione.
Dall'inizio del XVI secolo in Germania l'imperatore tentò di controllare la pubblicazione dei libri con una commissione imperiale che, passata in mano ai gesuiti, tentò di bloccare il commercio di libri protestanti con il risultato di favorire la fiera di Lipsia a spese di Francoforte e senza veri risultati sul piano del controllo.
In Francia invece il re attraverso il sistema dei privilegi (dal 1563) riuscì a tenere ben sotto controllo ogni nuova pubblicazione, anche se i libri proibiti sono così tanti che i librai li tengono lo stesso, rischiando. Inoltre la decisione di Colbert di limitare il numero degli stampatori determinò la rovina dell'editoria provinciale e in generale dell'intero paese, a tutto vantaggio degli editori clandestini e contraffattori che si inseriscono in questo mercato e creano catene di vendita ben organizzate e lucrative, appoggiate dalle autorità stesse che dovrebbero controllarle. In generale la censura preventiva e repressiva non funziona gran che, in questo periodo.
Nella coscienza dei letterati non esisteva cmq già da prima l'idea che ci potesse essere libertà di espressione a mezzo stampa, fin dall'inizio (‘5-6-700) era normale il controllo dell'autorità sulle opere per la correttezza filologica. Il censore, d'altra parte, è un intellettuale, fa parte di quel mondo culturale da cui, talvolta, nasce l'eresia stessa. Di conseguenza la consapevolezza del diritto di manifestare il proprio pensiero è molto lenta, particolarmente in Italia.
La censura varia in intensità a seconda delle necessità dello stato, e se generalmente vede alleati trono e altare ci sono stati casi nella storia di divergenze anche pesanti es. Pellico il cui libro (Le mie prigioni) Metternich chiede alla chiesa che sia censurato, ma essendo esempio di virtù, sopportazione e pietà cristiana non può esser messo all'indice.
Gli strumenti che la Chiesa di Roma attua ai fini del controllo sono: la Congregazione del Sant'Uffizio (n. 1542) e la Santa Inquisizione.
L'Inquisizione esisteva già prima del Sant'Uffizio ma a un certo punto viene centralizzata a Roma e diventa Suprema, cioè centrale rispetto alle altre congregazioni. Ha come compito il controllo dell'ortodossia religiosa e delle coscienze, quindi immediatamente entra in rapporto coi libri e controlla possesso, uso e ovviamente scrittura di libri proibiti. Ricordiamo il caso di Menocchio, mugnaio friulano della fine del 1500, condannato a 15 giorni di prigione per aver posseduto due copie del Decameron: superiore alla modica quantità per uso personale.
Index librorum proibitorum
Nel 1571 si forma la Congregazione dell'Indice, cioè una commissione di cardinali incaricata di stendere l'elenco dei libri proibiti.
È un elenco da cui non vennero tolti libri (potere dei vescovi e del papa), salvo qualche piccola revisione sotto Pio XII (Lambertini); riporta autore e opera incriminata (con un'indicazione in corsivo della data e luogo della condanna) senza altre indicazioni perché ovviamente è proibita qualsiasi edizione o traduzione del testo, ne è proibita la scrittura pubblicazione vendita lettura, teoricamente sono libri che avrebbero anche dovuto essere bloccati alla dogana dello Stato della chiesa; è inoltre indicato che sono proibiti donec corrigatur, in effetti sono in molti a correggere le opere, la paura e l'autocensura durano a lungo, anche per la lunga alleanza di trono e altare anche per questi casi.
All'inizio ovviamente non si occupava solo dei libri dei contemporanei, ma in drammatico furore teologico espunse anche molte opere classiche: il Decameron, Giovenale, Properzio, Marziale, Ovidio, Orazio ecc.: vengono eliminate le opere che potrebbero traviare i veri fedeli parlando male della chiesa o dei regnanti, insegnando cattivi costumi ecc. Col passare del tempo venne inserita tutta la tradizione illuministica (Encyclopédie, Voltaire, Rousseau, Diderot...) e in generale quasi tutta la tradizione letteraria francese, Dostoevskij non c'è solo per cause meccaniche: pochissimi sapevano il russo, venivano esaminate soprattutto opere in francese (7-8000 in totale), latino, tedesco (lingua dei filosofi e dei giuristi) e poche inglesi. Quando un libro usciva veniva denunciato e quindi esaminato dalla congregazione romana, se condannato veniva inserito nell'indice e nei casi più gravi seguivano processi, come quello a Galileo Galilei e a Giordano Bruno – se veniva considerato non pericoloso riceveva l'imprimatur, eliminato dai testi italiani nel 1861. Il buon cattolico, ovviamente, non doveva leggerli pena la scomunica nei casi (e nei momenti) più gravi, addirittura per leggere Machiavelli ci vuole la dispensa papale, per altri basta la licenza da parte del vescovo (es. Manzoni nel 1820 chiede al papa la dispensa per tutti i libri proibiti che aveva in biblioteca).
Questa impostazione così aggressiva è tipica della chiesa riformata, fortemente militante e repressiva.
L'Index porta in copertina una xilografia che riporta una scena degli atti degli apostoli, quando questi chiedono ai cristiani di portare i libri di magia allora molto diffuse e le bruciano. I roghi di libri sono stati effettivamente fatti non solo nell'ambito della chiesa cristiana. Cfr Storia della distruzione dei libri
Quando si diffonde negli stati la libertà di stampa il potere proibitorio diminuisce: Gioberti, prete condannato per i suoi scritti dice che più che altro è propaganda.
La Congregazione dell'Indice viene sciolta nel 1917 e passa i suoi poteri alla Congregazione del Sant'Uffizio, che si occupa soprattutto di questioni filosofico-religiose e per esempio condanna Gentile e Croce, ma ha potere reale solo nello Stato della chiesa, per il resto dipende dai legami politico-diplomatici con gli altri stati, es. Venezia nel Seicento si trova a difendere Paolo Sarpi e non Pietro Giannone per differente opportunità politica, es. ad inizio ottocento la maggior parte degli stati preunitari adotta l'Indice in virtù del legame fra trono e altare.
Nel 1966 vengono eliminati anche i poteri dell'Indice, che diventa una vaga indicazione morale. Solo l'Opus dei continua a diffondere l'Indice oggi.
Libertà di pensiero
Ancora a metà settecento questa consapevolezza è indietro: la prima richiesta della libertà di stampa risale al 1644 con l'Areopagita di Milton, un appello che usava il riferimento alla tradizione ateniese nel momento delle rivoluzioni inglesi.
In Italia bisogna aspettare l'inizio dell'ottocento con Gaetano Filangeri, giurista illuminista che scrive nella Scienza della legislazione che non è che non ci siano libri malvagi, ma il Tribunale della Pubblica Opinione deciderà quali opere sono buone e quali pessime – è un'ingenuità ma nel 1783 se lo può permettere. Le prime due formulazioni ufficiali sono nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 (ma un'espressione larvata si trovava già nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo americana: “la stampa è libera”) che diceva c'è libertà di opinione, per quanto tutte le costituzioni derivate stabiliscono una censura piuttosto repressiva: la stampa è libera salvo reati d'opinione, aboliti molto recentemente – naturalmente tutto questo è piuttosto ambiguo, e l'ambiguità si protrasse particolarmente in paesi come l'Italia, dove c'era libertà di religione ma il vilipendio alle istituzioni coinvolgeva anche quello nei confronti della chiesa cattolica (e quindi esaltazione di altre religioni come contestazione delle realtà cattoliche), religione di stato fino al concordato di Craxi.
Ad ogni modo l'importante è che si arrivi alla consapevolezza del diritto, del principio ideologico, per quanto subito disatteso: fino al 1848 (es. secondo lo Statuto Albertino per un certo periodo in Piemonte c'è libertà di stampa eccetto calunnia e vilipendio, per i quali può intervenire il sequestro da parte della magistratura) non esiste libertà di pensiero da nessuna parte, anzi viene attuata la censura preventiva.
Il fascismo e lo stesso regime comunista non hanno mai messo in discussione la libertà di stampa per principio perché non ce n'era bisogno, il controllo era più raffinato e più sottile (o più pesante), ma insomma c'erano molti altri strumenti utili a questo fine:
1. prima di tutto l'autocensura,
2. il MinCulPop attua un sistema di finanziamenti, sovvenzioni e agevolazioni ovviamente dirette solo verso gli editori vicini al regime e tutti tranne due o tre si adeguano
3. vengono attuati sequestri improvvisi soprattutto di giornali, che ne impediscono la riuscita editoriale e quindi la sopravvivenza
4. alla fine, dal 1938 si arriva a un controllo più severo, si stila un elenco di autori che non possono pubblicare, soprattutto ebrei. Croce, per quanto personaggio scomodo, continua a pubblicare grazie alla sua visibilità internazionale
Oggi stampa e tv sono libere, ma i loro editori? Cfr Berlusconi e “l'editto bulgaro”. Ci sono principi costituzionali ma anche forme di controllo che hanno a che fare con finanziamenti e mercato, che operano una censura ben più operativa attraverso auditel e classifiche di mercato: la censura dell'editore. Ovviamente l'editore privilegia chi vende di più, e poi ci sono forme di finanziamento da parte di banche che privilegiano i marchi più noti o appoggiati o con buone garanzie es. ministeriali per le Edizioni Nazionali. È una forma di autocensura.

Storia della stampa: nascita e figure

Storia della Stampa e dell'Editoria

Dall'attività individuale degli amanuensi si passa ad un'articolazione del lavoro di tipo imprenditoriale con la bottega fornita di lavoranti e precise richieste di manoscritti: i cartolarii nelle grandi città universitarie (innanzitutto Bologna e le città inglesi) dal 1000 in poi. Per imprenditoriale si intende promettente finanziariamente: si occupano di libri i mercanti, gli intellettuali, gli insegnanti, gli aristocratici (cfr iscrizione in Santa Croce di Vespasiano da Bisticci, cartolaro)... ci si occupa di manoscritti commerciali, bibbie miniate ecc.
Le teorie sulla nascita
Motivi che rendono utile e necessaria la nascita della stampa:
1. Necessità per l'aumentare della domanda, produzione in serie più rapida e meno costosa. (interpretazione classica) Legato all'aumento della qualità della vita e quindi della necessità di avere un'istruzione
2. Necessità filologiche: esigenza dell'umanesimo legata al nuovo sviluppo dell'identità dell'autore del testo, della sacralità del testo (poter commentare, mutare o tagliare a pezzi), della proprietà del testo: con l'umanesimo nasce la necessità di riportare il testo alla volontà originale dell'autore. (interpretazione letteraria)
Nb: il testo stampato è fisso, immobile, stamparlo chiude la possibilità di modificarlo e separa nettamente testo e glosse; nello schermo del computer come nel manoscritto il testo è mutevole, fluido.
3. Necessità dell'alto: istituzioni e poteri (Stati e chiesa) hanno bisogno di mettersi in relazione con i fedeli e i sudditi: la stampa dà questa possibilità immediata. Per esempio Schweynheym e Pannartz nel 1463 fondano la prima tipografia in Italia a Subiaco (grande monastero benedettino ricco di testi) ma falliscono; si spostano quindi a Roma, dove incontrano maggior successo perché il potere ha bisogno di loro per l'informazione e la costruzione del consenso, infatti i primi stampati ad alta diffusione sono avvisi o fogli volanti, fogli per le indulgenze (cfr Martin Lutero); (interpretazione di Petrucci: mentre Febvre e Martin sono entusiasticamente sicuri della positività della cosa, lui è più dubbioso). Nello stato laico, soprattutto se grande e complesso come l'impero i fogli stampati prendono in gran parte il posto dei banditori, diventano importanti anche nei grandi mercati e nelle fiere. Ad ogni modo le prime tirature difficilmente vanno esaurite perché l'organizzazione della produzione dei copisti era talmente elevata da avere copie sufficienti anche senza la stampa: i libri in realtà bastavano! Inoltre l'avvento della stampa non cancella la produzione e la vendita di manoscritti: fino all'ottocento resiste la produzione in serie dei manoscritti con il loro mercato particolare.
La nascita del libro (L'apparition du livre)
1. La Storia del Libro: da interesse di bibliofili ed eruditi diventa mezzo per lo studio culturale e intellettuale
2. Bibliologia: in Italia un panorama desolante. Il libro arriva in Italia nel 1976 (18 anni dopo la prima edizione) grazie a Petrucci, dopo questa data si comincia a parlare di libro e stampe come parte di un processo sociale complesso ed articolato. Sconcerto per l'allargamento di orizzonte dei bibliotecari: da esterna e descrittiva a interna e storica, perfino retorico-letteraria
3. Ideologia e Metodo: positivismo bibliofilo di Febvre e Martin, che considerano il libro (oggetto, valore, testo) come un fattore indifferenziato dal tempo, dalla società, dalla funzione e dalla fruizione – sottilmente mistificante, in realtà è oggetto del dominio dell'uomo sull'uomo
4. Dal Manoscritto alla Stampa:
a) passaggio che investe la produzione, non il prodotto perché i manoscritti sono sempre fonte del testo e della forma
b) i lettori di professione (università, scienziati, umanisti) erano soddisfatti dalla produzione 'industriale' nella forma dei cartolarii con la tecnica a foglio intero
c) i lettori borghesi sarebbero stati soddisfatti ancora per secoli dalla produzione manoscritta
⇒ non sono esigenze di pubblico – piuttosto si tratta di esigenze di pubblicità, comunicazione e prodotti non librari da parte di istituzioni pubbliche, religiose o laiche,
i prototipografi si rivolgono ad un pubblico tradizionale in forme tradizionali (abbreviazioni, lettere gotiche, 2 colonne fitte...)
5. Libro e Potere: piccole officine tipografiche nomadi in cerca di capitali si spostano dal 1475 verso i grandi centri urbani e si trasformano in ditte organizzate e fornite di capitali + collegamento col settore pubblico in ragione di dipendenza e subalternità: committenza: finanziamenti: controllo; la stampa è strumento di potere e del potere
6. in Italia:
a) Firenze: libro popolare e di devozione a larga diffusione ( alfabetizzazione diffusa, religiosità savonaroliana, tradizione manoscritta volgare e popolare) ma senza margini, incisioni xilografiche, poche pagine, formato ridotto
b) Napoli: libro di lusso manoscritto (corte aragonese) Giovanni Maria Cinico, Mattia Moravo, Francesco del Tuppo → influenze oltremontane + sintesi autonoma + pop - ma per quale pubblico?
c) Roma: produzione variegata ma destinata ai turisti di passaggio, non al popolo (semicolto), infatti difficilmente in volgare
7. Didattica e Apprendimento: fino a quel momento quasi esclusivamente orale (tavolette cerate, fogli volanti) ORA diventa scritto e basato sul libro + uniformazione dei processi didattici + possibilità di controllo diretto (es. Gesuiti). Nasce il libretto da mano (Manuzio, Enchiridion), un modo di leggere comodo, disimpegnato tipico del borghese.
Cfr McLuhan: la cultura tipografica e la cultura manoscritta
Appercezione visiva
lettura silenziosa
omogeneizzazione degli schemi mentali
omogeneizzazione degli schemi culturali Appercezione sensitiva
lettura ad alta voce
diversità particolari
8. Cfr controllo e censura controriformistica sulla stampa: blocco delle opere protestanti

Nb: Quando si parla di mondo ci si riferisce al nostro continente perché le cognizioni che abbiamo si riferiscono praticamente solo all'Europa. In Corea già molti secoli prima del 1400 venivano usati caratteri mobili in argilla e probabilmente non c'era stata comunicazione con Gutenberg, per quanto a questo proposito ci siano scarse notizie sull'attività sia di Gutenberg che di altri, in particolare qualcuna di più per il più famoso, che si suppone essere stato il primo; ad ogni modo in Germania la era l'invezione era matura.

Intorno alla metà del XV sec si profila la differenza fra Ars Naturaliter Scribendi e Ars Artificialiter Scribendi, quest'ultima caratterizzata dalla produzione in botteghe artigiane in cui dal '400 al '700 non ci sono grosse modifiche nella modalità di produzione. Cambia con l'applicazione del modo di produzione industriale alla stampa periodica: 1814 esce il giornale Times come informazione popolare, nello stesso periodo un'applicazione importante sono le liste che diffondono i morti napoleonici. In Europa si sviluppano innanzitutto i fogli volanti, poi i libri e infine i giornali, negli USA pochi libri e moltissimi fogli volanti e giornalismo ben prima di un vero sviluppo editoriale librario. Nel primo ottocento (interregno) coesistono il giornale stampato con la macchina a vapore e il libro impresso col torchio. La frattura cmq sta fra la produzione artigianale (Ancien Régime Tipographique [Chartier]) e quella industriale imprenditoriale.

Le funzioni sociali del libro
Editore (ovvero: Il libro: una merce pp.129-154)
Il termine deriva da EDO = mangiare oppure mandare fuori, rendere pubblico (cfr giochino di Tommaseo che nel secondo ottocento sottolinea la voracità degli editori che mangiano a spese degli scrittori, tema ricorrente fra gli autori cmq).
Nel Dizionario della lingua italiana pubblicato a Bologna nel 1821 il vocabolo non esiste, neanche EDITOR nel senso latino né in dizionari di lingua latina.
Nel Dizionario di Padova di Carrer viene definito “colui che ha cura di rivedere e dare alle stampe l'opera altrui” => quindi più simile all'editor inglese o revisore
Nel Vocabolario della lingua italiana del 1861 viene definito come “quel tipografo o libraio che stampa o fa stampare a proprie spese le opere altrui”.
La differenza sta proprio nel “a proprie spese”: l'editore è in sostanza il finanziatore.
In vocabolari recenti cfr: DeMauro “imprenditore, società o ente che pubblica libri, giornali, musicassette, videocassette e sim., o che produce informazione attraverso testate giornalistiche televisive; agg.: che svolge attività editoriale”
su google “la società o persona responsabile della pubblicazione di un libro o documento bibliografico in quanto finanziatore => diverso dall'editor anglosassone
cfr anche www.aie.it = Associazione Italiana Editori, che ne dà una definizione per negazione.
Il prezzo di costo
Nella fase manoscritta i costi di produzione derivano da: copista, carta, stilo, inchiostro; un processo molto costoso soprattutto all’inizio.
Con l’invenzione della stampa i costi si abbassano ma è ancora una faccenda piuttosto dispendiosa:
il TORCHIO era forse quello che incideva meno: valeva pressoché quanto un set di caratteri nuovi, e per di più i torchi si potevano affittare per somme relativamente modeste;
la CARTA costa moltissimo (51% del totale o addirittura di più, con una proporzione stabile fino al ‘700): viene prodotta dagli stracci ma quella da stampa deve essere raffinata => con solo stracci di cotone bianco lavorati con acqua dolce depurata dal calcare; inoltre il torchio “mangia la carta”.
i CARATTERI MOBILI (prima: libretti xilografici) sono prodotti colando in una matrice del piombo fuso con leghe varie ma avevano una serie di problemi: se provenienti da artigiani diversi potevano risultare diversi, inoltre si usuravano con una certa facilità e andavano rinnovati spesso. Inoltre per parecchio tempo vennero prodotti quasi esclusivamente in Germania quindi c'erano anche tutti i costi dovuti a dazi e trasporti.
gli OPERAI STAMPATORI non erano facili da trovare sul mercato, eccetto chiaramente i torcolieri, responsabili solo di azioni manuali. (cfr)
Una volta radunato il materiale servivano però ingenti capitali perché produrre e smerciare regolarmente libri era un'attività che restituiva lentamente gli investimenti (spedizioni in giro per l'Europa ma anche ASSORBIMENTO locale LENTO) e il magazzino (vera ricchezza di un editore) era costoso, inoltre l'editore tolti salari dei lavoranti aveva pochissimo margine per sé e per altri investimenti.
Ecco perché gli editori puntarono sempre a opere di sicuro smercio e tentarono di portare avanti più di un testo per volta, per recuperare qui quello che perdevano là.
Il finanziamento
Per tutti questi motivi c'era bisogno di un finanziatore capace di stanziamenti consistenti: nel 400 gli stampatori impegnavano il loro materiale, col rischio di perdere tutto o dover scappare lasciando debiti; nel 500 giravano di città in città, sperando di trovare un capitalista che investisse su di loro; nel 600 vivono alla giornata e sono ridotti in miseria dai sussulti del mercato.
Generalmente l’editore era un libraio stampatore: fino alla metà dell'ottocento resiste il modello tradizionale della bottega artigiana con una vetrina e la bottega, nel retrobottega al massimo tre torchi e qualche operaio quando non è il libraio stesso a imprimere le pagine. Raramente si trovano imprese che riproducono questo modello in scala più ampia: i Remondini di Bassano del Grappa possedevano una cartiera, torchi e una libreria – un ciclo integrale di questo tipo permetteva un abbattimento dei costi notevole, infatti la ditta sopravvisse con alterne vicende per duecento anni: dalla prima stampa nel 1661 alla cessazione attività nel 1861.
A volte il finanziatore era esterno alla bottega artigiana, in generale è facile che istituzioni laiche o religiose diventino finanziatrici, a volte come committenti, a volte solo interessati al soldo:
es. il finanziatore di Gutenberg era il banchiere Füst
Es: Hagenau. Cittadina situata fra Strasburgo e Basilea, non lontana da Norimberga e Francoforte era città di tappa, quindi di passaggio per i tipografi, non distante dalle cartiere francesi e dai mercati che rappresentavano le grandi città; c'è anche una discreta quantità di mano d'opera a buon mercato. Ma l'unico stampatore che riesce a fare fortuna è quello (Gran) che trova un finanziatore stabile (Rynman) con cui si accorda sulla carta, sui caratteri e sul formato, che si accolla i rischi e gli fa ordini; ben presto Gran riceve commesse anche da altri librai e mette in piedi un'officina dalle metodologie industriali, i tipografi affollano la città che diventa un centro importante.
Es: Lione, già grande centro commerciale (e finanziario), sede di fiere frequentate 4 volte l'anno. È anche centro intellettuale grazie alla presenza di un ceto dirigenziale colto (la famiglia dei Borbone e in particolare il reggente dell'arcivescovo decenne, più tardi l'arcivescovo stesso) e di una colta. Nella città cresce l'impresa di Barthélemy Buyer, figlio di un ricco commerciante con la passione per la cultura che accoglie in casa un tipografo ambulante (Le Roy) e mette su un'officina attivissima che apre succursali in molte città francesi (Avignone, Parigi, Tolosa) con grande fortuna quasi dappertutto.
es. Vérard a Parigi da direttore di un'officina di copia di manoscritti si fa libraio-editore, cambiando in parte clientela ma curando anche edizioni di lusso stampate su pergamena; ha due negozi a Parigi e succursali a Tours e Londra. Cose simili per Koberger di Norimberga.
es. Jean Petit è il prototipo del libraio capitalista: figlio di macellai ma persona colta diventa il libraio degli studenti e diffusore delle idee dell'umanesimo, diventa presto centro di molte iniziative (economiche) a Parigi. È in contatto con uno dei principali tipografi dell'epoca: Josse Bade, del cui lavoro non ha l'esclusiva ma a cui affida le edizioni più importanti. Ha contatti in tutta la Francia fino alla Normandia e in Germania.
es. il papa dopo il fallimento di Subiaco era il finanziatore ufficiale di Schweinheim e Pannartz

Dall'inizio del cinquecento i grossi editori-librai perdono l'abitudine di prendersi i tipografi in casa e preferiscono rivolgersi a quelli già insediati sul territorio, senza esigere il monopolio del loro lavoro ma procurando solo per se stessi alcune serie di caratteri, lettere ornate o illustrazioni che distingueranno il lavoro da loro commissionato.
I grandi librai cercano sempre di aprire grandi tipografie, in cui il lavoro è diviso in modo razionale e senza dispersione di forze, per guadagnare in costo e qualità del libro.

es. Torresano a Venezia affida la direzione della sua officina a un povero dotto: Aldo Manuzio, che la trasforma nel più grande centro di produzione culturale dell'umanesimo. Quando Manuzio si trasferisce da Bassano infatti ne sposa la figlia e lo convince a INVESTIRE finanziariamente sul suo progetto (salvare ripubblicandole le opere della tradizione greca); dopo una grande fioritura nel cinquecento nel ‘600 decade e rinasce nel 1700 grazie ai finanziamenti aristocratici per i messali rossi e neri da vendere in Spagna.
es. Christophe Plantin ad Anversa nasce privo di beni propri e comincia a lavorare in tipografie. Quindi si stabilisce ad Anversa, intuendo la ricchezza del mercato e vivacchia fino a trovare dei finanziatori che lo lanciano: sale fino al segretario di Filippo II, che gli finanzia la bibbia poliglotta grazie alla quale si fa un nome e gli viene affidato il privilegio delle opere liturgiche per la Spagna (= monopolio + forma particolare di finanziamento: naturalmente questo pesa negativamente sull'industria editoriale spagnola). Nasce così la più grande manifattura di libri fino all'800.
es. la famiglia Giunta. Per eredità familiare nipoti, cognati e fratelli si occupano di smercio (e stampa) di libri in tutta Europa, in modi di volta in volta diversi.
es. alla metà del '700 il regno borbonico (Carlo III) fa pubblicare a buona tiratura le Antichità di Ercolano a scopi celebrativi e di lustro
es. ancora: durante il fascismo (1938) il libro unico per le elementari viene affidato ad un unico editore
es. il finanziatore può essere una società, come la Società Palatina (società di intellettuali che si auto finanziano) si occupa dell'edizione delle opere di Muratori.

Bisogna ricordare che oltre a questi grandi capitalisti la maggior parte del mercato era gestita da piccoli artigiani, magari riuniti in associazioni temporanee, in piccole società costituite appositamente per certe edizioni e simili. È piuttosto raro che un libraio-editore prenda su di sé anche il rischio della tipografia, è più comodo demandarla ad altri.
Di solito i grandi librai sono i banchieri e le librerie commissionarie di quelli più piccoli, in base al sistema delle lettere di cambio triangolari.
Non bisogna neanche dimenticare l'importanza che ebbero le istituzioni sia religiose che laiche come finanziatori di tipografi e editori grandi e piccoli, per opere singole o in base al sistema dei privilegi.

Nell'editoria contemporanea si registra una disfunzione (EDITORIA ASSISTITA) fra piccoli e medi editori: in Italia la maggior parte di loro non sono editori perché non si assumono alcun rischio editoriale ma vengono pagati dai singoli o dall'università o da istituzioni locali (province, comuni, circoscrizioni...): sono praticamente sol prestatori di marchio; anche la collana Lorenzo Valla, per dire, edita da Mondadori, è completamente finanziata dallo stato.

Autore
La rivendicazione degli utili sulla stampa delle opere dell'ingegno degli autori non era immaginabile prima dell'invenzione della stampa: ognuno era libero di copiare i manoscritti e sarebbe stato folle immaginare il contrario. Anche all'inizio della stampa lo stampatore non aveva il monopolio sulle opere che pubblicava e se lo scrittore non poteva provvedere a se stesso da solo ricorreva agli aiuti dei mecenati, facendosi riservare al momento della stampa, un certo numero di copie da mandare in dono a signori dotti con dediche lusinghiere in cambio (non richiesto ma atteso) di doni in denaro o in natura. Con il passare del tempo, però, il mercato delle edizioni dei classici si esaurisce e si moltiplicano le contraffazioni. Gli autori vivono di composizione nelle case editrici che li pubblicano o del tradizionale mecenatismo: fino al seicento è ritenuto poco onorevole vendere l'opera del proprio ingegno, ma poi dall'omaggio di alcune copie a piccoli doni si passa, con il XVII secolo a un vero e proprio pagamento in denaro, in alcuni (pochi) casi anche piuttosto ingente: il più delle volte gli autori vivono della vendita di prefazioni, del mecenatismo dei signori.
Con il settecento cambiano ancora le cose quando gli autori vedono gli editori arricchirsi su libri che avevano pagato una tantum e da cui non ricevono più nulla mentre quelli si vedono rinnovare il privilegio di stampa in continuazione. Allora gli autori cominciano a farsi stampare le opere per conto proprio, suscitando ovviamente le ire degli editori, che ostacolavano con ogni mezzo lo smercio di opere pubblicate per conto dell'autore. Eppure, sotto il peso dell'opinione pubblica, questo sistema stava diventando generale in Francia, mentre in Germania nascevano delle cooperative di scrittori.
In Inghilterra invece a partire dal 1710 la regina Anna riconobbe un diritto che era stato di fatto si dice fin dal seicento: il copyright del testo all'autore, l'esclusiva della stampa e della vendita per 14 anni rinnovabile ad altri 14 se è ancora vivo. Durante il secolo XVIII i prezzi aumentano e gli scontri fra librai ed editori finiscono sempre più spesso nei tribunali, difesi ad alterne vicende dalla corona.
Con un decreto del 30 luglio 1778 gli autori godono di privilegi illimitati, gli editori di privilegi temporanei (10 anni) non rinnovabili se non con l'aumento di un quarto. Nel 1793 la tutela giuridica acquisisce la figura attuale, in cui si parla effettivamente di proprietà che si può cedere in parte o del tutto e che continua dopo la morte in favore degli eredi per dieci anni.
Il mestiere dell'autore non garantisce sempre una sopravvivenza agiata, anzi da allora è il mercato a decidere chi arricchire e si va inesorabilmente verso un decadimento della qualità a vantaggio della quantità di pubblico e quindi dell'opera .

Il problema della tutela della proprietà intellettuale trova inoltre ostacolo nella reciprocità necessaria fra stato e stato per evitare complicazioni sia sul piano economico che intellettuale.
es. in Italia il diritto d'autore esisteva in tutti gli stati preunitari ma c'era reciprocità solo fra il Granducato di Toscana e lo Stato di Milano, nel regno borbonico vengono prodotte stampe pirata che danneggiano editori e autori settentrionali. Nel 1861 la legislazione viene unificata e si risolve il problema. Nascono le associazioni degli autori e degli editori e quindi la SIAE, libera associazione fondata il 23 aprile 1982 che riunisce gli autori italiani e da subito si definisce società per la tutela della proprietà intellettuale ed artistica.
Questione della Convenzione Internazionale: l'Italia aderisce subito alla convenzione di Berna (1886), che la unisce a Germania, Belgio, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Haiti, Liberia, Svizzera, Tunisi (USA alla fine degli anni '90) nella spartizione e nella tutela dei diritti degli autori e degli editori. Segue immediatamente la rivoluzione industriale e viene applicato anche alla stampa in serie. Diventa un'unione per la protezione dei diritti degli autori, che godono in tutti i paesi dei diritti delle loro opere nella misura in cui i vari governi li concedono ai loro stessi cittadini. Normativa unica per tutti i prodotti dell'ingegno.
In Italia è vigente ancora la legge del 1941 e il problema non è rilevante solo per il settore librario. Il diritto d'autore vale per la durata della vita dell'autore più 70 anni, esclusi gli accordi e le scritture private fra autori e case editrici.
Si riesce a vivere della professione intellettuale solo essendo presenti sul circuito mediatico. Il mercato librario italiano è esiguo e coincide con il mercato dello stato italiano, per altro affetto da analfabetismo di ritorno.

Stampatore
Termine d'antico regime, ora tipografo o proprietario di uno stabilimento tipografico; stampatore per conto proprio o per conto di terzi, può essere l'editore o lavorare finanziato da altri. Fin dai primi anni le officine si caratterizzarono per efficienza e razionalizzazione dei sistemi di produzione, seppure gli operai stampatori sono sempre considerati lavoratori manuali. Sono comunque lavoratori sui generis a metà fra operai e intellettuali, infatti i primi sindacalisti e socialisti nascono nell'ambiente del libro
Competenze in bottega: usare il torchio, i caratteri ecc. Lo stampatore sovrintende e organizza: es. Manuzio conosceva latino, greco ed ebraico per correggere le bozze.
Inizialmente escono molti testi inaccettabili perché stravolti da stampatori ignoranti o inesperti, mentre la stampa dovrebbe essere garanzia di assenza di manomissioni errori ecc. Nascono allora le corporazioni che stabiliscono le regole per accedere al mestiere, i requisiti: es. un tot (6-8) anni di tirocinio presso botteghe già avviate, conoscenze specialistiche in ambito tecnico o intellettuale (greco, latino...). La prima corporazione è quella di Venezia (1548: l'Arte della Stampa, che dura fino al '700), nel 1557 nasce la corporazione di Londra, nel 1570 quella di Parigi, nel 1608 a Roma (insieme di stampatori e librai). Limitare l'accesso alla professione è utile soprattutto in momenti di crisi, è utile anche in caso di discussioni con le controparti come lo stato e le fratellanze operaie/sindacati (il primo sciopero presso Plantin nella seconda metà del 500, aveva un centinaio di operai) e serve a regolare il numero di apprendisti/operai non pagati.
I lavoranti (pp. 156-166)
Si diventa apprendisti dai 12 ai 25 anni, in genere fra i 15 e i venti, essendo figli di borghesi o lavoratori di vario genere, più spesso di stampatori. l'apprendistato dura dai due ai cinque anni, in cui si è incaricati di svolgere tutte le mansioni spicciole e minori dell'officina, spesso mal visti dagli altri lavoranti perché gli apprendisti, costando poco (vitto, alloggio, vestiti e pochi spiccioli) venivano assunti al posto dei lavoranti veri e propri.
Una volta conquistato il brevetto l'apprendista diventava lavorante e partiva per un lungo viaggio attraverso l'Europa o semplicemente il suo paese, ospite di stampatori per imparare nuove tecniche, spesso sposava la figlia di un maestro ma più facilmente tornava nella sua città d'origine e si faceva assumere in una bottega.
Il proto era il capo officina, guida, controlla e paga il lavoro di torcolieri e compositori, corregge le prime bozze, sorveglia la pulizia dell'officina.
I lavoranti di coscienza sono quelli chiamati per lavori particolarmente delicati
I lavoranti a cottimo sono compositori e torcolieri, poi ci sono i correttori di bozze, a volte studenti, intellettuali, autori, più spesso i maestri o un membro della loro famiglia.
Generalmente i lavoranti sono divisi in squadre, ma queste differenziazioni e divisioni ci sono solo nelle officine più grandi e organizzate, le più rare – nelle officine più diffuse non c'erano più di un paio di lavoranti e per grossi lavori aiutavano anche la moglie e i figli del maestro.
La giornata del lavorante era molto dura: 10-12 ore di lavoro al lume di candela in officine semi-interrate, con obiettivi di rendimento altissimi e d'altra parte la paga non era necessariamente maggiore rispetto a quella di operai non specializzati e mansioni non intellettuali, talvolta addirittura minore.
Inoltre gli operai vivevano una situazione estremamente precaria: in momenti di scarso lavoro potevano venir licenziati e ridotti in miseria – in officine che vivevano delle pubblicazioni dei tribunali la chiusura stagionale provocava disoccupazione stagionale. Per questo spesso i lavoranti si davano al traffico illecito di libri o al commercio sottobanco dei libri del proprio maestro.
Le lunghe ore passate insieme, i disagi sopportati fanno dei lavoranti stampatori una classe coesa, orgogliosa della sua condizione e del suo status, pronta a creare fratellanze cittadine o d'officina spesso mal viste e ostacolate dai maestri, radice delle future associazioni e sindacati. Spesso deve intervenire lo stato a sedare le rivolte, in modo particolarmente evidente e precoce alla metà del XVI secolo, quando l'innalzamento dei prezzi abbassa il valore reale degli stipendi dei lavoranti che scioperano – assecondati più spesso da tribunali e comuni svizzeri piuttosto che dalla corona francese, sempre piuttosto dura e dalla parte dei maestri.
Le lotte ottengono alcuni miglioramenti della vita dei lavoranti, nel tempo soprattutto rispetto alle condizioni di altri operai del tempo, ma restano misere e poche le possibilità di migliorare la propria posizione.
Maestri: stampatori e librai (pp. 166-198)
Non tutti i librai avevano un'officina, anzi quasi nessuno, ma la maggior parte dei tipografi teneva bottega di libraio e i maggiori reinvestivano gli utili nella pubblicazione di libri.
Il maestro di stamperia si deve fare carico di molto lavoro: devono sorvegliare tutte le fasi della produzione (soprattutto la correzione delle bozze), occuparsi della bottega ed eventualmente cercare lavoro dagli editori per ampliare la propria attività.
D'altra parte il libraio, soprattutto se è anche un editore deve scegliere i testi da pubblicare, mantenere i rapporti con gli autori, procurarsi la carta, fornirsi di stampatori e controllare il loro lavoro, preparare la vendita delle nuove opere e controllare che il negozio sia fornito. Deve anche, ed è suo compito principale, mantenere le relazioni con i corrispondenti esteri e di altre città, sia attraverso decine di lettere che con viaggi, in cui spesso è sostituito da segretari o parenti stretti.
La necessità di riunirsi in corporazioni è spontanea anche nei maestri (editori, stampatori, librai), all'inizio solo per celebrare messe, scambiarsi informazioni, concordare uscite di libri e aiuti per i compagni finiti in miseria, poi, con il diminuire della ricchezza, per difendersi dalle richieste dei lavoranti e operai e dalla concorrenza di altri stati e città; le corporazioni si formano in tutti i paesi eccetto l'Olanda. Gli stati incentivano la nascita di associazioni e corporazioni per meglio controllare le pubblicazioni, e spesso mettono becco nella nomina di sindaci e assessori. In genere i lavoratori del libro costituiscono un piccolo mondo chiuso, all'interno del quale si nasce e si cresce (o si decresce, economicamente), all'interno del quale ci si sposa e da cui difficilmente ci si allontana, per prestigio soprattutto: librai e stampatori sfilano nelle processioni subito dopo i professori universitari, si imparentano con gioiellieri, possono aspirare ad acquistare titoli nobiliari, a diventare grandi imprenditori.
STAMPATORI UMANISTI
È pratica comune che in momenti di particolare fermento ideologico gli scrittori si avvicinino tanto alla pratica dell'edizione del libro per sorvegliarne la resa grafica e il rispetto della lettera del testo, ma in modo particolare questo avvenne durante l'umanesimo, quando molti studiosi e scrittori si avvicinarono agli editori proponendosi come correttori, alcuni addirittura diventando in proprio librai ed editori.
AMERBACH lavorava a Basilea, con l'ambizione di offrire al pubblico cristiano l'edizione corretta delle opere dei padri della chiesa.
ALDO MANUZIO dopo aver molto viaggiato si stabilisce a Venezia, dove gli si raduna attorno un circolo di umanisti (Ercole Strozzi, Pico della Mirandola, Poliziano, Erasmo, Emanuele Adramyttenos) da cui escono molte delle editio princeps del quattrocento, compresi molti classici greci grazie ai profughi cretesi e perfino molte edizioni di umanisti del suo tempo. Nel 1502 fonda l'Accademia Aldina, in cui ci si riunisce una volta a settimana per decidere chi stampare e quali manoscritti; anche qui partecipano molti grandi umanisti (Bembo, Alberto Pio, Erasmo).
JOSSE BADE lavora a Lione con un importante editore e alla sua morte si trasferisce a Parigi, dove diventa anche lui centro di riunioni di grandi umanisti (Budé, Beato Renano, du Bois ecc) che segnalano i manoscritti migliori ecc. In questo modo si formano le grandi edizioni e le grandi case editrici.
Sorvegliare il buon andamento di un'officina tipografica è un lavoro sfibrante, a cui questi stampatori umanisti poterono attendere sacrificando loro studi particolari.
SÉBASTIEN GRYPHE anche lui lavora a Lione, anche lui si occupa di classici greci e latini, di pubblicare e diffondere gli scritti degli umanisti (Erasmo, Rabelais, Alciato...) ma è anche un grande imprenditore: fornisce i libri scolastici a mezza Europa.
A volte le pubblicazioni di libri scandalosi o eretici sono spinte dal desiderio di vendere molte copie, ma spesso è anche amore del sapere (es. Setzer pubblica gli scritti di Miguel Serveto), ma si corrono grossi rischi e gli inquisitori sono implacabili. In tempi di sussulti religiosi editori come Plantin sono costretti a conversioni e riconversioni e alcuni finiscono addirittura sul rogo. È il caso di Etienne Dolet che, dopo aver girato mezza Europa per i suoi modi “bruschi” e aver scampato la forca più di una volta, finisce sul rogo a causa dell'edizione di alcuni libri liturgici cattolici in terra protestante.
SECOLO XVII
A partire dall'inizio del 1500 il mercato editoriale attraversa una crisi dovuta sia a motivazioni macro-economiche sia alla saturazione del mercato che inaspriscono le condizioni di maestri e lavoranti, provocano scioperi e difficoltà di vario genere; nascono corporazioni, vengono pubblicate solo le opere di sicuro e ampio smercio. I nuovi editori sono mercanti (poche figure che si stagliano sullo sfondo ignorante: VITRÉ, MARTIN, PALLIOT, BLAEU) asserviti alla politica dei Gesuiti, bottegai pochissimo istruiti con nessun legame con gli autori – i quali, a loro volta, non si riuniscono più attorno all'editore ma in salotti, accademie, biblioteche. Solo gli eruditi conservano rapporti stretti con stampatori e librai per le edizioni particolarmente difficili.
I mestieri del libro sono irretiti da regolamenti sempre più precisi, sorvegliati dalla chiesa e da innumerevoli giurisdizioni laiche, ma le condanne sono in genere miti con gli editori e i librai, terribili con gli autori. Maggiori rischi anche per gli stampatori non protetti dalle consorterie, quelli che vivono alla giornata di pamphlet e contraffazioni.
LIBRAI FILOSOFI
Con il settecento la situazione cambia: divampano di nuovo le lotte religiose e ideologiche, la letteratura polemica, i giornali: nasce la figura dello stampatore giornalista come Pierre Rousseau, editore degli enciclopedisti prima a Liegi, poi a Bouillon, dove, insieme a Weissenbruch, stampa il Journal encyclopédique e in seguito con la Société typographique pubblica Voltaire, La Fontaine, Diderot, Helvétius, Mirabeau, Rousseau ecc.
Questa è quindi la figura del nuovo secolo: un libraio filosofo attento conoscitore delle cose nuove, uomo di gusto che stampa per convizione e anche per interesse. Altro esempio è Le Breton, editore che ebbe una parte essenziale nella formazione dell'Encyclopédie, o i fratelli Cramer, anche loro ricchi ma impegnati nella diffusione delle nuove idee.
In questo momento nascono anche, ad opera di grandi stampatori, innovazioni tecnologiche che migliorino l'estetica del libro: Baskerville incide i suoi sempiterni caratteri e inventa la carta velina, Bodoni a Roma e i Didot a Parigi danno il loro nome a nuovi tipi di caratteri.